Archivi categoria: BRICIOLE DI LUCE

lettere, messaggi, comunicazioni spirituali e preghiere, pensieri e riflessioni, tutto ciò che ci può aprire la mente, insegnare ad amare e ad essere più sereni e felici.

BEATA MADRE PIERINA DE MICHELI

Beata Madre Pierina De Micheli

religiosa (1890-1945) 26 luglio

Bl. Maria PierinaA 12 anni sentì una voce che diceva: “Nessuno mi dà un bacio d’amore in volto, per riparare il bacio di Giuda?”. Iniziò così la trasformazione di Pierina, l’apostola del Volto Santo di Gesù.

La Beata Pierina De Micheli nacque a Milano l’11 settembre 1890 da Cesare De Micheli e Luigia Radice e venne battezzata con i nomi di Giuseppina, Franceschina, Giovanna e Maria. Aveva appena dodici anni quando fu protagonista delle prime manifestazioni soprannaturali. Il Venerdì Santo del 1902, mentre si trovava nella sua parrocchia di S. Pietro in Sala, sentì una voce che diceva: “Nessuno mi dà un bacio d’amore in volto, per riparare il bacio di Giuda?”. Per tutta risposta, giunto il suo turno, la bimba baciò con grande ardore il volto del Crocifisso.

volto santo di madre pierinaNel 1908 la sorella Maria abbracciò la vita religiosa presso le Orsoline di San Carlo in Milano, dove prese il nome di Suor Teofila. Un anno più tardi, durante la cerimonia della vestizione della sorella, si sentì anche lei chiamata alla vita religiosa. Tuttavia la decisione definitiva fu molto combattuta, tanto che la giovane pregava addirittura la Madonna delle Grazie perché non voleva la vocazione e anzi aveva fatto dire una novena “per perderla”.

Il 15 ottobre 1913 entrò tra le Suore Figlie dell’Immacolata Concezione a Milano e nel maggio del 1915 pronunciò la prima professione religiosa. Verso la fine del 1918 Suor Maria Pierina (questo fu il nome che scelse) partì per l’Argentina e nel 1921 emise i voti perpetui nella Casa Madre di Buenos Aires.

Nel novembre del 1921 rientrò nuovamente in Italia e nel 1928 venne eletta superiora della casa di MilanoNell’orazione notturna del 1° Venerdì di Quaresima 1936, Gesù la fece partecipe dei dolori della sua agonia nell’Orto degli Ulivi. Mentre dal Suo viso sudava sangue, le disse:

medaglia santo voltoVoglio che il mio Volto, il quale riflette le pene intime del mio animo, il dolore e l’amore del mio Cuore, sia più onorato. Chi mi contempla mi consola”.

Il Martedì Santo seguente Gesù tornò per donarle questa promessa: “Ogni volta che si contempla la mia faccia, verserà l’amor mio nei cuori, e per mezzo del mio Santo Volto si otterrà la salvezza di tante anime”.

Il primo martedì del 1937 le rivelò: “Potrebbe essere che alcune anime temano che la devozione e il culto del mio S. Volto diminuiscano quella del mio Cuore. Di’ loro, che al contrario, sarà completata ed aumentata. Contemplando il mio Volto le anime parteciperanno alle mie pene e sentiranno il bisogno di amare e di riparare. Non è forse questa la vera devozione al mio Cuore?”.

Il 31 maggio 1938, di notte, mentre si trovava in cappella, le apparve sulla predella dell’altare, in un fascio di luce, la Vergine Maria. La Madonna aveva tra le mani uno scapolare. Su un lato era impressa l’immagine del Volto di Gesù, circondato dalla scritta Beata-Maria-Pierina-De-Micheli-medagliaIllumina, Domine, vultum tuum super nos” (Illuminaci col Tuo Volto o Signore) mentre sull’altro era raffigurata un’Ostia raggiante con scritto intorno: “Mane nobiscum Domine” (Rimani con noi Signore).

A questo proposito madre Pierina scrive nel suo diario:

Mentre stavo in preghiera davanti al Tabernacolo, mi parve di vedere la Madonna. Teneva in mano uno scapolare formato da due flanelline bianche riunite da un cordone. Una flanellina portava l’immagine del S. Volto, l’altra un’Ostia, circondata da raggiera. La Madonna si mosse verso di me e mi disse:

«Ascoltami bene e riferisci tutto esattamente al Padre [il padre spirituale; N.d.R.]: questo scapolare è un’arma di difesa, uno scudo di fortezza, un pegno d’amore e di misericordia che Gesù vuol dare al mondo in questi tempi di sensualità o di odio contro Dio e la Chiesa. Si tendono reti diaboliche per strappare la fede dai cuori. Il male dilaga.

volto36I veri apostoli sono pochi, è necessario un rimedio divino, e questo rimedio è il Volto Santo di Gesù. Tutti quelli che indosseranno uno scapolare come questo, e faranno ogni martedì una visita al SS. Sacramento, per riparare agli oltraggi che il Santo Volto ricevette nella dolorosa sua passione, e ogni giorno riceve nel sacramento eucaristico, saranno fortificati nella fede, pronti a difenderla, a superare le difficoltà interne ed esterne, di più faranno una morte serena sotto lo sguardo amabile del mio divin Figlio»”.

In quel periodo il fotografo d’arte Giovanni Bruner di Trento aveva fotografato la Sacra Sindone riuscendo a catturare in essa il viso del Cristo morto; aveva poi fatto dono di questa immagine al beato cardinale Ildefonso Schuster che a sua volta la donò a Madre Pierina. Dall’immagine sindonica la beata fece ritrarre il Santo Volto.

medaglia_del_santo_volto_di_gesuIl 21 novembre 1938 Gesù si presentò alla religiosa grondante sangue e con grande tristezza le disse: “Vedi come soffro? Eppure da pochissimi sono compreso. Quante ingratitudini da parte di quelli che dicono di amarmi! Ho dato il mio Cuore come oggetto sensibilissimo del mio grande amore per gli uomini, e do il mio Volto come oggetto sensibile del mio dolore per i peccati degli uomini: voglio sia onorato con una festa particolare nel martedì di Quinquagesima [il martedì che precede il mercoledì delle Ceneri; N.d.R.], festa preceduta da una Novena in cui tutti i fedeli riparino con me, unendosi alla partecipazione del mio dolore”.

Le consorelle furono testimoni solo di qualche fatto, Pierina aveva chiesto a Gesù di condurre la sua missione nel nascondimento, mentre cresceva in lei il desiderio di immolarsi per la salvezza delle anime.

santo voltoNel settembre del 1939 Madre Pierina venne eletta superiora anche della nuova casa di Roma, l’Istituto Spirito Santo. Nel gennaio del 1940 ricevette la nomina a Superiora regionale.

Nello stesso anno incontrò l’Abate Ildebrando Gregori che divenne il suo direttore spirituale, fino alla morte. Divenne lui stesso apostolo del Volto Santo di Gesù. Dalle confessioni di Madre Pierina verrà a conoscenza di fatti straordinari e fenomeni mistici relativi alla devozione della religiosa al Santo Volto.

Il 9 agosto di quell’anno la religiosa ottenne dalla Curia di Milano il permesso di far coniare una medaglia col Volto Santo di Gesù. Benché priva di mezzi diede avvio all’opera della medaglia. Un mattino trovò inaspettatamente sul comodino della sua stanza una busta con l’intera somma necessaria per la sua realizzazione. Obbedendo al confessore fece realizzare la medaglia e non lo scapolare.

Ma nel timore di disattendere le indicazioni ricevute si rivolse alla Madonna che le disse:

medaglia santo voltoFiglia mia, sta tranquilla che lo scapolare è supplito dalla medaglia con le stesse promesse e favori, c’è solo da diffonderla sempre più. Ora mi sta a cuore la festa del Volto Santo del mio Divin Figlio. Dillo al Papa che tanto mi preme”.

La medaglia iniziò così a diffondersi e i fedeli ne ottennero col tempo tante grazie spirituali e fisiche. In una lettera a Papa Pio XII, Madre Pierina spiega: “Le medaglie furono distribuite tutte gratuitamente e si ripeté più volte la stessa Provvidenza per altre ordinazioni; e la medaglia si diffondeva operando segnalate grazie. […] Il nemico è rabbioso di questo e ha disturbato e disturba in tanti modi. Più volte durante la notte ha buttato a terra pei corridoi e per le scale le medaglie, stracciato immagini, minacciando e calpestando“. In quest’ultima parte della missiva, la madre accenna alle durissime prove subite a opera del demonio. Prove che non fa trasparire in alcun modo, ma che annota diligentemente sul suo diario, obbedendo a una precisa disposizione dell’abate Gregori.

Sr.-Maria-Pierina-De-Micheli3Madre Pierina De Micheli morì il 26 luglio 1945 nella Casa del Volto Santo a Centonara d’Artò (Novara). Fu beatificata nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma domenica 30 maggio 2010. Il miracolo che aprì alla religiosa le porte della beatificazione fu la guarigione di un uomo morente, colpito da aneurisma, completamente rimesso a distanza di un paio d’ore dall’invocazione di madre Pierina.

PREGHIERA QUOTIDIANA DI OFFERTA AL VOLTO SANTO DI GESÙ

Volto santo del mio dolce Gesù, espressione viva ed eterna dell’amore e del martirio divino, sofferto per l’umana redenzione, ti adoro e ti amo. Ti consacro oggi e sempre tutto il mio essere. Ti offro per le mani purissime della Regina Immacolata le preghiere, le azioni, le sofferenze di questo giorno, per espiare e riparare i peccati delle povere creature. Fa di me un tuo vero apostolo. Che il tuo sguardo soave mi sia sempre presente; e si illumini di misericordia nell’ora della mia morte. Amen.

Vedi anche  http://www.missionariavoltosantomadrepierina.it/vita_madre_pierina_de_micheli.html

FONTI: http://profezie3m.altervista.org/ptm_PierinaDeMicheli.htm; “Pregate, pregate, pregate.” ed. Shalom

ARTICOLI COLLEGATI

FESTA DEL SANTO VOLTO DI GESÙ
BEATO ILDEFONSO SCHUSTER

 

SERVA DI DIO M. CONSOLATA BETRONE

SERVA DI DIO M. CONSOLATA BETRONE

Religiosa piemontese (1903 – 1946) 18 luglio

SERVA DI DIO M. CONSOLATA BETRONEScrisse nel suo diario le rivelazioni di Gesù: “Dimmi, Consolata, che preghiera più bella puoi farmi? Gesù, Maria vi amo, salvate anime : amore e anime! Che cosa vuoi di più bello?” E ancora: “Io desidero un incessante Gesù, Maria vi amo, salvate anime da quando ti alzi a quando ti corichi.”

Saluzzo è diventata famosa negli ultimi anni per la comunità di un’altra straordinaria religiosa: suor Elvira, e Suor Maria Consolata, in principio Pierina Betrone nacque proprio a Saluzzo (Cn). Il padre panettiere si trasferisce ad Airasca (To) per gestire una trattoria. Proprio qui, un giorno del 1916, quando ha appena 13 anni mentre sbriga alcune commissioni per la madre, le sale alle labbra, con un’intensità mai provata, un’invocazione: “Mio Dio, ti amo”, sperimentando così una grande gioia.

Nel 1917, si stabiliscono a Torino dove si occupano di un negozio di consolata2pasta e granaglie. Pierina cresce con tanta voglia di pregare, di studiare e di lavorare, di far del bene al prossimo. Entra nella “Compagnia delle Figlie di Maria”, la benemerita associazione presente nelle parrocchie che ha educato cristianamente tante ragazze, coltiva progetti di amicizia con Gesù e di apostolato. Si affida alla Madonna nello spirito della “santa schiavitù d’amore” di San Luigi de Montfort, affinché la sua vita, nelle mani di Maria, possa essere davvero tutta un dono. È piuttosto dotata, bella e gentile.

L’8 dicembre 1916, festa dell’Immacolata, dopo la Comunione eucaristica, sente per la prima volta Gesù che la chiama: “Vuoi essere tutta mia?”. Risponde: “Gesù, sì”. Dai 14 ai 20 anni lavora nell’Azione Cattolica, prendendosi cura delle ragazze. A loro insegna a ripetere spesso: “Gesù, io ti amo”.

Pur attraversando un periodo di oscurità interiore non si scoraggia e leggendo un giorno sulla tomba di Don Bosco a Valsalice: “molti furono i chiamati, ma a loro mancò il tempo”, comprende all’improvviso che la sua ora è giunta.

santa teresina del bambin gesù
Santa Teresina del Bambin Gesù

Proprio quella sera, le capita tra le mani “Storia di un’anima” di Santa Teresa di Gesù Bambino, e comincia a leggerla. In quel momento, comprende la sua vocazione: “Sentii – dirà – che la vita d’amore di Santa Teresina potevo farla mia; questa santa avrei potuto imitarla. Ciò che più mi commosse fu la frase: “Vorrei amarlo tanto, Gesù, amarlo come non è mai stato amato!”.

È l’incontro decisivo: comincia a uscire dalla sua “oscurità. Il 26 gennaio 1925, entra tra le Figlie di Maria Ausiliatrice, ma dopo poco più di un anno, si convince che non è la strada. Tenta un’altra esperienza di vita religiosa al “Cottolengo”, dove rivela la sua sete di nascondimento e di sacrificio. Neppure lì è la sua strada e nell’agosto 1928, ritorna con i suoi familiari.

25enne cerca ancora la sua via. Il 17 Aprile 1929, festa a quel tempo del Patrocinio di San Giuseppe, entrò nel Monastero delle Cappuccine di Torino, prendendo il nome di Sr. Maria Consolata in onore della Madonna Consolata Patrona di Torino, per essere lei stessa la Consolazione di Gesù e delle Anime. Da quel giorno, non sarà più sola: c’è la Voce di Gesù l’accompagna, l’ammaestra e la guida.

z_maria_consolata_betroneNei primi esercizi spirituali, in monastero, Gesù le dice: “Tu ti affanni per troppe cose… una cosa sola è necessaria: amarmi!” e le chiede un continuo atto di amore a Lui, con l’invocazione “Gesù, ti amo”. Consolata lo completerà così: “Gesù, Maria, vi amo: salvate anime”. In noviziato, dedita alla preghiera giorno e notte, alle piccole occupazioni quotidiane, impara a camminare sulle orme di San Francesco d’Assisi e santa Chiara.

Gesù le domanda: “Mi credi onnipotente e infinitamente buono?”. “Gesù, sì!”. “Ebbene, risponde Gesù, ti dono tutte le anime del mondo: esse sono tue… e come io mi moltiplico in ogni Ostia consacrata, così moltiplicherò la tua preghiera, i tuoi sacrifici a favore di ciascuna anima del mondo”.

La sua vita è molto semplice: prima, viene impegnata a dipingere e prende lezioni di pittura, ma presto passa ai lavori più umili e faticosi: portinaia, ciabattina, cuciniera, tuttofare del monastero. Obbedisce sempre, con il sorriso sulle labbra, anche quando le costa, anche quando il lavoro la sfibra. Tutto per amore, come atto di amore a Cristo, per la salvezza del mondo, a cominciare da quelli della sua famiglia.Suor_Consolata_Betrone--195x300

Consolata, tu non metti limiti nella tua confidenza in Me e Io non metto limiti alle mie grazie verso di te. In grembo alla Chiesa, tu sarai la confidenza” – le dice Gesù, nell’agosto del 1935. Poco prima le avevo detto: “Guarda il Cielo, Consolata”. “E nell’azzurro meraviglioso, scoprii una stella, la prima stella della sera. Mentre la guardavo, Gesù gridò forte al mio cuore: «Confidenza». Nient’altro”.

Consolata risponde sì continuamente: “Appena mi sveglio al mattino, comincio subito l’atto di amore e non lo interrompo mai!”. Questo è il suo unico proposito che rinnova ogni giorno, cercando in ogni cosa sempre “il più perfetto”, l’obbedienza assoluta, la dedizione totale di mente, cuore, fino a evitare ogni pensiero che non sia Gesù.

Tu appartieni alle piccolissime anime. Queste ti seguiranno nel darmi l’atto incessante di amore. Non saranno solo migliaia, ma milioni. A esse appartengono anche gli uomini. E alla tua morte, «le piccolissime» correranno a me, come un giorno, al tuo apparire sul piazzale San Massimo, correvano a te le bimbe più piccole”.

preghiera suor maria conslataIl 22 luglio 1939, si trasferì nella nuova fondazione di Moriondo lavorando senza sosta e offrendo tutto per la salvezza delle anime. Viene la guerra, terribile. Consolata si offre a Dio, vittima, per la pace, per le intenzioni del Santo Padre Pio XII, per la Chiesa, per i giovani al fronte. “Dammi le anime – prega come Don Bosco – e prenditi il resto”.

La guerra finisce. Nel novembre 1945, Suor Consolata è ricoverata in sanatorio: è un sacrificio enorme lasciare la sua cella, la preghiera davanti a Gesù Eucaristico. Ma offre i suoi ultimi sì a Dio: intensi, pieni. Quindi passa al San Luigi a Torino, tra gli inguaribili. Le restano pochi giorni di vita. Con le mani intrecciate al Rosario, Consolata ripete sino all’ultimo: “Gesù, Maria, vi amo: salvate anime”.

Il 3 luglio 1946, rientra al monastero di Moriondo. Pesa ancora 35 chili e ha solo 43 anni. Ha un sorriso meraviglioso e tutte vogliono SERVA DI DIO M. CONSOLATA BETRONE preghieravederla e salutarla, ora che è in partenza per il Paradiso. Seguono 15 giorni di agonia. Il 17 luglio, l’ultima sera della vita, Consolata desidera essere vegliata: è la prima e l’unica volta. Alle tre del mattino si gira verso l’immagine di Gesù e della Madonna che ha vicino e prega, in piemontese: “Gesù, Maria, aiutatemi, perché non ne posso proprio più”. Un’ora dopo, vede Lui. È quasi l’alba del 18 luglio 1946.

Dall’8 febbraio 1995, è in corso la causa di canonizzazione. Ora il suo corpo riposa dal 1956 nella Cappella del Monastero ed è meta di pellegrinaggi da ogni parte d’Italia e dall’Estero. Con lo stesso amore le sue consorelle continuano a trasmettere il messaggio che Gesù ha donato a Sr. Consolata e come Lei si chinano sulle necessità dei fratelli, con la sua stessa intensità e senza riserve.

La missione di Consolata è quella di narrare al mondo intero l’infinita Misericordia del Cuore di Gesù.  “Se una creatura di suor maria consolata betronebuona volontà, mi vorrà amare, e fare della sua vita un atto d’amore, da quando si alza a quando si addormenta (col cuore, s’intende) Io (Gesù) farò per quest’anima follie…

Ho sete d’amore, ho sete di essere amato dalle mie creature. Le anime per giungere a me credono che sia necessaria una vita austera, penitente…

Mi fanno terribile, mentre Io sono solamente Buono! Come dimenticano il precetto che vi ho dato”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il Cuore, con tutta l’Anima…

Per chi volesse approfondire consigliamo il Sito ufficiale

Fonte: http://www.santiebeati.it/dettaglio/91097

 

SAN GIUSEPPE CAFASSO

SAN GIUSEPPE CAFASSO

sacerdote (1811-1860) 23 giugno

san_giuseppe_cafasso-04Soprannominato per la sua missione «prete della forca», era un insegnate di vita e santità sacerdotale. Direttore spirituale e amico intimo di Don Bosco. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale.

Si è spesso sostenuto che Giuseppe Cafasso sia stato membro della congregazione salesiana, ma la cosa non risponde a verità: direttore spirituale e amico intimo del fondatore S. Giovanni Bosco (31 gen), rimase sempre sacerdote diocesano. La congregazione salesiana d’altronde venne fondata nel 1854, solo sei anni prima della sua morte.

BENEDETTO XVI PARLA DI DON CAFASSO

Anch’egli come San Giovanni Bosco, era nato a Castelnuovo d’Asti, un grosso borgo di campagna, terzo di quattro figli in una famiglia contadina di discrete condizioni; frequentò la scuola a Chieri, poco distante da Torino, ed entrò nel locale seminario, aperto da pochi san-giuseppe-cafassoanni per volere dell’arcivescovo del capoluogo piemontese. Si distinse come migliore studente del suo corso; fu ordinato prete nel 1833, con una dispensa speciale dell’autorità ecclesiastica, non avendo ancora raggiunto l’età canonica. Trasferitosi poi a Torino per poter continuare gli studi teologici, si sistemò in un alloggio modesto, ma non trovando sufficientemente adeguati i corsi del seminario diocesano e dell’università, si spostò al convitto ecclesiastico, istituto aperto da don Luigi Guala presso la chiesa di San Francesco d’Assisi, sentendolo più confacente alle sue esigenze. Superò più che brillantemente l’esame diocesano d’ammissione e don Guala subito gli conferì un insegnamento.

Quando don Guala chiese al suo assistente chi avrebbe dovuto scegliere come insegnante, questi rispose: “il piccoletto”, alludendo a Giuseppe Cafasso che era piccolo di statura e rachitico. Egli compensava il suo miserevole e disprezzato aspetto fisico con una voce melodica e serena, che don Bosco definiva “la tranquillità indisturbata” e che affascinava chi l’ascoltava. Dimostrò di essere un insegnate nato: non si accontentava di insegnare, voleva educare; 16-San-Giuseppe-Cafassomirava non solo a “fornire nozioni” ma ad illuminare e dirigere le menti degli studenti.

Come disse Benedetto XVII ai suoi fedeli in piazza san Pietro: “Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane,quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime“. Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale.”

Ben presto si sparse la fama che all’Istituto San Francesco a Torino ci fosse un nuovo insegante assai bravo. Era ugualmente stimato come predicatore. Una volta disse a don Bosco: “Gesù Cristo, Sapienza infinita, usava parole ed espressioni accessibili a chi lo ascoltava, seguine l’esempio “. Si serviva del dono di una predicazione semplice e colloquiale per incoraggiare la speranza e l’umile confidenza in Dio, in contrasto con la dottrina rigorista dei giansenisti, diffusasi nell’Italia settentrionale. Essi insegnavano che anche la più piccola caduta era un peccato grave, che poteva portare giuseppe cafassoalla dannazione eterna. Più tardi il Cafasso scriverà: “quando confessiamo, nostro Signore ci vuole pieni di pietà e di amore; tutti quelli che vengono da noi debbono sentire la nostra paternità, senza alcun accenno alla loro personalità o a ciò che hanno commesso. Se respingiamo qualcuno o se un’anima si perde per colpa nostra ce ne sarà chiesto conto”.

MOSTRA DI SAN GIUSEPPE CAFASSO

(La mostra al Santuario (2010-2011) per i 150 anni dalla morte e i 200 anni dalla nascita di questo grande santo prete torinese, iniziatore della grande schiera dei santi “sociali”)

Nel 1848, alla morte di don Guala, divenne direttore dell’istituto e della chiesa di San Francesco, compito non facile dovendo prendersi cura di una sessantina di giovani preti di diverse diocesi, con un retroterra culturale e ambientale assai differente e con idee politiche opposte. Quell’anno fu particolarmente turbolento in tutta Europa: uno stato dopo l’altro sperimentava moti rivoluzionari e l’Italia conobbe queste vicissitudini in vista dell’unificazione nazionale,
raggiunta nel 1861. Benché non mancassero detrattori, fuori e dentro l’ambiente ecclesiastico, Giuseppe san giuseppe cafasso3Cafasso con il suo insegnamento, la sua fede luminosa e la sua cura per ognuno, riuscì a tener salda la barra dell’istituto in quei tempi travagliati. Il suo affetto e la sua attenzione per i preti giovani e inesperti, la sua insistenza sullo spirito mondano come peggior nemico fecero sì che influenzassero tutto il clero piemontese, e non solo quello, perché il suo ministero raggiunse molte altre persone, suore e laici di ogni classe sociale. Il suo confessionale era molto frequentato: Giuseppe Cafasso aveva il carisma di un’intuizione particolare nel rapporto con i penitenti.

Quando la Compagnia di Gesù era stata soppressa, il santuario di Sant’Ignazio a Lanzo Torinese, sulle colline vicino alla capitale dei Savoia, era stato preso in carico dall’archidiocesi e don Guala era stato nominato amministratore. Alla morte di costui l’incarico passò al Cafasso, che continuò l’opera del suo predecessore, predicando ai pellegrini e dirigendo esercizi spirituali per clero e laici. Durante la sua amministrazione furono portati a termine i lavori, iniziati da don Guala, di ristrutturazione della foresteria e delle vie di accesso al santuario.

Di tutte le sue attività quella che più colpì l’opinione pubblica fu il suo ministero presso i carcerati: nelle prigioni, dove gli uomini vivevano
in condizioni degradanti e disumane, don Cafasso visitava i carcerati, facendo sentire loro affetto e portandoli alla confessione; le SAN GIUSEPPE CAFASSOesecuzioni erano ancora pubbliche ed egli accompagnò al patibolo oltre sessanta condannati, tra cui famosi briganti e rivoluzionari, che chiamava “santi impiccati”. Aveva l’ambizione di portare i condannati a morte subito in Paradiso, senza passare per il Purgatorio e per il recupero dei carcerati, è proprio il caso di dirlo, fece più lui di mille legislazioni.

Era capace di rimanere nelle prigini anche tutta la notte. Portava sigari e tabacco da fiutare, al posto della calce che i carcerati raschiavano dai muri; ma soprattutto portava alla conversione ladri e assassini efferati. Erano lenti e tormentati pentimenti, altre volte, invece, si trattava di conversioni immediate, che avvenivano anche a pochi istanti prima dell’impiccagione. Il «prete della forca» usava immensa misericordia, possedendo un’intuizione prodigiosa dei cuori, e trattava i suoi «santi impiccati» come «galantuomini», tanto che il colpevole sentiva così forte l’amore paterno da piegarsi e desiderare di morire per arrivare presto in Paradiso con Gesù, come il buon Ladrone, crocefisso sul Calvario.

Giovanni Bosco lo incontrò per la prima volta una domenica nell’autunno del 1827, quando era ancora un ragazzo vivace mentre Giuseppe Cafasso era già sacerdote, e tornato a casa annunciò: “L’ho visto! Gli ho parlato!”. “Chi hai visto?” gli chiese la madre, “Giuseppe Cafasso, e ti assicuro che è un santo.” Quattordici anni dopo don Bosco, nella chiesa di San Francesco a Torino, celebrava la statue-depicting-san-giuseppe-cafasso-1811-1860-who-comforted-68-executed-personssua prima Messa, entrando poi a far parte dell’istituto, studiando sotto la direzione del Cafasso, condividendo molti dei suoi ideali. Fu egli ad introdurlo nell’universo dei quartieri poveri e delle carceri di Torino, aiutandolo a scoprire la sua vocazione di apostolo dei giovani.

Giovanni Cagliero, salesiano, scrive: “Noi amiamo e riveriamo il nostro caro padre e fondatore don Bosco, non di meno amiamo Giuseppe Cafasso, per oltre vent’anni maestro, consigliere e guida, nelle vicende spirituali e nelle iniziative, di don Bosco; oso dire che la bontà , i risultati, la saggezza di don Bosco son la gloria di don Cafasso. Fu grazie a lui che don Bosco si stabilì a Torino, che i giovani si riunirono nel primo oratorio salesiano; l’obbedienza, l’amore e la saggezza che ha insegnato hanno portato frutti in migliaia di giovani in Europa, Asia e Africa, ragazzi che oggi sono ben preparati per la vita nella Chiesa di Dio e nella società degli uomini”.

Il Cafasso non cercò mai di formare in don Bosco un discepolo “a sua immagine e somiglianzae don Bosco non copiò il Cafasso; lo imitò certo nelle virtù umane e sacerdotali – definendolo “modello di vita sacerdotale” -, ma secondo le proprie personali attitudini e la propria peculiare vocazione; un segno della saggezza del maestro spirituale e dell’intelligenza del discepolo: il primo non si impose sul secondo, ma lo rispettò nella sua personalità e lo aiutò a leggere quale fosse la volontà di Dio su di lui.

SAN GIUSEPPE CAFASSO1L’insegnamento di don Cafasso influenzò anche altri, oltre a don Bosco: la marchesa Giulietta Falletti di Barolo, che fondò una dozzina di istituti di carità; don Giovanni Cocchi, fondatore di un istituto per artigiani e altre opere di carità a Torino; padre Domenico Sartoris, il fondatore delle Figlie di Santa Chiara; il Beato Clemente Marchisio (20 sett), fondatore delle Figlie di San Giuseppe, e molti altri fondatori di istituzioni caritative.

Gisueppe Cafasso morì il 23 giugno 1860; don Bosco fece l’elogio al funerale e in seguito ne scirsse la biografia. Fu canonizzato da papa Pio XII il 9 aprile 1948, che lo proclamò patrono delle carceri italiane e, con l’Esortazione apostolica Menti nostrae, il 23 settembre 1950, lo propose come modello ai sacerdoti impegnati nella Confessione e nella direzione spirituale.

Della sua morte egli, con profonda umiltà, affermava: «Disceso che sarò nel sepolcro, desidero e prego il Signore a fare perire sulla terra, la mia memoria, sicché mai più alcuno abbia a pensare di me, fuori di quelle preghiere che attendo dalla carità dei fedeli. E accetto in penitenza dei miei peccati tutto quello che dopo la mia morte si dirà nel mondo contro di me»

E’ invocato: come protettore del clero e delle carceri italiane

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler; http://www.santiebeati.it/dettaglio/59000

BEATA OSANNA DA MANTOVA

BEATA OSANNA DA MANTOVA

Vergine domenicana (1449-1505) 18 giugno

Osanna andreasi.4Iddio si compiacque di ricolmarla di grandi doni come lo sposalizio mistico, l‘incoronazione di spine, le stimmate, visibili, però, come semplice turgore e non accompagnate da lacerazione di tessuti, infine la trafittura del cuore che divenne il suo emblema iconografico.

Osanna figlia del nobile Nicola Andreasi e di Agnese Gonzaga, imparentata con la famiglia ducale che regnava a Mantova, la maggiore in una famiglia numerosa, per tutta la vita continuò a prendersi cura dei familiari. All’età di cinque anni visse un’esperienza religiosa che le fece capire che “la vita e la morte consistono nell’amare Dio”. Si trovava con la sua famiglia a trascorrere l’estate in campagna, quando trovatasi sola sulla riva del fiume Adige, le apparve un angelo che la istruì sull’amore divino e le disse: “ Guarda come ogni creatura esclama con tutto l’animo: amate Dio, abitanti della terra, perché Egli ha creato tutte le cose solo per conquistare il vostro amore!”.  Quindi l’angelo, muovendosi in una sorta di crescendo di bellezza, la innalza da questa Terra e le mostra la gerarchia celeste, cioè la gerarchia angelica in Paradiso dove i troni rimasti vuoti degli angeli decaduti sono gradualmente occupati da uomini e donne sante.

Francesco_Bonsignori,_'La_beata_Osanna'_VIDEO-STORIA

Dopo averle mostrato tutta questa bellezza, l’angelo le dice di osservare come tutte le cose create da Dio sono di per sé buone e meritevoli di essere amate. E viene alla conclusione naturale: “ama le creature e ama il loro creatore, in modo da diventare santa e andare in cielo a occupare il posto preparato per te.” Decise quindi di sottomettere tutta la sua vita a Dio, facendo giorno per giorno quello che le chiedeva.

Le apparve nello stesso posto anche Gesù Cristo, con una corona di spine sulla testa e una pesante croce sulle spalle, e disse a Osanna: ”Cara bambina, io sono il figlio della vergine Maria e il tuo creatore. Ho sempre amato i bambini perché il loro cuore è ancora puro. Accetto volentieri vergini come le mie spose e proteggo la loro verginità.”

Trascorreva lunghe ore in preghiera e penitenza; spesso cadeva in uno stato di estasi che induceva i suoi genitori a pensare che soffrisse di epilessia: non rientrava nella loro mentalità supporre qualcosa di miracoloso. Osanna chiese di poter imparare a leggere e scrivere, ma il padre oppose un rifiuto dicendo che lo studio era pericoloso per le donne (che avesse poi acquisito una cultura lo si deve al fatto che fu istruita dai fratelli). A 14 anni chiese al padre il permesso di far parte del Terz’ordine domenicano, ricevendo un nuovo rifiuto perché il genitore voleva per lei il matrimonio. osanna andreasi1Le permise di indossare l’abito religioso per un certo tempo, come ringraziamento  per essere guarita da una grave malattia, ma si adirò molto quando la figlia gli annunciò che si era impegnata per tutta la vita.

Forse a causa dell’opposizione paterna e delle responsabilità familiari, di cui dovette farsi carico dopo la morte dei genitori, Osanna non fece la professione da terziaria per altri trentasette anni, rimanendo novizia e occupando sempre il ruolo più basso nelle riunioni dei terziari. Continuò a vivere nel palazzo Andreasi prendendosi cura dei fratelli e dei familiari. Visse la sua devozione privatamente in spirito di grande raccoglimento e umiltà.

A 18 anni le apparve la Vergine Maria che la fece sposa di Cristo e il Cristo stesso le metteva al dito un anello che, ella disse, aveva sepre la sensazione di portare, benché fosse invisibile agli altri. Tra Il 1476 e il 1484 ebbe una serie di esperienze mistiche nelle quali condivise le sofferenze patite dal Cristo durante la passione; ebbe anche ripetute visioni di Gesù Bambino crocifisso. Le compagne terziarie pensavano che fosse una mistificatrice, oppure che fosse posseduta dal demonio, e per un certo periodo le fecero subire varie vessazioni. Essa in verità cercava di nascondere agli altri le sue esperienze religiose, ma le estasi la sorprendevano senza preavviso e spesso in momenti inopportuni, ad esempio in giardino o fuori casa, sotto la pioggia.

Osanna andreasi3Il duca Federico di Mantova la teneva in alta stima: partendo una volta per una campagna militare in Toscana le chiese se poteva accudire, in sua assenza, alla duchessa e ai loro sei figli. Continuò a vivere nel palazzo di famiglia prendendosi cura dei suoi famigliari ma anche trascorrendo molto tempo nel palazzo ducale, dove si comportava da vice-duca, piuttosto che da semplice governante o bambinaia, prendendo molte decisioni sagge, nonostante la sua giovane età e l’inesperienza, con una fede semplice in Dio. Al suo ritorno il duca continuò a consultarla spesso e quando ella, per obbedienza ai superiori domenicani, dovette recarsi a Milano le scrisse implorandole di tornare. L’intera famiglia ducale guardava a lei come l’amica e la consigliera più fidata, e anche Francesco II, succeduto al padre e la moglie Isabella d’Este seguirono questa linea.

Osanna visse nel silenzio, non chiedendo nulla per sé, intercedendo invece per persone che erano nel bisogno: prigionieri o vittime d’ingiustizie. Accoglieva mendicanti e durante una carestia distribuì pane per le strade; molte persone si rivolgevano a lei per avere consigli o aiuto; non si negava mai a nessuno. Il suo epistolario, pervenutoci, ci descrive la sua vita (che aveva la medesima struttura di quella di una religiosa); le sue preghiere e penitenze; i suoi timori per il mondo al di fuori del suo ristretto circolo di conoscenze. Era sgomenta per la corruzione della Chiesa e questo può spiegare la sua riluttanza a un coinvolgimento più manifesto nelle sue istituzioni.Osanna andreasi

Pregò con slancio per la salvezza di ogni uomo e delle nazioni: a quel tempo l’Italia era travagliata da turbolenze politiche e fermenti religiosi, il papato era precipitato nel discredito totale. Sappiamo, attraverso il suo discepolo Girolamo di Monte Oliveto, che aveva letto il “Trionfo della Croce” del Savonarola, rubando tempo al sonno, e il suo giudizio sulla Chiesa e la società del tempo non si discostava da quello del frate domenicano.

Disse a Girolamo che in tre occasioni aveva pregato per il papa Alessandro VI (Alessandro Borgia): nelle prime due occasioni Dio sembrò disposto ad usare misericordia al pontefice, ma la terza volta non ottenne risposta; allora chiese aiuto alla Vergine Maria e a tutti gli apostolipregando tutti loro che ottenessero per lui misericordia. Ahimé, povera peccatrice! Dio rimase immobile, il volto mostrava la sua ira e non diede alcuna risposta a chiunque lo supplicava: né alla sua Madonna, né agli apostoli, né alla mia anima!

Finalmente nel 1501 Osanna fece la professione solenne come terziaria domenicana, morendo quattro anni dopo, assistita dal duca Francesco e dalla duchessa. Le fu tributato un funerale solenne osanna andreasi2e la famiglia Andreasi, per riconoscenza ai servizi da lei resi alla casa ducale, fu esentata per vent’anni da tutte le tasse.

Le numerose esperienze sovrannaturali di cui godette il privilegio la fanno sentire vincolata a una vita di continua e diretta relazione con Dio piuttosto esterna alle strutture ecclesiastiche. Se la sua esperienza spirituale ha bisogno di convalide queste si possono trovare nella sua vita spesa a servizio degli altri.

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler ;  http://www.santiebeati.it/dettaglio/58275

ARTICOLI COLLEGATI

BEATA LUCIA DI NARNI

 

SUOR MARIA BERNARDA BÜTLER

SUOR MARIA BERNARDA BÜTLER

fondatrice (1848-1924) 19 maggio

suor maria bernardaVerena Bütler conosciuta come suor Maria Bernarda, è stata la seconda donna svizzera a salire agli onori degli altari: la prima fu santa Viborada, canonizzata da papa Clemente II nel gennaio del 1047. Fondatrice delle Francescane Missionarie di Maria Ausiliatrice, è stata beatificata da Giovanni Paolo II ed canonizzata da Benedetto XVI.

Maria Bernarda (Verena Bütler) nacque ad Auw, nel Cantone di Argovia, in Svizzera, il 28 maggio 1848 e fu battezzata nel giorno stesso della nascita. Era la quartogenita di Enrico e di Caterina Bütler, modesti contadini ma cristiani esemplari, che educarono gli otto figli nati dal loro matrimonio all’amore di Dio e del prossimo.

Dotata di una eccellente salute, Verena crebbe allegra, intelligente, generosa, amante della natura. A sette anni cominciò a frequentare la scuola. Il fervore e l’impegno con cui, il 16 aprile 1860, si accostò alla Prima Comunione rimasero costanti in lei per tutto il corso della vita. La devozione all’Eucaristia formerà, infatti, il fondamento della sua spiritualità.

170px-MariaBernarda17All’età di 14 anni, compiuti gli studi elementari, Verena si dedicò al lavoro agricolo, sperimentando pure l’affetto per un degno giovane del quale s’innamorò. Sentendo la chiamata di Dio seppe sganciarsi da questo impegno, per rivolgersi completamente al suo Signore. In questo periodo della sua vita le fu concessa la grazia di godere sensibilmente della presenza di Dio, sentendolo molto vicino.

Lei stessa afferma: «Spiegare questo stato dell’anima a chi non ha mai sperimentato qualcosa di simile, è estremamente difficile, se non impossibile». E ancora: «Lo Spirito Santo mi insegnò ad adorare, lodare, benedire e rendere grazie a Gesù nel tabernacolo, in ogni momento, in mezzo ai lavori e perfino nella realtà quotidiana della vita».

Attratta dall’amore di Dio, a 18 anni entrò come postulante in un convento della sua regione. Constatato però che non era quello il posto dove il Signore la chiamava, Verena tornò ben presto in famiglia. Il lavoro, la preghiera, l’apostolato in parrocchia, tennero vivo in lei il desiderio della vita consacrata. Il 12 novembre 1867, su suggerimento del suo Parroco, Verena entrò nel Monastero francescano di Maria Ausiliatrice di Altstätten. Il 4 maggio 1868Hl. Maria Bernharda Bütler vestì l’abito francescano, assumendo il nome di Suor Maria Bernarda del Sacro Cuore di Maria, e il 4 ottobre 1869 emise la Professione religiosa, con il fermo proposito di servire il Signore fino alla morte, nella vita contemplativa.

Fu eletta molto presto Maestra delle novizie e per tre volte Superiora della Comunità, svolgendo questo servizio fraterno per nove anni consecutivi. Il suo zelo e il suo amore per il Regno di Dio l’avevano preparata ad avviare una nuova esperienza missionaria.

Accolse pertanto volentieri l’invito di Mons. Pietro Schumacher, Vescovo di Portoviejo in Ecuador, che le chiese di recarsi nella sua diocesi, prospettandole la precaria situazione della sua gente. Maria Bernarda riconobbe in questo invito la chiara volontà di Dio che la chiamava ad essere annunciatrice del Vangelo in quella terra lontana.

Superate le iniziali resistenze del Vescovo di San Gallo e dopo aver ottenuto un regolare Indulto pontificio, il 19 giugno 1888 Suor Maria Bernarda e sei Compagne lasciarono il Monastero di Altstätten e partirono per l’Ecuador. Soltanto la luce della fede e lo zelo per l’annunzio del Vangelo sostennero la Beata e le sue compagne nella difficile separazione dall’amato Monastero e dalle consorelle. Nelle maria bernarda butlersue intenzioni Maria Bernarda pensava di dover dar vita ad una fondazione missionaria dipendente dal Monastero svizzero. Il Signore la rendeva invece fondatrice di una nuova Congregazione religiosa, quella delle Suore Francescane Missionarie di Maria Ausiliatrice.

Accolte paternamente dal Vescovo, questi affidò a Maria Bernarda la comunità di Chone che presentava uno spettacolo desolante, per la mancanza quasi assoluta di sacerdoti, per la scarsa pratica religiosa e per l’immoralità dilagante. Maria Bernarda si fece « tutta a tutti », ponendo alla base della sua azione missionaria la preghiera, la povertà, la fedeltà alla Chiesa e l’esercizio costante delle opere di misericordia. Insieme alle sue figlie, dette avvio ad un intenso apostolato presso le famiglie, approfondendo la conoscenza della lingua e della cultura del popolo. Non tardarono a maturare i primi frutti. La vita cristiana di quelle popolazioni rifiorì come d’incanto. Anche la nuova Congregazione francescana crebbe di numero e furono fondate le due Case filiali di Santa Ana e di Canoa.

Ben presto però l’opera missionaria di Madre Maria Bernarda fu segnata dal mistero della Croce. Furono infatti molte le sofferenze a cui ella e le sue figlie furono sottoposte: la povertà assoluta, il clima torrido, incertezze e difficoltà di ogni genere, rischi per la salute e per la stessa sicurezza di vita, incomprensioni da partesuor maria bernarda.3 dell’Autorità ecclesiastica e, per giunta, la separazione di alcune Sorelle dalla comunità, costituitesi poi in Congregazione autonoma (le Francescane dell’Immacolata della Beata Carità Brader). Maria Bernarda sopportò tutto con eroica fortezza, in silenzio, senza difendersi e senza nutrire risentimento nei confronti di alcuno, ma perdonando di cuore e pregando per coloro che la facevano soffrire.

Come se non bastassero tutte queste prove, nel 1895 una violenta persecuzione, messa in atto da forze ostili alla Chiesa, obbligò Suor Maria Bernarda e le sue Suore a fuggire dall’Ecuador. Senza sapere dove andare, con 14 Suore si diresse a Bahia, da dove proseguì per la Colombia. Il drappello era ancora in navigazione, allorché ricevette un invito da Mons. Eugenio Biffi a lavorare nella sua diocesi di Cartagena. E così il 2 agosto 1895, festa della Porziuncola d’Assisi, la Fondatrice e le sue Suore esuli dall’Ecuador, giunsero a Cartagena, accolte paternamente dal Vescovo. Trovarono ospitalità in un’ala dell’ospedale femminile, chiamato comunemente «Opera Pia». Il Signore le aveva condotte per mano verso quell’asilo, dove Madre Maria Bernarda resterà sino al termine della sua vita. Dopo la casa di Cartagena, furono avviate altre fondazioni non solo in Colombia ma anche in Austria e in Brasile.

Con amore compassionevole, da autentica francescana, era impegnata soprattutto nel soccorrere le necessità spirituali e materiali dei poveri che ella considerò sempre i suoi prediletti. bernarda2Diceva alle Suore: «Aprite le vostre case per aiutare i poveri e gli emarginati. Preferite la cura degli indigenti a qualsiasi altra attività ». La Madre guidò la sua Congregazione per lo spazio di trenta anni. Anche dopo aver rinunziato all’ufficio di Superiora Generale, continuò ad animare, con sentimenti di vera umiltà, le sue care Sorelle, soprattutto con l’esempio della sua vita, con le sue parole e con i suoi scritti.

Colta da lancinanti dolori ipogastrici, il 19 maggio 1924, presso l’«Opera Pia » di Cartagena, pianta dalle sue Figlie, amata e venerata da tutti come autentica santa, Maria Bernarda si addormentò serenamente nel Signore. Contava 76 anni di età, 56 di vita consacrata e 38 di vita missionaria. La notizia della sua morte si diffuse rapidamente. Il parroco della cattedrale di Cartagena ne annunziò il transito dicendo ai suoi fedeli: «Stamane, in questa città, è morta una Santa: la reverenda Madre Bernarda!». La sua tomba fu subito meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera.

 

Essa incarnò perfettamente nella sua vita il motto programmatico: «La mia guida, la mia stella, è il Vangelo». Durante la sua vita, trovò sostegno e conforto solo in Dio.

MariaBernardaZimmerGedenktafel
Targa davanti la stanza di Maria Bernarda

 Dalla contemplazione dei misteri della Santissima Trinità, dell’Eucaristia e della Passione del Signore, attinse inoltre il dono di quella misericordia che ella praticò verso tutti e che lasciò come particolare carisma alla sua Congregazione. Devotissima della Vergine Madre del Signore, volle che la sua Congregazione avesse l’Ausiliatrice come madre, protettrice e modello di vita nella sequela di Cristo e nella sua attività missionaria. Come Francescana, coltivò la stessa venerazione che San Francesco d’Assisi nutrì per la «Santa Madre Chiesa», per i suoi pastori e per i sacerdoti, che ella chiamava « gli unti del Signore».

La Beata resta un mirabile esempio di donna biblica: forte, prudente, mistica, maestra spirituale, insigne missionaria. Ella ha lasciato alla Chiesa una testimonianza meravigliosa di dedizione alla causa del Vangelo, insegnando a tutti, soprattutto oggi, che è possibile unire contemplazione e azione, vita con Dio e servizio dei fratelli, portando Dio agli uomini e gli uomini a Dio.

170px-JohannesPaul.II.MariaBernardaNel 1956, i suoi resti mortali furono traslati nella Cappella della Pietà del Collegio Biffi a Cartagena in Colombia. Negli anni 1976-77 si svolsero i processi apostolici per la sua beatificazione; il 21 dicembre 1991 è stata dichiarata ‘venerabile’ e a seguito dell’approvazione di un miracolo attribuito alla sua intercessione, è stata beatificata il 29 ottobre 1995 da papa Giovanni Paolo II ed infine canonizzata da Benedetto XVI il 12 ottobre 2008; la sua festa liturgica è il 19 maggio.

Omelia del Santo Padre Benedetto XVI (12 ottobre 2008)

SantaBernardaButler-1- preghiera

 

Fonti: http://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/2008/ns_lit_doc_20081012_verena_it.html; http://www.santiebeati.it/dettaglio/92293; http://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Bernarda_B%C3%BCtler

ARTICOLI COLLEGATI

MARIA AUSILIATRICE 

 

 

 

 

BEATA ELENA GUERRA

BEATA ELENA GUERRA

Vergine, scrittrice, teologa, apostola  (1835 – 1914) 11 aprile

elena guerra3Istituì la Congregazione delle Oblate dello Spirito Santo per l’educazione della gioventù femminile,  prodigandosi per la diffusione della devozione allo Spirito Santo con innumerevoli preghiere.

Scrittrice, teologa, apostola, santa, dice di lei il suo biografo padre Domenico Abbrescia. Elena nacque a Lucca il 23 giugno 1835 da genitori illustri per censo, onestà e pietà.

La madre, Faustina Franceschi, la diede alla luce di sette mesi per una caduta motivo per cui, finché visse, la figlia fu sovente cagionevole di salute. Fin da piccola, la beata ricevette, con i due fratelli, un’accurata educazione.

A otto anni fu cresimata. Più tardi scriverà nel suo diario: “Da allora, quando mi trovavo in chiesa per la novena di Pentecoste, mi sembrava di essere in paradiso“. Senza che nessuno la guidasse, crescendo negli anni capiva sempre più che lo Spirito Santo doveva essere da lei invocato, e fatto invocare.

elena_guerra 7Dopo la prima comunione, Elena ottenne di accostarsi al banchetto eucaristico tutti i giorni. Scriverà nel Diario, in preda ad una effusione di amore: “Vengano in me, adorabile Ostia, tutte le vostre virtù: dipendenza, silenzio, semplicità, dolcezza, pace, affinché io possa essere veramente ostia del mio Dio. Consento di essere calpestata; consento di lasciarmi recidere, battere, macinare, cuocere nella fornace del Vostro amore, per lasciarmi poi divorare come e da chi meglio Vi piacerà“. Elena avrebbe desiderato tanto frequentare anche le lezioni di quei professori che il babbo faceva venire in casa per il fratello Almerico, che si preparava al sacerdozio, invece dalla rigida madre fu costretta ad attendere alla musica, alla pittura, al ricamo. Provvide da sola alla propria istruzione sottraendo al sonno ore preziose per imparare l’italiano, il francese anche il latino.

Divorata dal fuoco dell’amor di Dio, Elena si sentiva infastidita dall’inattività e dalla vita borghese che i genitori la costringevano a condurre. Scriverà di se stessa in età avanzata: “Questa piccola donna, dai venti ai trent’anni, sprecò il tempo al piano, mentre ardeva dal desiderio di andare nei paesi degl’infedeli. Poi fu ammessa tra le Dame di Carità che visitano i poveri a domicilio; ciò le aprì la via per emanciparsi alquanto dai vincoli familiari“. Quando a Lucca scoppiò il colera ottenne dalla mamma il permesso di andare a visitare i malati. La gente al vederla passare esclamava: “Ecco la signorina santa“.

A 19 anni quindi è infermiera tra i colerosi di Lucca e a 22 l’aggredisce un male che la terrà per quasi otto anni a letto. E lei studia i Padri della Chiesa, crea un gruppo di “Amicizie elena guerraspirituali” tra le sue visitatrici, progetta forme di vita contemplativa.

Dalla mamma aveva appreso “che tutto ciò che il mondo stima, non è che vanità”.

Guarita, studia e viaggia. Una sera mentre leggeva la vita di S. Angela Merici (+1540) concepì l’idea di fare qualche cosa anche lei per l’educazione della gioventù. Dopo prove e insuccessi, nasce infine per opera sua una comunità femminile, ma di vita attiva, dedita all’educazione delle ragazze e intitolata a santa Zita, patrona della città. E’ una comunità senza voti, un sodalizio di volontarie dell’insegnamento, pilotata da lei anche con gli scritti: i suoi agili “librini”, efficaci guide all’approfondimento della fede. Qui è accolta per qualche tempo, e fa la prima comunione nel 1887, la futura santa Gemma GalganiCi fu chi tentò di farla chiudere e la fondatrice, pronta ad accettare l’umiliazione del fallimento, chiese a Don Bosco (+1888), di passaggio a Lucca, di ammetterla tra le figlie di Madre Mazzarello (+1881).

Don Bosco la esortò a perseverare nell’opera intrapresa e, dopo alcuni mesi, laboratorio e scuole furono insufficienti a contenere le alunne. Più tardi, l’istituto verrà riconosciuto dalla Chiesa come congregazione religiosa. Con la sua comunità, lei ha già problemi e anche conflitti. Ma ora decide pure di lanciarsi in un’impresa che va oltre la congregazione, oltre Lucca e l’Italia, per investire l’intera Chiesa. Ci ha pensato in segreto per anni e ora parte: bisogna ricondurre tutti i fedeli verso la conoscenza e l’amore per lo Spirito Santo, del quale Cristo ci ha detto: “Egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16,13). I cristiani sono troppo fiaccamente vaticano-investiga-suposto-milagre-pela-intercessao-da-beata-elena-guerraconsapevoli della prospettiva gloriosa che ci attende col “rovescio di Babele” (come scriverà nel 1987 Severino Dianich), rinnovando l’evento della Pentecoste di Gerusalemme.” E’ tempo di agire, e nessuno la ferma: scrive al papa Leone XIII, insiste, riscrive, andrà anche in udienza: chiede forti spinte per un “ritorno allo Spirito”, che nel secolo successivo sarà così vivacemente annunciato da movimenti e gruppi.

Tre documenti pontifici, fra il 1895 e il 1902, invitano a operare per questo scopo, personalmente caro a Leone XIII; e il vecchio Papa alle suore di Elena il nome di Oblate dello Spirito Santo. Chiarissimo segno che è stata capita. L’hanno capita a Roma. Ma a Lucca, in casa sua, c’è chi le si mette contro: suore, figlie spirituali sue.

Ora vi dico, o Signore, di volere essere vittima vostra e nel fuoco del vostro amore consumare i miei sacrifici fino all’ultimo che sarà, lo spero, il più bello di tutti! Disponete di me come meglio vi aggrada, che io abbandonandomi inferiormente a Dio intendo farvi il Dio del mio Cuore. Tenetemi sempre nelle vostre mani adorabili, affinché io non sia più padrona di me, ma totalmente a vostra disposizione, vittima consacrata al vostro beneplacito. Moltiplicate Guerra_Elenapure i miei sacrifici, e tenetemi sempre ai piedi dei vostri altari eucaristici, affinché io mi immoli con voi. Ma non basta, o Gesù mio! La vostra vittima vi chiede l’altare della croce: il calvario, i chiodi, la lancia, i flagelli, le spine e tutto ciò che può condurmi alla perfetta somiglianza di Voi. Ottenuti questi preziosi doni, potrò starmi nel santo ciborio, unirmi alle vostre occupazioni, e con Voi adorare, amare, espiare, ringraziare, domandare, sacrificarmi continuamente, vivere insomma della Vostra vita!“.

E si arriva alle dimissioni di lei da Madre generale, ma con accompagnamento di inique umiliazioni. Elena sostenuta dalle consorelle fedeli e dalla sua limpida visione dell’esempio di amore che bisogna sempre saper offrire. E’ il suo momento più alto.

Gli ultimi tre anni di vita, Suor Elena li trascorse tra ripetute malattie sospirando il paradiso. Morì il sabato santo del 1914 dopo aver indossato l’abito di Oblata dello Spirito Santo era scesa dal letto, aveva baciato la terra e ripetuto ad alta voce: “Credo!“.  Il suo corpo è sepolto a Lucca nella chiesa di Sant’Agostino. Nel 1959, papa Giovanni XXIII l’ha proclamata beata il 26 aprile 1959.

elena guerra1La data di culto indicata nel Martyrologium Romanum è l’11 aprile. Mentre nella diocesi di Lucca viene ricordata il 23 maggio. Il suo corpo riposa a Lucca nella cappella della Oblate dello Spirito Santo.

ARTICOLI COLLEGATI

CORONCINA ALLO SPIRITO SANTO DELLA BEATA ELENA GUERRA
PENTECOSTE
TRIDUO ALLO SPIRITO SANTO
NOVENA ALLO SPIRITO SANTO
I PECCATI CONTRO LO SPIRITO SANTO
CONCHITA CABRERA DE ARMIDA

 

FONTI: http://www.santiebeati.it/dettaglio/31750; http://miriam12stelle.jimdo.com/preghiere/spirito-santo/coroncina-allo-spirito-santo/

Serva di Dio Maria Concetta Pantusa

Serva di Dio Maria Concetta Pantusa

mistica e stigmatizzata (1894-1953) 27 marzo

suor-concettaUna vita di sofferenza ricca però di grandi consolazioni e grazie, come levitazioni, profezie e stigmate.  Le immagini in casa sua grondavano sangue, mentre petali e profumo di rose la inondava. Gesù stesso disse: “Questa casaovunque volgete lo sguardo è bagnata dal mio sangue“.

Nacque a Celico, tra Spezzano e Pedace in Calabria, il 3 febbraio 1894, primogenita di Giuditta e Pasquale Pantusa, uomo di carattere impulsivo, tozzo e violento, che, fintosi religioso fino al giorno del suo matrimonio, proibì che alla bimba fosse amministrato il battesimo. Ma la buona Giuditta, senza arrendersi, riuscì a portare segretamente la sua piccola al fonte battesimale, con la collaborazione di qualche famiglia fidata e del parroco, don Vincenzo Lettieri.

https://www.youtube.com/watch?v=Lj2d-zRVVwI

Nonostante fosse stata ostacolata a prendere la prima comunione da parte del padre, che minacciava di morte il buon parroco se lo avesse fatto, espresse la volontà di entrare in convento. Quel
rozzo genitore anche questa volta reagì con violenza e, pur di distoglierla dalla sua decisione, decise di portarla con sé in Brasile, con la scusa che la figlia avrebbe dovuto accudire ai suoi bisogni materiali. Lontana dalla mamma, in una terra dove si parlava un’altra lingua, il padre sperava che si sarebbe arresa al matrimonio.

concetta pantusa con la figlia
Maria Concetta Pantusa con la figlia

Ma lei, in Brasile, costretta a vivere da prigioniera, chiusa a chiave in casa quando il padre andava al lavoro e oggetto di ingiurie ed imprecazioni più infamanti al suo ritorno, pregava il Signore nel desiderio e nel fermo proposito di appartenere solo a Gesù. Ma, quando Pasquale ancora una volta le portò a casa un giovanotto con la speranza che si fosse decisa a maritarsi, elevò la sua supplica allo Spirito Santo, consolatore dei poveri, per conoscere la volontà del Padre Celeste. E in una specie di visione, in una sequenza rapida e concisa, le fu anticipato ciò che sarebbe accaduto nel suo futuro. Così, accogliendo il giovane Vito De Marco, emigrato dalle Puglie, si unì con lui in matrimonio il giorno di Natale del 1914. E quel giorno, per la prima volta, potette accostarsi all’Eucaristia, tanto desiderata in tutti quegli anni. Nell’anno successivo, il 28 ottobre, dal matrimonio nacque Maria Carmela.

(Si sta girando ad Airola un film per ricordare la suora Maria Concetta Pantusa.)

Contro qualsiasi logica apparente, nel 1916 rientrarono tutti e quattro in Italia, ma Vito, richiamato alle armi morì in guerra. Allora la nostra Maria Concetta, rimasta sola con la sua piccina, si buttò con tutto il suo spirito nelle opere d’apostolato come presidentessa delle “figlie di Maria”, lei analfabeta, preferita dal parroco a tutte le altre donne più quotate e colte. E questo a prescindere da qualche fenomeno non comune, come la levitazione.

Concetta-Pantusa-300x376Quasi come per ricompensa al suo impegno religioso, il Signore le porse una prova terribile. Per circa un anno rimase cieca ed immobile, paralizzata negli arti inferiori. Inaspettatamente guarita dopo un anno per intercessione della Madonna, non ebbe neppure il tempo di riprendere le sue occupazioni che si vide cacciata di casa dal padre, il quale non intendeva più darle da mangiare a sbafo. Era il 1927. Per qualche tempo si appoggiò come sguattera presso le Suore dei Sacri Cuori di Redipiano, dove la gente la accolse con benevolenza e cordialità.

Poi, nel mese di maggio del 1930, in compagnia della figlia Maria Carmela e di suor Speranza Elena Pettinato, che le restò a fianco tutta la vita scrivendo un lungo diario, si mise in viaggio verso Airola, in provincia di Benevento per chiedere l’ammissione nel monastero delle clarisse d’Airola, che però accolsero solo Maria Carmela. Lasciata dunque fuori della porta del convento, insieme a suor Speranza, amareggiata ma non scoraggiata, tra mille difficoltà aprì un asilo a Monteoliveto con il permesso del vescovo.

Per la prima volta ricevette le stigmate il 1° Agosto 1936. Si trovava in estasi quando le comparve Gesù che irradiava una vivissima luce; dopo un momento di grande beatitudine, come immersa in Dio, avvertì un dolore acuto nelle mani, ai piedi e nel cuore. Quando tornò in sé si accorse che dalle ferite grondava vivo sangue. Le stigmate nelle mani e nei piedi scomparvero alla fine del 1939, quella del costato, assai lunga e larga, si dissolse dopo sedici nel 1952, l’anno precedente alla sua morte.

concetta PantusaEra Il 17 febbraio 1947 quando un’immagine del Santo Volto di Gesù (della Santa Sindone di Torino) emanò sangue sgorgante dalla testa e dagli occhi e rimase in ebollizione per quasi tre ore. 

Suor Concetta (così la chiamavano ad Airola benché non fosse suora) disse che Gesù l’aveva fatto per i peccati dei Sacerdoti e di tutti gli uomini. Lo stes­so fenomeno si rinnovò il 28 febbraio e, per una terza volta, il 4 marzo. 

È il Volto Santo tre volte insanguinato!” disse Gesù stesso a Maria Concetta. In ognuno di questi fenomeni il Signore ingiungeva: “Pregate! Riparate! Compensate!

In quell’anno e negli anni seguenti numerose immagini apparvero e restarono coperte di san­gue. Sopra immagini, in quaderni e nei libri apparve­ro rose freschissime e profumate.

Gesù chiama­va la casa di Airola: “La case delle rose”.

Questa casa“, diceva, “ovunque volgete lo sguardo è bagnata dal mio sangue“.

VOLTO3.1Figlia mi a diletta! Desidero che tu faccia una larghissima diffusione della mia immagine,.Voglio entrare in ogni famiglia, convertire i cuori più  duri. Portatemi negli ospedali e nei ricoveri, nelle scuole e negli asili. Parla a tutti del mio amore misericordioso e infinito“.

Desidero che il mio Divin Volto parli al cuore di tutti e che la mia immagine impressa nel cuore e nell’anima di ogni cristiano rifulga di Divino splendore mentre ora è sciupata dal peccato“.

E tutta presa in quel suo impegno, avvolta tra fenomeni mistici, come i suoi misteriosi viaggi in Purgatorio, gli intensi profumi che avvertivano quelli che le stavano attorno, i petali di fiori sparsi da mani invisibili e le visioni di Gesù, della Madonna, dell’Angelo custode, di s. Gemma Galgani, s. Paolo della Croce, s. Giuseppe ed altri Santi, notevolmente sofferente e relegata a letto per due mesi, Maria Concetta lasciò questa terra ad Airola, per unirsi eternamente ai Santi nella Gloria di Dio, alle ore 15 del Venerdì di Passione del 1953 (27 marzo), che per privilegio espressamente concessole da Gesù lei stessa aveva scelto il 16 marzo di tre anni addietro.

Il suo corpo riposa nella casa del Sacro Volto in Airola (BN) alla via Monteoliveto, 33. Il 10 febbraio 2007 è stata introdotta ufficialmente la sua causa di beatificazione, qualificata come madre di famiglia.preghiera per concetta

Fonte: http://www.cittanuove.org/index_089.htm 

ARTICOLI COLLEGATI

FESTA DEL SANTO VOLTO DI GESÙ
LA SINDONE
IL VELO DELLA VERONICA DI MALOPPELLO
MANDYLION
IL VERO VOLTO DI GESÙ CRISTO?

TRANSITO DI SAN BENEDETTO

TRANSITO DI SAN BENEDETTO

21 marzo

San_Benedetto_annigoniIl martirologio pone la sua festa l’11 luglio, data della traslazione delle sue reliquie per poterlo festeggiare al di fuori della quaresima, ma la vera data della sua morte è il 21 marzo, giorno in cui si ricorda comunque il suo transito, e grazie ad una particolare visione svelò la sua entrata in gloria.

Il 21 marzo si celebra il “transito”, cioé la nascita al cielo del fondatore, del restauratore e propagatore della disciplina monastica in occidente, San Benedetto.

Dopo aver dato inizio ad una nuova fondazione monastica, a Terracina, il 21 marzo del 547, o di qualche anno immediatamente successivo, san Benedetto muore, quaranta giorni circa dopo la scomparsa di sua sorella Scolastica con la quale ebbe comune sepoltura; secondo il racconto di S. Gregorio Magnospirò in piedi, san benedetto da norciasostenuto dai suoi discepoli, dopo aver ricevuto la comunione e con le braccia sollevate in preghiera, mentre li benediceva e li incoraggiava.

Nel 577, come aveva predetto il santo, per la prima volta viene distrutta Montecassino. Per la quarta volta il monastero sarà raso al suolo il 15 febbraio 1944. Il culto si sviluppò lentamente finché aumentò l’influsso cluniacense nel X secolo. L’abbazia di Eleury reclamò le sue reliquie sin dal VII secolo, ma Montecassino si oppose molto vivamente; la data della traslazione dei suoi resti è l’11 luglio che, dal 1969, il Calendario Romano ha fissato come giorno della sua festa, per poterlo celebrare al di fuori della Quaresima. Il 24 dicembre 1964 è stato nominato da papa Paolo VI patrono d’Europa (affiancato in seguito da Cirillo e MetodioCaterina da SienaBrigida di Svezia ed Edith Stein)

Oggi lo ricordiamo anche come patrono degli esorcisti  e dei moribondi grazie alla duplice visione, contemporanea e in luoghi diversi ai sui discepoli, che rivelò loro l’ingresso di Benedetto nell’Eterna Gloria:

una strada adorna di drappi e sfolgorante di innumerevoli luci lo accolse verso il Cielo.”

Preghiera a San Benedetto

benedetto da norciaStando in piedi nell’Oratorio, in mezzo ai discepoli che lo sorreggevano, l’uomo di Dio, Benedetto, fortificato dal Corpo e dal Sangue del Signore, a mani alzate, nella preghiera rese lo spirito a Dio e fu visto salire al cielo per una via adorna di drappi e sfolgorante di innumerevoli luci.

Glorioso sei apparso al cospetto di Dio,

Per questo il Signore ti ha rivestito di gloria.

Preghiamo

O Dio, che hai ornato la preziosa morte del nostro santo Padre Benedetto donandogli così insegni favori, concedici che, celebrandone la memoria, nella nostra morte siamo difesi dalla sua beata presenza contro le insidie del nemico. Per Cristo nostro Signore.Amen

Dai suoi scritti

Proposta di riflessione dalla «Regola» di san Benedetto.

Non antepongano a Cristo assolutamente nulla.

Prima di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciare, perché non debba rattristarsi delle nostre cattivi azioni dopo che si é degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi figli e, come signore tremendo, irritato per le nostre colpe, condannerà alla pena eterna quei malvagi che non san benedetto da norcia1l’hanno voluto seguire alla gloria. Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che dice: E’ tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11). Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce ammonitrice che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7).

E che cosa dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore. Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendono le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35). Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C’é qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all’udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna: fuggi il male e fà il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.

Che cosa vi é di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita. Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo san benedetto da norcia2arrivare, se non affrettandoci con le buone opere. Come vi é uno zelo cattivo e amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’é uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. In questo zelo i monaci devono esercitarsi con amore vivissimo; e perciò si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri, si prestino a gara obbedienza reciproca. Nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, amino i fratelli con puro affetto, temano Dio, vogliano bene al proprio abate con sincera e umile carità.

Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler; http://liturgia.silvestrini.org/santo/379.html

ARTICOLI COLLEGATI

SAN BENEDETTO DA NORCIA
DAGLI SCRITTI DI SAN BENEDETTO
MEDAGLIA DI SAN BENEDETTO

 

VENERABILE RACHELINA AMBROSINI

VENERABILE RACHELINA AMBROSINI

Studentessa e scrittrice (1925-1941) 10 marzo

Rachelina2Rachelina morta in odore di santità a soli 16 anni, riceve spesso l’apparizione della Madonna e di Sant’Antonio, che le preannunzierà la data della sua morte. Molte sono le testimonianze di persone che hanno che hanno beneficiato della sua intercessione verso l’Altissimo.

Rachelina, figlia unica del dott. Alberto Ambrosini, medico condotto, che tanto avrebbe desiderato un figlio maschio e di Filomena Sordillo, donna saggia e silenziosa che fu la prima custode delle sue segrete apparizioni della Vergine Maria, nasce nella frazione Passo, del comune di Pietradefusi (Avellino), il 2 luglio 1925.

All’età di quattro anni le prime visioni della Vergine, mentre giocherellava nel giardino di casa. “Sai, mamma – disse con candore Rachelina – ho visto la Madonna!”. L’insolito segreto fu custodito a lungo e gelosamente dalla pia donna. A scuola le maestre hanno raccontato di lei come “di una scolaretta inconsueta, diversa dalle altre, sempre pronta a donare le sue prelibate merende alle compagne povere. Un’alunna sveglia, desiderosa di conoscere e sempre capace di inserirsi“.

In casa molta gente colta: il babbo medico, lo zio Antonio avvocato, lo zio Leonardo sacerdote diocesano, preside di istituto e insigne letterato.

rachelina 1a comunioneDurante il corso elementare la giovane fu colpita dal morbillo, e la sua forzata assenza dalla scuola provocò un senso di grande vuoto nella classe. Fu proprio in questa occasione che Rachelina rivelò con la connaturata spontaneità alla maestra Ester Villani, che si era recata a farle visita, una “strana esperienza” avuta nel corso della malattia: “Sapete – affermò con tono scherzoso – ho sofferto molto perché vedevo mamma mia sempre piangente, ma io ero sicura che non sarei morta, perché ho visto Sant’Antonio che mi ha detto: “Di questa malattia guarirai subito e bene, ma sappi che a quindici anni tornerò per prenderti“”.

A queste parole tutti risero, ci rise sopra anche Rachelina. Il 12 giugno 1932, la sua Prima Comunione. Insieme al tradizionale abito bianco dei comunicandi, Rachelina portò all’altare del Signore il candore della sua innocenza e il serio impegno a non macchiarlo mai. Lo confidò alla mamma al termine della prima confessione sacramentale, che aveva atteso impazientemente. Dirà poi Rachelina: “Anche per gli angeli lo zucchero é irresistibile, eppure m’impegnerò a resistergli!”.

Porta avanti gli studi ginnasiali a Bari dove risiedeva lo zio monsignore. Nel corso del terzo anno di studio a Bari si ebbero le prime sinistre avvisaglie della malattia infettiva che cominciò a spegnere la vivace e straordinaria sensibilità di Rachelina. Nell’autunno 1939 una forma di otite molesta e purulenta la tenne a lungo lontana dalla scuola e, soprattutto, mise alla prova la sua serenità abituale. Grande la sofferenza fisica per la quattordicennerachelina_ambrosini Rachelina, che lo zio Leonardo volle tenere nascosto ai genitori per risparmiare loro tanto dolore, pur non comprendendo che in tal modo avrebbe aggravato quello di Rachelina.

A 15 anni terminava il ciclo di studi del ginnasio, conseguendo un discreto risultato, nonostante la preoccupazione costante per babbo Alberto, che aveva ricevuto la chiamata alle armi per la guerra appena dichiarata da Mussolini al fianco della Germania di Hitler. Era il 10 giugno 1940. La sua famiglia scelse per lei il prestigioso “Liceo Cabrini” di Roma, gestito dalle Suore Missionarie della Carità di S. Francesca Saverio Cabrini. Ancora una volta era costretta a stare lontana da casa, ma per obbedienza non si oppone ai genitori.

All’inizio del 1941 Rachelina iniziò a sentire inspiegabili e misteriosi malesseri. Erano i primi segnali del morbo. A metà febbraio il male – una grave forma di meningite – non le lasciò scampo, mentre i bambinelli dei suoi presepi cominciavano con Sant’Antonio a farle visita. Rachelina scrisse: La sofferenza è come una mandorla amara. Tu la butti via, credi che sia finita nella fredda terra. Invece ripassando per quel posto, dopo alcuni anni, troverai un bel mandorlo in fiore“.

Mamma Filomena si reca a San Giovanni Rotondo da Padre Pio per avere da lui conforto e qui il caro Padre la chiama dal fondo della chiesa per dirle: “Tu sei una madre fortunata” e la porta in sacrestia per parlare in privato con lei. Rachelina si spense in un ospedale romano il 10 marzo 1941, alle 13.30.

traslazione del corpo di Rachelina Ambrosini
Traslazione del corpo di Rachelina Ambrosini

Chi vide Rachelina sul letto di morte non ha più dimenticato la bellezza del suo viso, l’ineffabile espressione di pace e serenità che emanava. Vestita tutta di bianco pareva davvero che dormisse soltanto. Trasportato il corpo in Irpinia, c’è chi ricorda tutt’oggi l’imponente partecipazione popolare al funerale dell’unica figlia di don Alberto, una ragazza vissuta interamente per il Cielo, e i suoi resti mortali letteralmente sommersi di fiori. A Venticano gli anziani la ricordano ancora comeuna giovane generosa, aperta al prossimo, umile, silenziosa, obbediente“. Disse un giorno alla mamma Filomena: “Mamma, tu non sai chi sono!” La madre rimase esterrefatta e sgomenta.

Il 28 settembre 1958 le spoglie di Rachelina Ambrosini sono state traslate nella Chiesa Madre di Venticano. L’8 aprile 1995, nel Duomo di Benevento, si è chiuso il Processo Diocesano per la Canonizzazione della Serva di Dio Rachelina Ambrosini. In Vaticano è in corso la causa di beatificazione.rachelina

Nelle Filippine la Fondazione a lei dedicata ha intrapreso attività di promozione sociale. Scrive Suor Marieta Palmero dalle Filippine: “Nella vita di Rachelina si nota chiaramente un’attenzione particolare per i bambini e soprattutto per quelli poveri. Ella li amava ed era amata. Dedicava loro ogni tipo di premura, anche per una sua amica albanese. Si priva dei dolci fatti dalla sua mamma Filomena, per condividerli con i suoi compagni di scuola o darli al povero viandante per strada. Gioca con chi è emarginato, consola chi soffre“.

Un saggio della maturità spirituale cui la giovane Rachelina era giunta, frutto della sua vita di fede e preghiera, è questo suo scritto che mi ha ricordato tanto il messaggio della Regina della Pace di Medjugorje:

Non cercare la felicità. Quaggiù non esiste, poiché l’uomo non fu creato per quaggiù. Cerca la Pace, il grande dono di Dio, l’unica gioia che non si può godere nel male, l’unica gioia perfetta che è frutto del bene.

Rachelina_40Cerca la pace con lo stesso ardore col quale lo stolto cerca di godere. La troverai nella sottomissione alla volontà di Dio, nella coscienza tranquilla, nell’adempimento scrupoloso dei tuoi doveri di cristiano e di cittadino.

Non chiedere soddisfazioni materiali alla vita, ne saresti deluso poiché la vita è un dovere che dà più spine che rose, a chi vuol compierlo fedelmente.

Ama la vita come l’unico mezzo col quale potrai raggiungere una eterna felicità in Cielo; amala come dono di Dio, stringila con affetto anche se ha la forma di una croce: quanto più sarà penosa, altrettanto ti sarà meritoria!

[Rachelina Ambrosini]

E’ inutile dire che per i fedeli della Diocesi di Benevento Rachelina è già una santa. Ci auguriamo che diventi presto tale anche per i “giudici” della Santa Sede. A Venticano, sempre in provincia di Avellino, c’è il Palazzo Ambrosini, accanto al portone, la foto che ritrae la giovane Rachelina.

Fonte: http://www.moscati.it/Ital4/Rachelina.html; varie

ARTICOLI COLLEGATI

BEATA IMELDA LAMBERTINI (13 anni)
LA STORIA DI SARA (10 anni)
SANTA GEMMA GALGANI (25 anni)
LAURA DEGAN (6 anni)
ANGELA IACOBELLIS  (12 anni)
ANTONIETTA MEO (7 ANNI)
SAN DOMENICO SAVIO (15 ANNI)
FRANCESCO E GIACINTA MARTO (11-10 ANNI)

 

BEATA MARIA BOLOGNESI

BEATA MARIA BOLOGNESI

Mistica – Bosaro, Rovigo (1924 – 1980) 30 gennaio

maria bolognesiMistica del XX Secolo, visse tra il 1924 e il 1980 e patì le sofferenze del Cristo sul Calvario; dopo un periodo di possessione demoniaca ebbe un rapporto specialissimo con il Signore Gesù dal quale ricevette anche tre anelli.

Figlia di una ragazza madre soffrì molto nell’anima e nel corpo anche a causa di varie malattie; la morte all’età di 56 anni non le consentì di portare a termine un suo progetto rivolto a chi ha bisogno. Esempio di straordinaria accettazione del disegno divino e di incomparabile affidamento a Nostro Signore.

L’esperienza terrena della mistica Maria Bolognesi, iniziata il 21 ottobre 1924 a Bosaro (Rovigo) in una famiglia assai povera , si può sintetizzare come una vita di sofferenze al servizio di Nostro Signore Gesù Cristo. Da quando ella ricevette da Gesù in una visione onirica il primo dei tre anelli che il Cristo le diede (con 5 rubini segno delle 5 piaghe di Gesù) sofferse le stesse pene di Gesù su Calvario e iniziarono le sue sudorazioni di sangue; ma ella non patì solo la sofferenza di Cristo: ella tutto sopportò con pazienza ed offerse le sue sofferenze a Gesù per i bisognosi.

maria-bolognesi-3Potè frequentare in quattro anni solo le prime due classi elementari poi dovette ritirarsi del tutto per aiutare la famiglia nella crescita dei fratelli biologici e nella cura dei campi. Dalla nonna materna impara comunque la sapienza della fede e l’amore per la preghiera. Di qui la sua assiduità fin da bambina alla Messa quotidiana, al catechismo, all’Azione cattolica.

Maria Bolognesi accolse gli insegnamenti della nonna arrivando a comprendere come il suo solo motivo di vita era di abbandonarsi totalmente all’esempio mostrato da Gesù e volle fare voto di obbedienza alla Chiesa. Dal 1940 Maria Bolognesi si dedicò con sempre maggiore impegno ad accudire i bambini più poveri e bisognosi e nel 1943 prese ad indossare un abito nero che diverrà poi il simbolo stesso della sua personalità religiosa. Nel 1946 Maria Bolognesi straordinariamente iniziò ad accogliere ed istruire i figli dei braccianti riuscendo a trasmettere un metodo di ragionamento che consentiva ai bambini di stare al passo con l’istruzione scolastica ufficiale. Non avendo mai nascosto le sue preferenze politiche verso il partito cattolico durante la campagna elettorale del 1948 fu aggredita e poi accusata di autolesionismo.

La povertà era tale da portarla a mangiare addirittura le bucce delle patate che le amiche lasciavano cadere sullo sterco di vacca dopo averle appena un po’ lavate.maria_bolognesi

Prima di mostrarsi a Lei, Iddio lasciò che attraversasse un periodo di possessione demoniaca per la sua purificazione. Dal 21 Giugno 1940 a quando, il 1° Aprile 1942, ebbe la sua prima visione onirica confermata dall’anello e dalla guarigione miracolosa di una signora. Dopo, oltre alle sudorazioni sanguigne patì moltissimo nel corpo: polmoniti, broncopolmoniti, oftalmia cronica, ossiuri, vomiti, anemie, reumatismi, sciatalgie, laringiti e faringiti croniche, nevriti cardiache, e infarti le minarono il corpo per lunghi anni. Il primo infarto la colpi nel 1971 e fu quello che avviò il declino definitivo che la portò a ritornare alla Casa del Padre il 30 Gennaio 1980.

Quello della Possessione fu un periodo durissimo: non poteva pregare ne accostarsi ad un edificio ecclesiastico e fuggiva alla vista di un qualsiasi sacerdote. Una forza misteriosa che spaventava perfino le amiche la teneva lontana da tali edifici. Nell’estate del 1941 il padre la immobilizza: è l’unico modo maria bolognesi1per farle praticare un esorcismo da un sacerdote prima e – poche ore dopo (non avendo ottenuto effetto) – anche dal vescovo. La possessione diabolica – riferiscono i biografi – a quel punto si attenua, anche se continua comunque a manifestarsi fino al gennaio 1942. 

Su consiglio del direttore spirituale comincia anche ad annotare su un quaderno le sue esperienze mistiche: scriverà oltre 2mila pagine. Le sue continue sofferenze ed il suo continuo sacrificio furono premiate da Gesù con la sostituzione dell’anello dapprima con uno più prezioso “dell’Ecce Homo” e poi con uno preziosissimo di oro massiccio.

Con la sua morte lasciò incompiuta la realizzazione di una casa per convalescenti. Il 21 Ottobre 1992 si aperse con una Celebrazione Liturgica Solenne nel Tempio della Rotonda di Rovigo il processo di Canonizzazione. Il Processo Informativo Diocesano si è chiuso l’8 Luglio 2000.

«Maria – ha scritto il postulatore della sua causa di beatificazione, padre Tito Maria Sartori – rimane, povera tra i poveri, segno della presenza divina nelle anime umili. Anche se i doni mistici che ne arricchirono il rapporto con il Signore rimangono lontani dalla nostra esperienza, il suo amore agli indigenti, la sua dedizione agli infermi, la sua partecipazione alle sofferenze altrui sono anche per noi un esempio al quale guardare e un motivo in più per chiederle di intercedere presso Dio a nostro favore».

maria-bolognesiAncora oggi molte persone si recano a pregare sulla sua tomba presso la chiesa di San Sebastiano Martire a Bosaro lasciando anche fiori e messaggi. Il 10 maggio 2012 è stato promulgato il Decreto che la dichiara Venerabile, mentre il 7 settembre 2013 è stata dichiarata beata in piazza san Pietro da Papa Francesco che ancora una volta mette in primo piano il legame tra essenza religiosa e povertà.

Per saperne di più sulla vita di Maria Bolognesi  http://www.mariabolognesi.com/site/wp-content/uploads/2013/12/UN-CAMMINO-D-AMORE.pdf

ARTICOLI COLLEGATI

BEATA EUSTOCHIO E IL DEMONIO

 

Fonti: http://www.santiebeati.it/dettaglio/91662http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/maria-bolognesi-azione-cattolica-chiesa-beatificazione-24533/http://www.noicollezionisti.it/4252-maria-bolognesi

 

SANTI TIMOTEO E TITO

SANTI TIMOTEO E TITO

vescovi (I sec.) 26 gennaio

timoteo-titoCon Timoteo (primo vescovo di Efeso) e Tito (primo vescovo di Creta) abbiamo il primo abbozzo della futura struttura della Chiesa cattolica, essi sono collaboratori fidati e inviati degli Apostoli. Timoteo sembra morto durante un rito pagano detto Katalogia…

Non si possono considerare le due Lettere Pastorali (vedi Conversione di S. Paolo, 25 gen) come vere e proprie fonti biografiche più di quanto non lo siano quelle riguardanti lo stesso Paolo (al quale sono convenzionalmente attribuite). Riferimenti a Timoteo e a Tito si trovano negli Atti degli Apostoli e nelle Epistole scritte con certezza da Paolo, ma a parte il loro rapporto con Paolo non si può sapere nulla di certo su di loro. Alcune leggende successive agli Atti invece, forniscono storie un po’ più complete.

VIDEO-STORIA

timoteoTimoteo appare prima (nell’ordine del canone biblico) in At 16, dove viene descritto comefiglio di una donna giudea credente e di padre greco; egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio” (At 16,2-3). In 2 Tm 1,5 viene dato il nome della madre (Eunice) e si dice che anche la nonna, Loide, aveva abbracciato la fede. Non era stato circonciso (anche se ciò non gli impedì di essere ammesso allo studio delle Scritture) e siccome sua madre era ebrea Paolo lo fece circoncidere per renderlo accetto ai giudei cristiani (At 16,3). Accompagna Paolo in Macedonia e da qui giunge a Corinto (At 18,5) nel momento in cui Paolo “scuote la polvere” contro i giudei e dichiara che d’ora in poi si sarebbe rivolto ai gentili. Timoteo viene inviato insieme a Erasto in Macedonia, mentre Paolo si ferma in Asia (At 19,22). Si trova in Grecia insieme a Paolo e ad altri, mentre si apprestano a salpare per la Siria, passando per la Macedonia, dopo che era stato ordito un complotto contro di loro (At 29,4).

In 1 Cor viene inviato da Paolo, che lo chiamamio figlio diletto e fedele nel Signore”, presso i corinti che mancano di “padri”. La sua missione è quella di “richiamare alla [loro] memoria le vie che [egli ha]indicato [loro] in Cristo” (1 Cor 4,17). Ancora promettendo ai corinti che, in un secondo momento, avrebbe fatto loro visita di persona, Paolo aggiunge: “Quando verrà Timoteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi, giacché anche lui lavora come me per l’opera del Signore. Nessuno dunque gli manchi di riguardo, al contrario, accomiatatelo in pace, perché ritorni presso di me: io lo aspetto con i fratelli” (1 Cor 16,10s).

Paolo Timoteo e TitoTimoteo era sottostimato da parte dei corinti? O era anche un po’ timido, così da necessitare un trattamento cortese? Egli è annoverato, insieme a Silvano, tra quei discepoli che hanno annunciato Gesù Cristo ai corinti (2 Cor 1,19). E’ detto coautore delle Lettere ai filippesi, ai colossesi e, insieme a Silvano, della I epistola ai tessalonicesi (presso i quali è stato inviato, come “nostro fratello e collaboratore di Dio […] per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede” (1 Ts 3,2) e del biglietto a Filemone. Paolo spera di poterlo mandare presto dai filippesi e dice loro: “non ho nessuno d’animo uguale al suo e che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre” (Fil 2,20).

La prima lettera a lui indirizzata, come “mio vero figlio nella fede”, lo esorta a trattenersi a Efeso per invitare certunia non insegnare dottrine diverse […] che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede”. (1Tm 1,3-4). Queste istruzioni sono date in modo che Timoteo “combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza” (1Tm 1,18-19), consiglio amplificato al versetto 11 del sesto capitolo: “tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”. Nella seconda lettera egli è “il figlio diletto” di Paolo (2 Tm 1,2); viene richiamata la fede di sua madre e di sua nonna (2 Tm 1,5) e viene riferito che egli abbia studiato la Scrittura già in giovane età. Paolo si augura di vederlo “presto, visto che il suo discepolo Dema lo ha abbandonato, lasciandolo solo con Luca.

San_Tito__obispo_de_Creta_278x482
San Tito di Creta

Tito, chiamatomio vero figlio nella fede comune” nella lettera a lui indirizzata (Tt 1,4) appare nella lettere autobiografica che Paolo invia ai galati (Gal 2,1-10) mentre lo accompagna nel viaggio a Gerusalemme, che sfocerà nel dibattito noto come concilio di Gerusalemme. Tito era un greco e così Paolo non insistette perché venisse circonciso, tenendo fede a quegli argomenti che avrebbe fatto prevalere al concilio: i gentili non dovevano convertirsi alla legge di Mosè prima di essere accolti nel cristianesimo.

Tito va a Corinto per tentare di convincere i corinti a essere generosi nel sostegno delle Chiese quanto i loro fratelli più poveri della Macedonia. Paolo ringrazia poi Dio per aver infuso la medesima sollecitudine per loro nel cuore di Tito: “Egli infatti ha accolto il mio invito e ancor più pieno di zelo è partito spontaneamente per venire da voi” (2Cor 8,6 e 16-17). Al versetto 23 dell’ottavo capitolo, Paolo dice: “Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi”. Nella lettera a lui indirizzata viene sollecitato a recarsi a Nicopoli, dato che Paolo ha deciso di passare là l’inverno (Tt 3,12). Mandato più tardi in Dalmazia (2 Tim 4,10) è opinione generale che alla fine si sia stabilito a Efeso, Le tre Lettere Pastorali trattano soprattutto degli uffici e dei doveri dei ministri e dei alcune novità dottrinali: devono essere istituite le preghiere pubbliche e devono essere eliminati i falsi insegnamenti, cosa che richiede la presenza di certe qualità nei vescovi e nei diaconi; si definiscono anche la condizione e le qualità richieste a vedove e anziani.

San_Tito__discipulo_de_San_Pablo_273x352
San Tito discepolo di San Paolo

Non ha senso impegnarsi in discussioni inutili con falsi dottori, e Timoteo deve essere irreprensibile contro gli impostori; la stessa esortazione è indirizzata a Tito, quando Paolo definisce ancora le qualità e i doveri di diverse figure sociali. E’ stato detto che nelle Lettere Pastorali sembra aprirsi la strada alla posizione gerarchica dei vescovi; esse vengono perciò considerate il primo abbozzo della futura struttura della Chiesa cattolica. A Timoteo e a Tito viene però conferita autorità perché sono collaboratori fidati e inviati degli Apostoli, non perché a essi sia stato attribuito un qualsiasi rango speciale.

Eusebio riferisce la tradizione secondo la quale Timoteo fu il primo vescovo di Efeso. La prima opera che narra del suo martirio è costituita dagli Atti di S. Timoteo, che sembra sia stata scritta a Efeso nel IV o V secolo. Gli Atti di S. Timoteo non sono arricchiti da troppe descrizioni di miracoli; si pensa quindi che abbiano un fondamento storico, forse derivato da una cronaca di Efeso andata perduta. Secondo questi Atti Timoteo è stato ucciso da pagani (egli combatteva le loro feste) in occasione della festa di Katagogia, probabilmente in onore di Dionisio; durante i festeggiamenti i partecipanti tenevano in una mano un idolo e nell’altra un bastone e avevano quindi già pronte le “armi” con cui lo avrebbero bastonato a morte. Quelle che si presumeva fossero le sue reliquie furono traslate nel 356 a Csotantinopoli. Dato che questo fatto non è riferito dagli Atti, il loro editore ha concluso che essi risalgono a una data precedente. Sia S. Girolamo, che S. Giovanni Crisostomo parlano della venerazione del suo reliquiario come di un fatto di pubblico dominio.

Timoteo1
San Timoteo

Si presume che Tito abbia concluso i suoi giorni a Creta come primo vescovo della città. La lettera a lui indirizzata gli dice di governare i cretesi con mano ferma, dato che “proprio un loro profeta, già aveva detto: – I cretesi sono sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri – “ (Tt 1,129). Crisostomo valuta il livello della stima che Paolo doveva avere per Tito in base alla difficoltà dell’incarico che gli aveva assegnato a Creta.

Diversi luoghi di nascita sono stati attribuiti a Tito (Iconio negli Atti di S. Tecla, Corinto da Giovanni Crisostomo), ma mancano prove convincenti. Gli Atti di Tito sono stati scritti, secondo l’opinione comune, da quel “Zena, il giureconsulto” menzionato in Tt 3,13, ma sono un’opera di fantasia; ottennero un certo successo e furono la fonte del racconto del Sinassario di Costantinopoli al 25 agosto. Il suo corpo fu probabilmente seppellito a Gortina (Creta); la sua testa fu trasferita a Venezia nell’823.

In Occidente la festa di Timoteo era il 24 gennaio fino a quando, con la riforma del Calendario Romano del 1969, venne unificata – nella data odierna – con quella di Tito. In Oriente è rimasta al 22 gennaio, data tradizionale della sua morte. Tito è commemorato nelle prime edizioni del Martirologio Romano il 4 gennaio, ma pio IX spostò la sua festa al 6 febbraio, giorno in cui, fino al 1969, era celebrata in Occidente. Nei riti greco e siriaco la festa di Tito è ancora il 25 agosto.

TIMOTEO È INVOCATO: contro i mali allo stomaco

FONTE: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler

ARTICOLI COLLEGATI

SANTI PIETRO E PAOLO
SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

 

SANTA ANGELA DA FOLIGNO

SANTA ANGELA DA FOLIGNO

Mistica e Terziaria francescana (1248-1309) 4 gennaio

beata angela da folignoGià conosciuta in vita come Maestra dei Teologi, Angela è stata proclamata santa da Papa Francesco il 9 ottobre 2013. Sposa e madre in una ricca famiglia contornata da lusso e piaceri mondani, solo a fronte di una vera e totale confessione inizia il suo cammino di penitenza.

Mistica contemporanea di Dante e di Jacopone da Todi, Angela nacque a Foligno in una ricca famiglia. Non si sa con certezza la data della sua nascita, al contrario di quella della morte, ma sappiamo che si sposò, ebbe dei figli e la madre soddisfaceva tutti i suoi capricci. Cominciò, come lei stessa racconterà al Direttore Spirituale a «conoscere il peccato», come è riportato nel Memoriale steso dallo stesso francescano. Andò a confessarsi, ma «la vergogna le impedì di fare una confessione completa e per questo rimase nel tormento».

Pregò così San Francesco che le apparve in sogno, rassicurandola che avrebbe conosciuto la misericordia di Dio. E la pace arrivò nel 1285, attraverso una confessione totale: aveva 37 anni. Iniziò così una vita di austera penitenza (l’esempio di Francesco la guidava) puntando le proprie energie sulla povertà in particolare su tre aspetti: povertà dalle cose, dagli affetti e da se stessa. Cominciò dai vestiti, dal vitto, dalle varie acconciature. Dovette anche affrontare l’ostilità, gli ostacoli e le ingiurie della famiglia: marito, figli e madre stessa. Tutti a remare contro. Ma Angela continuò nella via e nella vita di povertà che ormai si era tracciata.

01-B_Angela_da_Foligno-1Lei perseverò anche quando, in breve tempo le morirono madre, marito e figli. Rimasta sola continuò sempre più decisa il proprio tracciato esistenziale alla sequela di Cristo povero. Vendette quasi tutti i beni e cominciò a passare ore in ginocchio davanti al Crocifisso, nutrendosi quotidianamente della Scrittura.

Angela si presenta come una delle più brillanti incarnazioni dell’ideale francescano della fine del Duecento. In un primo tempo, in preda a strani fenomeni (quali locuzioni interiori, visioni celesti e tentazioni di tenebra), fu giudicata sospetta dai frati minori; ma intorno al 1290 la accettarono fra i penitenti del Terz’ordine.

Durante un pellegrinaggio ad Assisi nel quale intendeva «consultarsi» con Francesco, si fermò dalla sua amica badessa del monastero di Vallegloria che le chiese se voleva rimanere con loro. Ma Angela, pensando anche agli amici che l’accompagnavano (un piccolo cenacolo di «filioli»), rispose: «Il mio posto è nel mondo». Aggiungendo che intendeva rimanere e fare penitenza nella città dove aveva peccato. Oltre ad una certa Masazuola (che Angela chiama «la mia compagna» e si tratta della beata Pasqualina da Foligno) aveva attirato attorno a sé un piccolo cenacolo di «figli» che trovarono in lei una guida spirituale.

Come lei stessa narrò a frate Arnaldo, suo confessore (che poi scrisse il Memoriale) lungo il cammino verso Assisi Angela ebbe un lungo dialogo con lo Spirito Santo, e poi con il Cristo. Al pomeriggio tornò nella chiesa di San Francesco e qui ebbe una travolgente esperienza mistica di Dio Trinità, della sua immensità e del suo Amore.Angela_da_Foligno_-_icona_di_Patrizia_Dezi(__2012)

E poiché io – frate scrittore – qui le chiedevo e le dicevo: “Cosa hai visto?, essa rispose. Dicendo: “Ho visto una cosa piena, una maestà immensa, che non so dire, ma mi sembrava che era ogni bene. E mi disse molte parole di dolcezza quando partì e con immensa soavità e partì piano, con lentezza. E allora, dopo la sua partenza, cominciai a strillare ad alta voce – o urlare – e senza alcuna vergogna strillavo e urlavo, dicendo questa parola, cioè: “Amore non conosciuto perché? Cioè, perché mi lasci? Ma non potevo dire – o non dicevo – di più; gridavo solo senza vergogna la predetta parola, cioè: “Amore non conosciuto, e perché e perché e perché”».

La sua autobiografia spirituale mostra i trenta passi che l’anima compie raggiungendo l’intima comunione con Dio, attraverso la meditazione dei misteri di Cristo, l’Eucaristia, le tentazioni e le penitenze. Esso rappresenta la prima sezione del Liber. La seconda parte, nota come Instructiones, contiene documenti religiosi di vario tipo, curati da diversi e ignoti redattori, dove si trovano anche le lettere che Angela scriveva ai suoi figli spirituali.

Santa Angela da Foligno insegna che non c’è vera vita spirituale senza l’umiltà e senza la preghiera. Questa può essere corporale (vocale), mentale (quando si pensa a Dio) e soprannaturale (contemplazione): «In queste tre scuole uno conosce sé e Dio; e per il fatto che conosce, ama; e perché ama, desidera avere ciò che ama. E questo è il segno del vero amore: che chi ama non trasforma parte di sé, ma tutto sé nell’Amato».

Angela_of_Foligno_1Angela morì il 4 gennaio 1309, ma il suo ricordo ed il suo insegnamento attraversarono i secoli e fra i tanti che aderirono alla sua spiritualità, ricordiamo Santa Teresa d’Avila e la Beata Elisabetta della Trinità.

Angela comprese che la profonda comunione con Dio non è un’utopia, ma una possibilità, impedita solo dal peccato: di qui la necessità della mortificazione e del sacrificio; per raggiungere l’unione profonda con il Signore sono indispensabili l’Eucaristia e la meditazione della Passione e Morte di Cristo, ai piedi della Croce, insieme a Maria Santissima.

Sergio Andreoli, studioso della Beata, sintetizza il suo messaggio affermando che la spiritualità di Angela parte dall’affermazione centrale che «Dio è tutto Amore e perciò ama in modo totale» e che per corrispondere a questo amore non si dovrà fare altro che seguire il Cristo «che si è fatto e si fa ancora via in questo mondo; via… veracissima e diritta e breve».

PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

DAVANTI ALLA TOMBA DELLA BEATA ANGELA DA FOLIGNO 

Foligno – Domenica, 20 giugno 1993 –

Beata Angela da Foligno! Grandi meraviglie ha compiuto in te il Signore. Noi oggi, con animo grato, contempliamo e adoriamo l’arcano mistero della divina misericordia, che ti ha guidata sulla via della Croce fino alle vette dell’eroismo e della santità. Illuminata dalla predicazione della Parola, purificata dal Sacramento della Penitenza, tu sei diventata fulgido esempio di virtù evangeliche, maestra sapiente di discernimento cristiano, guida sicura nel cammino della perfezione.  angela da foligno

Hai conosciuto la tristezza del peccato, hai sperimentato la “perfetta letizia” del perdono di Dio. A te Cristo si è rivolto con i dolci titoli di “figlia della pace” e di “figlia della divina sapienza”. Beata Angela! confidando nella tua intercessione, invochiamo il tuo aiuto, perché sincera e perseverante sia la conversione di chi, sulle tue orme, abbandona il peccato e si apre alla grazia divina.

Sostieni quanti intendono seguirti sulla strada della fedeltà a Cristo crocifisso nelle famiglie e nelle Comunità religiose di questa Città e dell’intera Regione. Fa’ che i giovani ti sentano vicina, guidali alla scoperta della loro vocazione, perché la loro vita si apra alla gioia e all’amore. Sostieni quanti, stanchi e sfiduciati, camminano con fatica fra dolori fisici e spirituali. Sii luminoso modello di femminilità evangelica per ogni donna: per le vergini e le spose, per le madri e le vedove. La luce di Cristo, che rifulse nella tua difficile esistenza, brilli anche sul loro cammino quotidiano.

Implora, infine, la pace per noi tutti e per il mondo intero. Ottieni per la Chiesa, impegnata nella nuova evangelizzazione, il dono di numerosi apostoli, di sante vocazioni sacerdotali e religiose. Per la Comunità diocesana di Foligno implora la grazia di un’indomita fede, di una fattiva speranza e di un’ardente carità, perché, seguendo le indicazioni del recente Sinodo, avanzi spedita sulla strada della santità, annunciando e testimoniando senza sosta la perenne novità del Vangelo. Beata Angela, prega per noi!

FONTI:  http://www.santiebeati.it/dettaglio/30700; http://www.santaangeladafoligno.it/; http://www.ofsconegliano.it/wordpress/?page_id=550

ARTICOLI COLLEGATI

I PASSI DELL’ANIMA DI SANTA ANGELA DA FOLIGNO
SANTA TERESA DEL BAMBIN GESÙ
SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE
BEATO NICOLA DA GESTURI

 

SANT’ANASTASIA E IL NATALE

SANT’ANASTASIA  E IL NATALE

Martire (?304) 25 dicembre

Sant'AnastasiaLa festa di Sant’Anastasia cade proprio il giorno di Natale e parlando di lei non si può non parlare di come veniva vissuta fin dai primi tempi della cristianità questa grande e gioiosa festa.

Secondo la leggenda, Anastasia era figlia di un nobile romano di nome Pretestato e aveva come consigliere spirituale S. Crisogono (24 nov). Sposò il pagano Publio e durante la persecuzione di Diocleziano si recava a far visita e ad assistere i cristiani rinchiusi nelle carceri. Il marito, contrariato, fu costretto a sequestrarla in casa, tuttavia morì durante una missione in Persia, perciò Anastasia si trasferì ad Aquileia per poter essere di aiuto ai cristiani detenuti. Dopo il martirio dei Santi Agape, Chione e Irene (1 aprile) fu arrestata e giustiziata.

Queste e altre leggende su Anastasia sono quasi certamente apocrife. Il nome di Anastasia fu inserito nel canone della messa nel V secolo ma, a quanto pare, non era nativa di Roma e non visse mai nell’Urbe. Il suo culto ebbe origine a Sirmio nella Pannonia, dove probabilmente subì il martirio sotto il potere di Diocleziano, ma in effetti non ci sono giunti dettagli storici certi sulla sua vita e sul suo martirio.

sant'anastasia1Al tempo in cui S. Gennadio era patriarca di Costantinopoli, le reliquie di Sant’Anastasia furono portate da Sirmio a Costantinopoli, dando origine ad un culto notevole.

E’ di interesse liturgico la spiegazione del motivo per cui la sua commemorazione venne associata al Natale. La commemorazione della nascita di Cristo come festa indipendente ebbe origine a Roma, diffondendosi poi verso oriente; ma quando la pellegrina Eteria visitò Gerusalemme, alla fine del IV secolo, la natività veniva ancora osservata il 6 gennaio, durante la festa dell’Epifania, sebbene la nascita di Cristo avesse la precedenza rispetto alla celebrazione della sua esposizione e dell’omaggio dei Magi.

Eteria narra che, durante la vigilia, il vescovo, il clero, i monaci e il popolo di Gerusalemme si recavano a Betlemme e celebravano una statio solenne alla grotta della natività. A mezzanotte si formava una processione eritornavano a Gerusalemme cantando il mattutino proprio prima dell’alba. La Messa celebrata all’alba era originariamente in onore di Sant’Anastasia di Sirmio; in seguito la mattina dell’Epifania si celebrava solennemente l’eucarestia, iniziando nella grande basilica di Costantino (Martyrion) per terminare nella cappella della Resurrezione (l’Anastasis).

P. Delehaye, nel suo commentario sul Geronimiano, pone l’accento sulla riluttanza da parte della Chiesa di Gerusalemme ad adottare una festa distinta per la nascita di Nostro Signore, tuttavia in un’omelia di S. Giovanni Crisostomo si evince che ciò era già avvenuto nel 376, nella città siriana di Antiochia. Da una delle omelie del sant'anastasia2patriarca Sofronio (11 mar.) si apprende che Gerusalemme si conformò all’usanza del resto della cristianità prima della sua morte, avvenuta nel 638. Nel VI secolo, la “poliliturgia” dei riti di Gerusalemme venne copiata o imitata a Roma, per il giorno di Natale.

Al canto del gallo il papa celebrava la Messa nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove nel VII secolo, vennero portate le presunte reliquie della mangiatoia; più tardi durante la giornata, si svolgeva una processione fino a S. Pietro, dove il papa cantava nuovamente la Messa. Oltre a queste due celebrazioni ve ne era una terza, celebrata nella chiesa di Sant’Anastasia, alle pendici del Palatino.

Quest’usanza che continuò durante il periodo medievale, è specificata nel Messale Romano. Duchesne sottolinea che alla fine del V secolo, all’incirca quando il culto di Anastasia di Sirmio giunse a Roma. La chiesa era la cappella reale degli ufficiali della corte bizantina e il luogo principale del culto del quartiere greco.

Originariamente  si chiamava “basilica dell’Anastasis“, dato che , come quella di Costantinopoli, era una copia della basilica Anastasis di Gerusalemme. La chiesa fu poi dedicata a Sant’Anastasia , la cui festa cade il 25 dicembre.

L’archeologo americano P. B. Whitehead fa notare un’ulteriore possibilità: sottolinea che la chiesa di Sant’Anastasia, è uno dei 25 tituli originali o chiese parrocchiali di Roma e l’unica effettivamente nel centro della città.

Chiesa di sant’Anastasia a Roma

Sant'Anastasia_-_RomaTutte queste chiese ebbero origine nelle cappelle delle case private, ma quella di Sant’Anastasia si trova nella parte di Roma in cui sorgeva il palazzo imperiale e non nel quartiere residenziale. L’archeologo italiano del XIX secolo, G.B. de Rossi, ha scoperto nella chiesa un’iscrizione nella quale si accenna che era stata decorata con gli affreschi di papa Damaso (11 dic.), morto nel 384, il che significa che la chiesa deve essere stata fondata molto tempo prima.

Il tipo di architettura della chiesa supporta questa scoperta; una piccola parte dell’edificio può risalire al tempo di Costantino, imperatore di Roma dal 312 al 324, anno in cui trasferì la capitale a Bisanzio. Costantino aveva una sorella di nome Anastasia, di cui si sa molto poco, a parte il nome e il fatto che sposò Cesare di Bassiano, a cui Costantino affidò il governo dell’Italia.

La chiesa di S. Anastasia aveva chiaramente una grande importanza per la Roma cristiana. L’adozione di Sant’Anastasia come santa titolare può essere puramente fortuita, basata unicamente sulla similitudine di “Anastasia” e Anastasis. La dedicazione potrebbe essere d’importazione greca, trattarsi di una chiesa più Sant'Anastasia a Motta Sant'Anastasiaantica, intitolata in onore di Anastasia di Sirmio nel momento in cui si diffuse il suo culto e aumentò l’influenza bizantina su Roma.

La chiesa forse sorgeva all’interno della parte del palazzo imperiale occupata dalla sorella di Costantino, e più tardi prese il suo nome; oppure potrebbe essere esistita un’altra fondatrice romana di nome Anastasia. Le diverse possibilità non si escludono necessariamente una con l’altra, ma, sebbene la chiesa sia ora relativamente sconosciuta e le tradizioni storiche e linguistiche siano confuse, la sua storia ha distino nei secoli Anastasia di Sirmio, tanto da essere commemorata durante la seconda Messa pontificia di Natale. Nel rito bizantino la sua festa cade il 22 dicembre.

E’ INVOCATA: come protettrice dei fabbricanti e commercianti di tessuti

Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler 

ARTICOLI COLLEGATI

LE RELIQUIE DI GESÙ BAMBINO E DELLA SACRA FAMIGLIA
SANTA MARIA EGIZIACA
NATALE NEL MONDO
NATALE DEL SIGNORE
OGNI BAMBINO E’ NATALE
NATIVITA’ DI GESU’
NOVENA DI NATALE

 

SAN SABA

SAN SABA

abate (439-532) 5 dicembre

225px-SabbastheSanctifiedFigura di spicco del monachesimo delle origini, all’età di novant’anni si reca a Costantinopoli per difendere i palestinesi da una dura tassazione punitiva. La gente lo venera già da vivo come un santo. E ancora da vivo gli si attribuisce un intervento miracoloso contro i danni di una durissima siccità.

San Saba è una delle figure più importanti del monachesimo delle origini, e la sua festa del 5 dicembre è ancora osservata dalla Chiesa, nelle tradizioni orientale e occidentale, sebbene nella revisione del calendario di rito latino del 1969 abbia perso il suo rango di “commemorazione”.

Nato a Mutalaska, in Cappadocia, figlio di un ufficiale dell’esercito, inviato a studiare in un monastero vicino a Mutalaska all’età di otto anni, capisce di avere una forte vocazione per la vita monastica. Fu inviato a Gerusalemme a diciotto anni per apprendere l’esempio degli eremiti di quel paese, ma l’abate S. Eutimio il Grande (20 gen.) lo giudicò troppo giovane per condurre una vita completamente solitaria e lo raccomandò al suo monastero.

Saba era conosciuto come un instancabile lavoratore: aiutava i confratelli nei lavori più pesanti, tagliando tutta la legna e portando l’acqua in casa. A trent’anni l’abate gli diede il permesso di trascorrere cinque giorni alla settimana in una grotta san saba4remota, dove pregava e svolgeva lavori manuali: portava con sé dei rami di palma ogni domenica sera, con lo scopo di fabbricare dieci ceste al giorno, e ogni venerdì ritornava poi con cinquanta ceste pronte.

Una volta fu mandato con un compagno in un viaggio d’affari ad Alessandria, dove Saba incontrò i genitori che lo pregarono di rinunciare alla vita monastica e di seguire la professione del padre al suo rifiuto, gli chiesero di accettare almeno del denaro, ma egli prese solo tre monete d’oro, che al suo ritorno diede all’abate.

Dopo la morte di Eutimio, Saba si ritirò ancora più lontano nel deserto, in direzione di Gerico, e trascorse quattro anni da solo in un ambiente selvaggio: si nutriva di erbe selvatiche e beveva l’acqua di un ruscello, il Cedro, finché il popolo locale cominciò a portargli semplici offerte di pane, formaggio e datteri.

Molta gente lo contattò, affinché fondasse una nuova congregazione, e alla fine questi acconsentì ad istituire una laura (vedi S. Giovanni Damasceno, 4 dic), dove insieme con i suoi compagni avrebbe potuto condurre una vita quasi eremitica. Il numero dei suoi discepoli aumentò fino a centocinquanta, e non esisteva un sacerdote nella congregazione perché Saba pensava che nessun religioso potesse ritenersi degno di seguire il sacerdozio.

Alla fine alcuni monaci chiesero a Sallustio, patriarca di Gerusalemme, d’intervenire, perciò nel 491 quest’ultimo insistette per l’ordinazione di Saba, all’età di cinquantatré anni. Alcuni monaci si lamentavano anche che era spesso assente dalla laura: come l’abate Eutimio, trascorreva molto tempo in solitudine e san saba3seguiva l’usanza di osservare la Quaresima da solo. Sessanta monaci si ritirarono e istituirono una laura a qualche chilometro di distanza, e quando Saba venne a conoscenza che erano in difficoltà, mandò loro dei rifornimenti e riparò la loro chiesa.

La reputazione di Saba come santo fece sì che molta gente giungesse alla laura da paesi lontani, e tra i monaci vi erano egiziani e armeni per i quali furono studiati accorgimenti affinché potessero celebrare gli Uffici nella propria lingua. Alla morte del padre, la madre di Saba giunse in Palestina e si mise al servizio di Dio, sotto la sua protezione: donò il denaro sufficiente a costruire due edifici, un albergo per i pellegrini, e un ospedale per i malati, oltre che un altro ospedale a Gerico, e un nuovo monastero vicino alla laura.

Il patriarca di Gerusalemme nel 493 nominò Saba archimandrita (superiore) di tutti i monaci della Palestina che conducevano la vita eremitica in celle separate. S. Teodosio il Cenobiarca (11 gen.) ricevette un incarico simile con i monaci della congregazione. Nel 511 Saba fu inviato dal patriarca Elia di Gerusalemme con altri abati in delegazione presso l’imperatore Anastasio a Costantinopoli.

All’arrivo del gruppo, i membri furono accolti a palazzo (tutti tranne Saba). L’ufficiale all’ingresso disse che era un mendicante e lo mandò via; Saba si ritirò, senza dire niente. Quando l’imperatore finì di leggere la lettera del patriarca, che conteneva una forte raccomandazione per Saba, chiese dove si trovava, e il santo fu trovato in un angolo, che recitava le sue preghiere.

san saba5Mentre Saba trascorreva l’inverno a Costantinopoli, facendo frequenti visite all’imperatore per discutere l’eresia monofisita,(che negava la duplice natura, divina e umana, di Gesù Cristo, riconoscendogli solo quella divina) il patriarca Elia fu bandito da Gerusalemme ed esiliato a Aïla (Eilat) sul Mar Rosso. Saba presenziò alla sua morte, e poi partì in missione per Cesarea, Scitopoli, e altre regioni, predicando e opponendosi all’eresia.

A novant’anni ritornò a Costantinopoli, per richiesta del patriarca Pietro, per fornire informazioni sulla rivolta samaritana e la sua violenta repressione da parte delle forze imperiali. Siamo nel 530 ed è per lui una fatica enorme vista l’età, ma affronta il viaggio per difendere i palestinesi da una dura tassazione punitiva. La gente lo venera già da vivo come un santo. E ancora da vivo gli si attribuisce un intervento miracoloso contro i danni di una durissima siccità.

L’imperatore Giustiniano lo ricevette con onore e gli offrì donazioni per i suoi monasteri. Saba lo ringraziò ma disse che i monaci non ne avevano bisogno, in quanto servivano Dio; chiese invece di non tassare così pesantemente il popolo di Palestina, di costruire un albergo per pellegrini a Gerusalemme e una fortezza per proteggere i monaci e gli eremiti dalle incursioni nemiche, oltre ad adottare ulteriori provvedimenti per sistemare la questione dei samaritani, tutte richiese che furono esaudite.

SAn saba1Pochissimo tempo dopo il suo ritorno alla laura, Saba s’ammalò, e il patriarca lo fece portare in una chiesa vicina, dove lo assistette personalmente. Saba soffrì molto ma sopportò il dolore con pazienza e rassegnazione, mentre stava morendo chiese di essere riportato nella sua laura, dove nominò il suo successore e lo istruì; poi giacque per quattro giorni in totale silenzio, pensando solo a Dio. Morì la sera del 5 dicembre 532, all’età di novantaquattro anni.

Il suo monastero principale, che prese da lui il nome di Mar Saba, talvolta chiamato la Grande Laura, si può ancora vedere in una gola del Cedron, ad una quindicina di chilometri a sud est di Gerusalemme, nel deserto.

Tra i monaci che vi sono vissuti, vi erano S. Giovanni Damasceno (4 dic.) e san Giovanni il silente. Dopo un periodo in rovina il monastero fu restaurato dal governo russo nel 1840 ed è ora abitato da monaci della Chiesa ortodossa orientale. Le reliquie di San Saba sono state riportate nel monastero nel 1965 da papa Paolo VI.

Fonti: Il grande libro dei santi di Alban Butler/ http://www.santiebeati.it/dettaglio/80600

ARTICOLI COLLEGATI

SAN GIOVANNI DAMASCENO
I MARTIRI DI MAR SABA
LA MADONNA CHE ALLATTA

BEATA CHIARA LUCE

BEATA CHIARA LUCE

Giovane focolarina (1971-1990) 29 ottobre 

chiara-luce-badano-teenDopo un attesa di 11 anni i suoi genitori si recano, in pellegrinaggio, al Santuario di Nostra Signora delle Rocche a Molare (AL -Italia), per chiedere la grazia di un figlio. Nasce così Chiara Badano detta Chiara Luce. A diciotto anni però, a causa di un tumore osseo, muore in odore di santità e viene beatificata davanti ai suoi genitori e al Movimento dei Focolari al quale apparteneva.

Visse a Sassello con il padre Ruggero, camionista, e la madre Maria Teresa, casalinga. Volitiva, tenace, altruista, di lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi, sorriso aperto, ama la neve e il mare, pratica molti sport. Ha un debole per le persone anziane che copre di attenzioni.

A nove anni conosce i ‘Focolarini’ di Chiara Lubich ed entra a fare parte dei ‘Gen’. Dai suoi quaderni traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla: callo osseo la prima diagnosi, osteosarcoma dopo analisi più approfondite. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non perde mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio.

chiaraluce01rLa sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato: “L’importante è fare la volontà di Dio…è stare al suo gioco…Un altro mondo mi attende…Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela…Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali…

Alla mamma che le chiede se soffre molto risponde: «Gesù mi smacchia con la varechina anche i puntini neri e la varechina brucia. Così quando arriverò in Paradiso sarò bianca come la neve». E’ convinta dell’amore di Dio nei suoi riguardi: afferma, infatti: «Dio mi ama immensamente», e lo riconferma con forza, anche se è attanagliata dai dolori: «Eppure è vero: Dio mi vuole bene!». Dopo una notte molto travagliata giungerà a dire: «Soffrivo molto, ma la mia anima cantava…».

Agli amici che si recano da lei per consolarla, ma tornano a casa loro stessi consolati, poco prima di partire per il Cielo confiderà: «…Voi non potete immaginare qual è chiara LUCE3ora il mio rapporto con Gesù… Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande. Forse potrei restare su questo letto per anni, non lo so. A me interessa solo la volontà dì Dio, fare bene quella nell’attimo presente: stare al gioco di Dio”. E ancora: “Ero troppo assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà cosa. Ora mi sembrano cose insignificanti, futili e passeggere… Ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela. Se adesso mi chiedessero se voglio camminare (l’intervento la rese paralizzata), direi di no, perché così sono più vicina a Gesù”.

Non si aspetta il miracolo della guarigione, anche se in un bigliettino aveva scritto alla Madonna: «Mamma Celeste, ti chiedo il miracolo della mia guarigione; se ciò non rientra nella volontà di Dio, ti chiedo la forza a non mollare mai!» e terrà fede a questa promessa.

CHIARA LUCE1Fin da ragazzina si era proposta di non «donare Gesù agli amici a parole, ma con il comportamento». Tutto questo non è sempre facile; infatti, ripeterà alcune volte: «Com’è duro andare contro corrente!». E per riuscire a superare ogni ostacolo, ripete: «E’ per te, Gesù!».

Chiara Lubich, che la seguirà da vicino, durante tutta la malattia, in un’affettuosa lettera le pone il soprannone di ‘Luce’. Mons. Livio Maritano, vescovo dicocesano, così la ricorda: “…Si sentiva in lei la presenza dello Spirito Santo che la rendeva capace di imprimere nelle persone che l’avvicinavano il suo modo di amare Dio e gli uomini. Ha regalato a tutti noi un’esperienza religiosa molto rara ed eccezionale”.

IL FILMCHIARA LUCE2

Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Lo fa indossare alla sua migliore amica per vedere come le starà. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: “Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!“.

Muore all’alba del 7 ottobre 1990. Venerabile dal 3 luglio 2008, è stata beatificata il 25 settembre 2010 presso il Santuario del Divino Amore in Roma.

SITO UFFICIALE  

Fonte: http://www.santiebeati.it/dettaglio/91545

ARTICOLI COLLEGATI

CHIARA LUBICH
Santuario di Nostra Signora delle Rocche

 

SERVA DI DIO MADRE MARIA DEGLI ANGELI

SERVA DI DIO MADRE MARIA DEGLI ANGELI

Fondatrice (1871-1949) 7 Ottobre

serva-di-dio-maria-degli-angeli-28giuseppina-operti29Un secolo dopo la morte della torinese carmelitana scalza beata Maria degli Angeli (1661-1717), nacque l’altra carmelitana omonima, la Serva di Dio Maria degli Angeli anch’essa di Torino. Due nomi uguali, due cammini paralleli di santità, nello stesso Ordine religioso e nella stessa città, anche così si avverano i disegni di Dio.

Giuseppina Operti nacque a Torino il 16 novembre 1871, seconda figlia di Giacomo Operti, funzionario del Ministero delle Finanze e della baronessa Adele Sinaglia. La forte religiosità cristiana della famiglia, contribuì molto alla sua formazione umana e spirituale, tanto è vero che in seguito la madre seguirà la figlia nella vita religiosa.

Giuseppina racconta nei suoi diari e nella cronistoria, che “alla domenica tutta la famiglia, insieme, andava a Messa: papà e mamma, Ernesto e io.” E il papà, “uscito da Messa, portava tutti i suoi cari in pasticceria”  perché diceva: “anche a tavola si deve vedere che è il giorno del Signore!”

Ma le prove non tardarono ad arrivare per questa esemplare famiglia, il 22 giugno 1885 il fratello Ernesto di 19 anni, morì di tisi con ammirabile rassegnazione, il padre schiantato dal dolore morì a sua volta tre mesi dopo il 25 settembre; Giuseppina e la madre rimasero sole, riponendo la loro fiducia in Dio riuscirono a SERVA DI DIO MADRE MARIA DEGLI ANGELIreagire all’immenso dolore; intensificarono la vita spirituale e in quel tempo conobbero la spiritualità carmelitana. A 15 anni, durante un pellegrinaggio al santuario della Madonna di Oropa, ebbe un primo approccio con il Carmelo attraverso la proposta di don Filippo, fatta alla mamma, di entrare nel Terz’Ordine Secolare carmelitano. Giuseppina, fortemente motivata si iscrisse nel 1887 al Terz’Ordine Carmelitano, avvertendo nel contempo la chiamata alla vita religiosa.

Nel luglio 1893 il parroco di Marene (Cuneo) don Giovanni Battista Rolle, invitò Giuseppina Operti a fondare un Istituto di beneficenza, ciò fu interpretato come un segno della volontà di Dio e il 6 luglio 1894 il nuovo Istituto fu inaugurato a Marene; questa data è considerata il giorno di fondazione delle “Suore Carmelitane di Santa Teresa di Torino”. Intanto Giuseppina, era sempre più convinta di formare una comunità religiosa legata all’Ordine Carmelitano, che coniugasse la vita contemplativa a quella attiva; con l’assistenza del suo direttore spirituale don Giorgio Gallina ne parlò con l’arcivescovo di Torino mons. Davide Riccardi che approvò il progetto.

Così con la guida di don Gallina, considerato cofondatore del nuovo Istituto, iniziò la vita comunitaria con quattro postulanti; nel 1894-95 furono approvate le Costituzioni e Giuseppina e la madre Adele, vestirono l’abito carmelitano prendendo i nomi rispettivamente di Maria degli Angeli e di Giuseppina di S. Teresa. Il 6 ottobre 1897 la Congregazione delle “Suore Carmelitane di Santa Teresa di Torino” ottenne l’aggregazione all’Ordine Carmelitano.

Negli anni che seguirono, la comunità impegnata in tante opere sociali e di carità, si allargò con una seconda casa a Cherasco nel 1899 e poi con un’altra a Torino, che in seguito diverrà la Casa Madre della Congregazione. Ormai convinta di aver esaurito il OROPAsuo compito di fondatrice, madre Maria degli Angeli rinunciò alla carica di priora e si ritirò nel noviziato, come esempio visibile per le nuove novizie. Durante questo periodo, sentì risorgere in lei l’antico e mai sopito desiderio di abbracciare una vita contemplativa claustrale e con il consenso dei superiori, il 26 agosto 1905 madre Maria degli Angeli entrò nel monastero carmelitano di Moncalieri, che purtroppo dovette lasciare dopo pochi mesi a causa della cagionevole salute.

Madonna di Oropa

Ritornata nella sua Congregazione fu nominata Superiora Generale; intanto la vita nella comunità aveva un certo fermento, perché diverse suore chiedevano di entrare nel Carmelo di Moncalieri, ponendo così il problema se la Congregazione avesse il compito di incrementare le vocazioni dei monasteri di clausura. Si arrivò così al Capitolo Generale del 1908, dove sotto la guida di don Giorgio Gallina e di mons. Ezio Gastaldi, si sancì con voto unanime la scelta della vita contemplativa unita alla vita apostolica, dando anche alle suore che lo desideravano, la possibilità di scegliere la vita contemplativa, scindendosi in una comunità claustrale. Si attuò così la divisione della Congregazione in due rami, uno claustrale e l’altro di vita contemplativa attiva; madre Maria degli Angeli si ritirò in clausura con le suore che avevano scelto questa forma di vita e nel 1913 e 1914, con decreto arcivescovile furono riconosciute le due realtà delle Carmelitane di Santa Teresa di Torino.

madrefondsegnalibroCi furono molte difficoltà per questa suddivisione, che procurarono a madre Maria degli Angeli molte sofferenze; fu eletta superiora della Carmelitane Scalze, carica che mantenne fino al 1941 quando si dimise; la comunità claustrale nel 1934 lasciò Marene per trasferirsi nel nuovo monastero di Cascine Vica, mentre la Congregazione di vita attiva, guidata dalla Superiora Generale madre Teresa di Gesù, ebbe una straordinaria diffusione con l’apertura di nuove case. Durante il periodo della disastrosa Seconda Guerra Mondiale, il monastero delle Carmelitane Scalze soffrì enormi problemi, con privazioni e stenti a non finire.

Fu una donna coraggiosa, dotata di una carica profonda di serenità, capace di ascolto, di dialogo. Una delle belle figure del Carmelo, autentica donna di Dio, espressione di quel distacco dal mondo, pur stando nel mondo, pur seguendo il mondo negli anni più bui quelli della guerra.

Madre Maria degli Angeli morì santamente a Rivoli il 7 ottobre 1949. Il 10 dicembre 1995 fu introdotto il processo diocesano per la sua beatificazione, la causa prosegue presso la competente Congregazione Vaticana.

Fonti: Antonio Borrelli su  http://www.santiebeati.it/dettaglio/92349http://www.carmelitane.com/

ARTICOLI COLLEGATI

BEATA MARIA DEGLI ANGELI
Madonna della Neve di Adro

BEATO ALBERTO MARVELLI

BEATO ALBERTO MARVELLI

Ingegnere e politico (1918 – 1946) 5 ottobre

AlbertoMarvelli_taglioChi l’avrebbe detto che un politico italiano potesse diventare santo? Ebbene Alberto Marvelli un ingegnere e politico italiano, è sulla strada per diventarlo, infatti papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 5 settembre 2004, ma per chi ha avuto la grazia di conoscerlo, lo è già.

Alberto Marvelli è uno splendido esempio di giovane professionista, di laico impegnato nell’apostolato e nella costruzione di un mondo migliore anche come politico, in un’Italia che subiva gli ultimi contraccolpi della devastante Seconda Guerra Mondiale. Nato a Ferrara il 21 marzo 1918; secondo dei sette figli dei coniugi Alfredo Marvelli e Maria Mayr. Famiglia benestante, che nel 1930 si trasferisce a Rimini.

Qui Alberto, dodicenne, incontra l’Oratorio salesiano e l’Azione cattolica. Emerge presto come animatore e catechista, e poi nello sport, a cominciare dal ciclismo. Dopo vengono calcio, nuoto, tennis. Alberto MarvelliQuando Alberto ha 15 anni, il padre muore per meningite fulminante; poi il fratello maggiore Adolfo entra all’Accademia militare e Alberto affianca la madre nel guidare la famiglia.

“Gesù è il primo ed il vero amico, il modello dell’amicizia perfetta: Gesù non è solo morto per i suoi amici, ma è anche vissuto per essi”.

A Rimini frequenta il liceo classico (uno dei suoi compagni di classe è Federico Fellini) e vorrebbe entrare nell’Accademia navale: ma non è accolto per un difetto alla vista. Si laurea in ingegneria nel 1941 a Bologna. (Da anni nel tempo libero andava a lavorare in uno zuccherificio, e più tardi in una fonderia). Nell’associazionismo cattolico è ormai una guida dei giovani, con una singolare capacità di entusiasmarli, alberto marvelli all'università“farli volare”. E si amareggia per gli indifferenti: «S’incontrano giovani senza fede e senza entusiasmo per le altezze». Ha preso a modello il futuro beato Pier Giorgio Frassati, morto quando lui aveva sette anni: «Oh, se potessi imitarlo!».

Dal giugno 1940 l’Italia è in guerra: Alberto viene chiamato alle armi dopo la laurea, ma presto congedato, perché ha già due fratelli combattenti. Lo richiamano nel 1943, a Treviso. E lì apprende che suo fratello Lello, il quartogenito, è morto sul fronte russo.

“Quando facciamo qualcosa non dobbiamo chiederci che si dirà di noi, ma piuttosto che avverrà degli altri”.

Torna a Rimini dopo l’armistizio del settembre 1943, ma poco dopo si “richiama in servizio” da sé, contro le sofferenze degli altri. «Compare in bicicletta, pronto a portare aiuto, lucido, coraggioso, determinato: organizza, agisce, affronta i pericoli in prima persona» (F. Lanfranchi- P. Fiorini, A. M., un beato che resta amico). La guerra ha moltiplicato i “nullatenenti”, e lui li serve, pensa al pane, al sale, al latte, ai vestiti, ai rifugi. Per lui vivere è soccorrere, muovendosi in bicicletta (a volte con un asino). “Arruola” i ragazzi dell’Azione cattolica perché tanti disperati alberto marvelli1possano mangiare, vestirsi, dormire. E continuare a vivere, a volte: ci sono ragazzi che rischiano la fucilazione perché non si arruolano nella Rsi. Lui procura documenti, lasciapassare, nasconde i ricercati. E un giorno i tedeschi arrestano lui, che però si mette in salvo durante un attacco aereo. Non si sa quando dorma, perché nei momenti calmi lo vedono col rosario in mano. Questo per lui è come mangiare e dormire.

UN MIRACOLO DI ALBERTO MARVELLI

In questa feroce stagione comincia a balenare quasi una “fama di santità” intorno a lui. C’è chi dice che, mentre distribuiva i soccorsi, le sue mani “erano luminose”. Una donna gli parla del figlio che non torna mai dalla guerra, e lui un giorno le dice di correre a casa, dove l’aspetta suo figlio; ed è proprio così…L’ingegnere del rosario rimane “mobilitato” anche dopo la guerra, perché c’è un’epidemia di tifo. E poi lo chiamano a lavorare nelle prime opere di ricostruzione; è tra i fondatori delle Acli; crea un’università popolare. Chiamato da Benigno Zaccagnini, entra nella Democrazia cristiana, partecipando alla campagna elettorale amministrativa nell’autunno 1946. E muore a 28 anni mentre va a tenere l’ultimo comizio, travolto da un camion militare delle truppe di occupazione con la sua bicicletta.alberto marvelli2

“Non credere di perdere tempo trascorrendo anche delle ore con i bimbi, cercando di divertirli e di renderli più buoni. Gesù stesso li prediligeva e li teneva vicino a sé. E le parole buone dette a loro non saranno mai troppe”.

Nel 2004 Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato dicendo: “Ha mostrato come, nel mutare dei tempi e delle situazioni, i laici cristiani sappiano dedicarsi senza riserve alla costruzione del Regno di Dio nella famiglia, nel lavoro, nella cultura, nella politica, portando il Vangelo nel cuore della società”.

Il corpo è custodito nella chiesa di Sant’Agostino a Rimini.

Fonti: http://www.santiebeati.it/dettaglio/91603http://chiesa.rimini.it/albertomarvelli/alberto/chi-e-alberto-marvelli-2/

SAN MAURIZIO

SAN MAURIZIO 

e compagni martiri della Legione Tebea (c. 287) 22 settembre

san-maurizio-31
Quadro di San Maurizio custodito nella cappella del Verolliez, luogo del martirio del Santo

Maurizio era il capitano della Legione Tebea a cui venne chiesto di uccidere i cristiani. Lui e tutti i suoi soldati, professatisi cristiani, preferirono il martirio pur di non versare sangue innocente come specificarono in una lettera all’imperatore:  […]preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli[…]

La fonte principale delle informazioni su S. Maurizio e la cosiddetta Legione Tebana è la passio martyrum Acaunensium di S. Eucherio di Lione. La versione che è stata tramandata risale al IX secolo, ma Eucherio la cita in una lettera scritta a un altro vescovo chiamato Salvio, nel 440 circa, e afferma che a quel tempo la tradizione orale esisteva già da un secolo.

Uno studioso tedesco, D. van Berchem, esaminando la passio dal 1944 al 1949, è giunto alla conclusione che la fonte del racconto orale fu Teodoro, un vescovo di Octodurum del IV secolo, il quale importò la leggenda dall’Oriente, in base alla quale Maurizio fu martirizzato insieme a settanta dei suoi soldati, che, come sostiene van Berchem non erano ne tebani, ne costituivano una vera legione.

san maurizio6Secondo la versione di Eucherio molto arricchita, l’imperatore Massimiano giudò un esercito contro un gruppo di galli in rivolta, i bagaudi, e giunto a Octodurum (l’attuale Martigny), a sud est del lago di Ginevra, ordinò ai suoi uomini di compiere un sacrificio agli dei per il successo della spedizione. 

Un’unità di quest’esercito era la Legione Tebana, i cui membri erano stati reclutati nell’Alto Egitto ed erano tutti cristiani; senza eccezioni, piuttosto che offrire un sacrificio a dei in cui non credevano, si ritirarono, condotti dal loro primicerius a portavoce, Maurizio, fino alla vicina Agaunum (l’odierna Saint-Maurice-en-Valais). Massimiano, quando non riuscì con i suoi ripetuti ordini a infrangere la loro decisione unanime, comandò che la legione fosse decimata (di dieci in dieci, ogni decimo soldato sarebbe stato ucciso, poi l’ordine ripetuto, e il processo reiterato).

Maurizio ed i suoi compagni scrissero all’imparatore Massimiano una lettera onde spiegargli le valide motivazioni della loro ribellione:

Siamo tuoi soldati, ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a lui l’integrità e la salute, da te abbiamo percepito il salario, da lui il principio della vita […].Metteremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo col sangue degli innocenti […]. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio. Siamo stati spruzzati dalsangue dei nostri martirio di san Maurizio e ccfratelli e commilitoni, ma non ci affliggemmo,alzammo le nostre lodi perchè erano stati ritenuti degni dipartire per il loro Signore Dio. Ecco deponiamo le armi […]preferiamo morire innocenti che uccidere e vivere colpevoli[…] non neghiamo di essere cristiani […]perciò non possiamo perseguitare i cristiani”.

Si narra che i soldati, incoraggiati dai loro ufficiali e in particolare da Maurizio, furono irremovibili fino alla fine. Al termine di questa persecuzione si suppone che siano stati uccisi più di 6.600 soldati (o secondo un’altra fonte 6.666), forse dai loro compagni. I compagni di Maurizio erano Candido, Esuperio e Vitale, e si afferma che nel gruppo vi fosse anche un soldato di un’altra legione di nome Vittore, che si trovò a passare in quel luogo e confessò la sua fede. Anche se i numeri sono stati esagerati, e molti dettagli furono aggiunti nel V secolo sembra esserci stato un vero martirio alla base della storia.

san maurizioIl culto nei confronti dei martiri risalirebbe al IV secolo, durante il quale il suddetto San Teodulo fece edificare la basilica ancora oggi esistente per ospitarne le reliquie. In occasione della visita di San Martino di Tours si verificò un evento miracoloso: la terra iniziò a trasudare sangue indicando così il luogo ove riposavano i santi resti sulle rive del Rodano ed egli lo raccolse in appositi vasetti per distribuirlo alle varie chiese. Eucherio ricorda che “molti giungevano da diverse province per onorare devotamente questi santi, e offrire dono d’oro, d’argento, e altri oggetti”, oggi conservati nel piccolo museo adiacente la basilica, a Brzeg in Polonia ed a Torino.

San Maurizio è tra i patroni d’Austria, Piemonte, Savoia e Sardegna, e anche di cappellai, tessitori e tintori (specialmente di tappezzerie di Goblins) oltre che dei soldati (specialmente delle guardie svizzere).

La chiesa costruita presso Agaunum divenne successivamente il nucleo di un’abbazia, grazie al re burgundo San Sigismondo, la prima in Occidente a recitare l’Ufficio divino per l’intera giornata, grazie ad un ciclo di cori. Oggi è affidata agli agostiniani Canonici Regolari Lateranensi, che annualmente ogni 22 settembre, giorno della festa secondo il Martyrologium Romanum, organizzano la processione con le reliquie per le strade del paese.

PREGHIERA

a San Maurizio e compagni

san maurizio2O glorioso San Maurizio, che dopo aver edificato i compagni con una condotta esemplare di vita, li hai incoraggiati a versare il proprio sangue per la confessione della fede e li hai visti felici di dare la vita per Cristo e per il Vangelo, ottienici la grazia di testimoniare fino alla effusione del sangue la nostra fede piuttosto che comprometterci con il male e con il peccato e di saper soffrire per amore di Cristo.

Gloria al Padre…

O glorioso San Maurizio, che una volta convertito al cristianesimo,diventasti con la parola e con l’esempio testimone autentico e coraggioso degli insegnamenti di Cristo verso i compagni, ottienici la grazia di esprimere la nostra fede in una chiara testimonianza di vita, per essere nel mondo segni luminosi della verità che salva.

Gloria al Padre…

O glorioso San Maurizio, che hai ottenuto la grazia di coronare col martirio la fede professata nella vita, per cui godi ora la gioia di vedere in eterno il tuo Creatore e Redentore, ottienici la grazia di esercitare costantemente le virtù cristiane per ricevere come premio la beata visione di Dio.

san maurizio4Gloria al Padre…

O glorioso San Maurizio, che seguendo il Cristo sulla via della Croce sei divenuto testimone e maestro di virtù per tanti fratelli,aiutaci a professare con coraggio la nostra fede e, fedeli al Vangelo, a edificare un mondo più giusto e fraterno.

Gloria al Padre…

O glorioso San Maurizio, che coronasti la tua la tua vita terrena con la palma del martirio insieme ai tuoi compagni d’arme e di fede della legione tebea, spargendo il tuo sangue per Nostro Signore Gesù Cristo, e che da allora in poi prendesti a proteggere le nostre terre subalpine e fosti nel corso dei secoli proclamato Patrono Principale degli Stati Sabaudi, vieni in aiuto della nostra Italia; ottieni dal Cuore Sacratissimo di Gesù, grazie all’intercessione della nostra Madre Celeste Maria Immacolata,che Essa riviva e riprenda il corso della sua gloriosa storia nella pratica costante e perfetta della vita cristiana.

Gloria al Padre…

E’ INVOCATO: come protettore di combattenti, guardie svizzere, militari, fabbricanti di cappelli, tessitori e tintori

FONTI: Il primo grande dizionari dei santi di Alban Butler; http://www.santiebeati.it/dettaglio/34800

BEATA MARIA DI GESÙ

BEATA MARIA DI GESÙ

carmelitana scalza (1560-1640) 13 settembre

beata teresa maria di Gesù2Mistica amata da Santa Teresa D’Avila, con il dono delle stimmate, amava ripetere: «Solo colui che è tanto fortunato da rendere Cristo padrone del proprio essere sa conoscere Dio Divino ed Umano; costui cammina per sicuro sentiero». 

Maria Lopez de Rivas nacque da una nobile famiglia a Tartanedo, nella provincia spagnola di Guadalajara, il 18 agosto 1560. Il padre morì quando aveva solo quattro anni ed essendo l’unica figlia ereditò un patrimonio considerevole. La madre, vedova a soli diciannove anni, si risposò e la piccola rimase presso i nonni e gli zii paterni a Molina de Argon, dove fu educata cristianamente da un gesuita, A. de Castro. Di “rara bellezza”, tra i quattordici e i diciassette anni sostenne la lotta con se stessa e con i familiari per il desiderio che sentiva di consacrarsi al Signore nell’ordine carmelitano da poco riformato. Chiese così di entrare a far parte dell’Ordine delle carmelitane scalze, appena istituito. S. Teresa d’Avila (15 ott.) , che l’accettò nel monastero a Toledo, deve averla tenuta in alta considerazione, poiché scrisse alla priora:

beata teresa maria di GesùTi mando per suo tramite una dote di cinquemila scudi, ma vi assicuro che io stessa vorrei pagare lo stesso prezzo per poterla avere con me. Non dovrebbe essere considerata al pari del resto (a Dio piacendo, la mia speranza è che lo abbia nel suo cuore, perché diventi qualcosa di straordinario)“.

Maria ricevette la veste monacale il 12 agosto 1577, la sua salute era preoccupante, e un anno dopo si parlò della sua impossibilità di pronunciare i voti. Di nuovo intervenne Teresa:

Stiano attenti a quello che fanno, perché se non concedono a suor Maria di Gesù di pronunciare i voti, la porterò ad Avila, e la casa in cui entrerà sarà la più fortunata di tutte. Se me la lascerete, in qualunque monastero io andrò a vivere, la porterò sempre con me, anche se dovesse trascorrere la vita intera a letto”.

Queste parole fecero pendere l’ago della bilancia in favore di Maria, che pronunciò i voti l’8 settembre 1578. I primi anni furono dedicati prevalentemente all’orazione, iniziandosi a manifestare in lei doni mistici come le stigmate alle mani, ai piedi, al costato e al capo. Anziché trascorrere il tempo a letto, continuò, nonostante le malattie continue e molte difficoltà personali, a condurre una vita attiva come carmelitana.

beata teresa maria di Gesù1Nel 1583, all’età di soli ventitrè anni, fu nominata maestra delle novizie, un incarico che svolse in diverse occasioni nel suo monastero, e una volta a Cuenca. Ricevette anche l’incarico di prora e vice priora più di una volta, dal 1587 al 1627. Nel 1600, quando mancava un anno alla scadenza del secondo triennio di priorato, durante una visita canonica, il superiore diede superficialmente credito alle accuse infondate di una monaca deponendo la Beata dalla carica. Suor Maria accettò la prova senza risentimento, conservando inalterato il buonumore. Per un ventennio sopportò umilmente le calunnie, alcune malattie e afflizioni spirituali con cui il Signore provò la sua santità: era la notte interiore dello spirito.

Un anno dopo la morte dell’accusatrice, per la quale Maria pregò intensamente per ottenerle un sereno trapasso, veniva pubblicamente riabilitata dallo stesso superiore che davanti alla comunità le chiese perdono. Non scoraggiata dall’atteggiamento di alcuni membri dell’ordine, inclusa la provinciale e la generale, mostrò sempre un gran rispetto per l’autorità. Nel frattempo, le suore più sensibili del loro convento ignorarono le accuse e la reintegrarono nel suo incarico di maestra delle novizie.

Teresa d’Avila aveva riconosciuto la forza interiore dei Maria sin dall’inizio, e fu indubbiamente questo che le permise di perseverare. Visse costantemente nella presenza di Dio (a tal punto che sembra che Teresa si fosse espressa favorevolmente sulla necessità di”distrarla” facendola lavorare nella sacrestia dell’infermeria), inoltre aveva una particolare devozione per il Sacro Cuore di Gesù.

beata teresa maria di Gesù2Il giorno dell’Epifania del 1629 il Signore le disse: “Maria, tu mi chiedi di essere liberata dalla prigionia del corpo, sappi che non è ancora tempo, perché se finora hai vissuto per te, adesso devi vivere per altri; per il tuo riposo un’eternità ti attende”. E lei davvero donò tutta se stessa per il bene della comunità e del prossimo.

Diventò famosa come santa mentre era in vita, e subito dopo la morte. Il 13 settembre 1640, ormai allo stremo delle forze, chiese alla superiora il permesso di morire. Dopo aver ricevuto Gesù Eucaristia spirò. Erano le dieci del mattino. Aveva ottant’anni, di cui sessantatre consacrati al Signore. Una vasta fama di santità la circondava, suor Maria aveva risposto pienamente a quanto, un giorno, si sentì dire dal Signore:Figlia il tuo amore è così veemente, che nessuno lo merita al di fuori di me”.

Le sue grandi devozioni oltre al  Sacro Cuore di Gesù furono per il Bambin Gesù che definiva «dottore dell’infermità d’amore», per il Sacro Cuore, per Maria, per l’Eucaristia. Alle consorelle ripeteva: «Figlie, sanno che siamo di casa con il SS. Sacramento, che viviamo insieme a Sua Maestà, sotto il medesimo tetto? Se i religiosi fossero consapevoli di tale privilegio, nessuno riterrebbe acquistarlo a troppo caro prezzo, fosse pure di lacrime e di sangue». Amava ripetere: «Solo colui che è tanto fortunato da rendere Cristo padrone del proprio essere sa conoscere Dio Divino ed Umano; costui cammina per sicuro sentiero». 
Beatificata il 14 novembre 1976 da Papa Paolo VI, la sua festa ricorre il 13 settembre.

beata teresa maria di GesùPREGHIERA

O Dio, che alla Beata Maria di Gesù, carmelitana, 
hai concesso il dono di una profonda contemplazione 
dei misteri del Cristo, tuo Figlio, sino a riflettere in sé l’immagine del suo amore, per sua intercessione concedici una fede che in tutto cerchi di vedere Gesù 
e un amore che ne renda viva nel mondo la presenza di gioia ed in particolare la grazia che ora di cuore ti chiediamo.
Per Cristo Nostro Signore. Amen

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler;  http://www.santiebeati.it/dettaglio/92634 

BEATA MARIA DI SANTA CECILIA ROMANA

BEATA MARIA DI SANTA CECILIA ROMANA

vergine (1897-1929) 4 settembre

BEATA MARIA DI SANTA CECILIA ROMANASuor Maria di S. Cecilia Romana (al secolo Dina Belanger, canadese) ebbe come altri più famosi santi e mistici la possibilità di vedere il luogo dove non vorremmo mai finire: l’inferno! Visse solo 32 anni, ma furono anni intensi di doni mistici, di sopportazione del male crudele, di donazione a Dio nella vita consacrata.

Maria Dina Adelaide Bélanger, nacque il 30 aprile 1897 a Quebec, Canada; figlia dei coniugi Ottavio Bélanger e Serafina Marte, fu praticamente figlia unica, perché un fratellino nato 17 mesi dopo di lei, morì verso i tre mesi di vita. A 4 anni fu fortemente impressionata dal demonio e dall’inferno, vedendo demoni in continuo movimento e agitati. Capisce allora che il peccato è una suggestione diabolica.

In famiglia e fra le coetanee, fu sempre chiamata Dina; di natura piuttosto sensibile e violenta, fu educata dai genitori con una pedagogia efficace e saggia; le condizioni della famiglia erano agiate, per cui essendo figlia unica e senza problemi economici, avrebbe potuto crescere anche egoista e capricciosa. Ma l’esempio edificante dei suoi pii genitori, l’educò ad un comportamento diverso; come Suor Maria raccontò nella BEATA MARIA DI SANTA CECILIA ROMANA_dina_belangersua Autobiografia, essi erano dotati di grande generosità, soccorrevano i poveri con discrezione e in segreto distribuivano molte elemosine, consolavano i derelitti, con parole d’incoraggiamento e di religiosità, con visite frequenti e non affrettate; e Dina già da bambina, accompagnava la mamma nelle sue visite di carità.

A sei anni, cominciò a frequentare la scuola delle “Suore di Notre-Dame” e poi per le classi secondarie, la scuola “Jacques Cartier”; a 10 anni il 2 maggio 1907, fece la Prima Comunione e ricevé la Cresima; scrisse di quel giorno: “Gesù era in me e io in Lui”. Successivamente, quando scriverà l’Autobiografia, Dina Bélanger, descriverà le varie tappe del suo percorso spirituale, che la porterà ad un’unione mistica con Cristo e noi qui citeremo di volta in volta, qualche sua nota. Il 20 marzo 1908, quindi ad 11 anni, un Giovedì Santo, ebbe un primo colloquio con Gesù, “Era la prima volta che capivo così bene la sua voce, interiormente, si capisce, voce dolce e melodiosa che m’inondò di felicità”.

Nel 1911 e per due anni, perfezionò la sua formazione culturale, presso il Convento Pensionato Bellevue delle “Suore di Notre-Dame”; agli esami si classificò prima; il 1° Venerdì di ottobre del 1911 volle consacrare la sua verginità al Signore, perché già da allora aveva nel cuore, il forte desiderio di donarsi a Lui. Aveva una spiccata attitudine per la musica e fin dagli otto anni, aveva iniziato lo studio del pianoforte; a gennaio 1914 conseguì il diploma di “classe superiore” e a giugno dello stesso anno, quello di professoressa di pianoforte e subito dopo ebbe l’abilitazione all’insegnamento.
Per il suo particolare talento musicale, Dina Bélanger, a 19 anni, nell’ottobre 1916 si trasferì per due anni a New York, presso le Suore di Notre-Dame, per perfezionarsi al Conservatorio nello studio del pianoforte e in armonia e composizione; le note del Conservatorio, che la riguardano, portano la menzione “Eccellente”.BEATA MARIA DI SANTA CECILIA ROMANA1

Come per tante anime elette, che nei primi tempi della loro vocazione religiosa, hanno conosciuto il tormento del dubbio e la “notte passiva dei sensi”, anche per Dina si presentò tale fase, che durò sei lunghi anni, a partire dal marzo 1917; le lotte intime erano terribili, il maligno tentatore scatenava la sua violenza, instillava dubbi e sconforto in continuazione, ma Dina, aggrappata al Cuore di Gesù, confidava in Lui per superare quel periodo. Nel 1918 tornò in famiglia e si iscrisse ad un corso di piano e di armonia per corrispondenza, seguendolo per tre anni; alternando lo studio con concerti in favore delle opere di beneficenza; il suo nome nei programmi era quello di un’artista e gli applausi alle sue esibizioni erano calorosi.

In quegli anni dedicati allo studio di perfezionamento e ai concerti pubblici e privati, Dina non smise mai di concentrarsi nella sua vita ascetica, intessuta di note mistiche, senza lasciarsi distrarre dal suo originario ardente desiderio di donarsi a Cristo. E l’11 agosto 1921, decise di entrare nella “Congregazione delle Suore di Gesù e Maria” a Quebec; una Istituzione fondata nel 1818 a Lione in Francia, da santa Claudine Thévenet (30-3-1774 – 3-2-1837). Dopo il postulandato, il 15 febbraio 1922, ne vestì l’abito religioso, prese il nome di ‘Suor Maria di Santa Cecilia Romana’ e iniziò il noviziato a Sillery. Già un mese dopo, il 25 marzo 1922 le fu concesso di fare i voti privati di povertà, castità e obbedienza; la gioia provata da suor Maria di Santa Cecilia, fu grande, perché finalmente si era potuta consacrare al Signore, senza la minima riserva, totalmente e senza ripensamenti; la professione pubblica dei voti, fatta il 15 agosto 1923, non fu altro che una conferma della sua gioia, provata già intensamente con la professione privata.

BEATA MARIA DI SANTA CECILIA ROMANA2Per il suo titolo di studio, ricevette poi l’incarico d’insegnare musica nel convento di St. Michel e in quello di Sillery; ma la sua debole costituzione fisica e il male in incubazione, la costrinsero a lunghi periodi di cura in infermeria. Fu in questo periodo, che la superiora locale, colpita dalla sua spiritualità, le chiese di scrivere la sua Autobiografia; suor Maria accettò per obbedienza e a partire dal marzo 1924, cominciò a scrivere quelle note, che ci hanno permesso di penetrare in una vita interiore di grande ricchezza.

Il 15 agosto del 1924, sentì il Signore dirle: “Farai la professione e poi, dopo un anno, proprio il 15 agosto, nella festa dell’Assunzione di Mia Madre, verrò a prenderti con la morte”.

Suor Maria di Santa Cecilia Romana pensava alla morte fisica, invece era la morte mistica; difatti da quel 15 agosto si sentì assorbita in Dio; “Dio ha assorbito il mio essere tutto intero; annientata in Cristo Gesù, vivo per Lui nell’Adorabile Trinità la vita dell’eternità; Lui, Cristo Gesù vive al mio posto sulla terra”.

Nella sua autobiografia, parla come se vivesse un’esperienza sconvolgente del demonio e dell’inferno. Ecco il racconto di un incontro con il Signore del 7 aprile 1927: Cuore_di_Gesu

«Dal 20 marzo la malattia mi costringe a letto. Stamattina prima della comunione, il Signore m’ha presentato il soggetto delle mie considerazioni per questi due giorni, e cioè il dolore inflitto al suo Cuore agonizzante dell’inutilità delle sue sofferenze per un numero così grande di anime”. Al momento della comunione m’ha donato il suo calice benedetto. Durante il ringraziamento m’ha fatto vedere, in spirito, coloro che, a milioni e milioni, correvano verso l’eterna perdizione, seguendo Satana. E lui il Salvatore, circondato da un piccolo numero di anime fedeli, stava soffrendo, ma invano, per tutti quei peccatori. Il suo Cuore li vedeva cadere, a migliaia, nell’inferno. A tale vista gli ho detto: Gesù mio, da parte tua la redenzione fu completa; ma allora che cosa può mancare, dal momento che tante anime si perdono?”. Mi ha risposto: La ragione è che le anime pie non s’associano abbastanza alle mie sofferenze”».

Dal 1923 al 1927, scrisse dieci composizioni musicali, che esprimono le sue esperienze di unione mistica: Il 9 aprile 1926 riprese l’insegnamento della musica, e il 10 luglio andò a St. Michel, per un periodo di ritiro e di riposo, ma la tubercolosi che la minava, nel gennaio 1927 prese il sopravvento, costringendola a tornare in infermeria.
Ciò nonostante, fu ammessa ai voti perpetui, che poté pronunciare il 15 agosto 1928; la spiritualità della giovane suor Maria di Santa Cecilia Romana, s’inseriva perfettamente in quella della Congregazione di Gesù e Maria, spiritualità cristocentrica e mariana, che ha la sua fonte nell’amore del Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria e che è centrata nell’Eucaristia.

BEATA MARIA DI SANTA CECILIA ROMANA3Fra alti e bassi, caratteristici della malattia, e con brevi periodi trascorsi in comunità, alla fine il 30 aprile 1929, suor Maria entrò definitivamente in infermeria, rimanendovi fino alla morte; vivendo una vita di unione perfetta con Dio, sopportando ogni sofferenza, rassegnata nel Signore; finché poté, continuò dal suo letto a dare consigli alle maestre di musica, componendo e trascrivendo spartiti musicali.
Morì il 4 settembre 1929, nel convento Jésus-Marie a Sillery, Quebec, a soli 32 anni, dei quali otto di vita religiosa, circondata dalla fama di santità e di virtù non comuni. La salma fu tumulata nella chiesa del convento suddetto. Dina Bélanger (Suor Maria di Santa Cecilia Romana), è stata proclamata Beata il 20 marzo 1993 da papa Giovanni Paolo II; il giorno dopo fu proclamata santa la fondatrice della sua Congregazione, Claudine Thévenet.
Aveva promesso alle consorelle: “In cielo sarò una piccola mendicante d’amore; ecco la mia missione e la comincio immediatamente, donerò la gioia”.

Fontihttp://www.santiebeati.it/dettaglio/92540  http://www.papalepapale.com/develop/santi-allinferno-una-discesa-negli-abissi-infernali-con-i-santi-che-ci-sono-stati/

ARTICOLI COLLEGATI

IL PARADISO – IL PURGATORIO – L’INFERNO 

(descritto da mistici e veggenti)