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CONVERSIONE DI SAN PAOLO

CONVERSIONE di SAN PAOLO

apostolo (ca. 4 a.C. – ca. 64) 25 gennaio

Festa nata per ricordare la traslazione delle sue reliquiepaolo conversione
dalle catacombe alla basilica di S. Paolo fuori le Mura; eccovi alcuni approfondimenti sulle pagine che ad oggi ci parlano di lui e dei suoi viaggi, delle sue lettere e delle sue emozioni, commentate da grandi teologi, raccolte e pubblicate da Alban Butler.

Paolo, Apostolo dei gentili e fondatore della teologia cristiana, è forse la figura più influente e controversa dell’intera storia della cristianità. È festeggiato insieme a S. Pietro il 29 giugno, ma nella liturgia di quel giorno gli è riservata una parte molto marginale. Viene ricordato quasi per compensazione nella data odierna, in una festa conosciuta come la “Conversione”, ma che forse originariamente ricordava una traslazione delle sue reliquie. Ci è parso più opportuno tributargli oggi il ricordo maggiore.

VIDEO-STORIA

Le fonti per la conoscenza di Paolo sono le sue Epistole e gli Atti degli Apostoli. Nessuna delle due però può essere considerata un resoconto storico in senso moderno. Le Lettere di Paolo (fonte primaria) sono infatti documenti teologici e solo incidentalmente autobiografici, mentre l’autore degli Atti degli Apostoli presenta la sua storia come parte del secondo volume del suo Vangelo. La sua descrizione potrebbe essere stata arricchita da preoccupazioni teologiche ed egli scrive secondo le convenzioni stilistiche degli storici famosi del suo tempo.

Un’ulteriore difficoltà per stabilire un profilo della vita di Paolo viene dall’incertezza sulla  maternità di alcune lettere; le cosiddette Lettere Pastorali Paolo2Timoteo e Tito danno informazioni sugli anni successivi della vita di Paolo. Molti studiosi considerano però queste lettere pseudoepigrafe, cioè attribuite a Paolo solo per una convenzione letteraria.

Ciò renderebbe le informazioni in esse contenute altamente inaffidabili per una biografia. Una prima cruciale difficoltà si ha riguardo all’educazione di Paolo. Egli stesso sottolinea il carattere fanaticamente giudaico della sua formazione;

«Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito come ero nel sostenere le tradizioni dei padri» (Gal 1, 13-14).

In altra sede egli fornisce qualche dettaglio in più;

«Circonciso l’ottavo giorno, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla Legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge» (Fil 3, 5-6).

Non è però sicuro se ricevette una prima formazione nella sua città di Tarso o a Gerusalemme. L’importanza di questo quesito è che da qui si può stabilire il paolo7fondamento del suo pensiero. Quanto fu influenzato dal pensiero ellenistico? Lo stile delle sue lettere manifesta certamente l’influenza delle scuole retoriche ellenistiche, nell’uso che fa della popolare filosofia stoica e nell’impiego retorico comune della “diatriba”. D’altra parte si trova evidentemente a proprio agio con il linguaggio semitico e, scrivendo in greco riesce a introdurre giochi di parole ed espressioni idiomatiche che hanno senso solo in ebraico e aramaico.

Secondo gli Atti, sarebbe nato a Tarso ed educato a Gerusalemme presso Gamaliele, il più illustre rabbino del tempo. A che età andò a Gerusalemme e per quanto tempo vi restò?  Gerusalemme è così importante per il pensiero dell’autore degli Atti, che egli si preoccupa sempre di sottolinearne l’influenza. La storia della sua conversione è inserita negli Atti, nel contesto della lapidazione di S. Stefano, protomartire (26 dic), dove “Saulo” appare per la prima volta;

«E i testimoni distesero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo […] Saulo era tra coloro che approvarono la sua uccisione» (At 7, 58; 8, 1).

La persecuzione della Chiesa da parte di Saulo continua, aggiungendo ulteriori dettagli e colore al già citato breve resoconto dello stesso S. Paolo nella lettera ai galati;

«Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione […] Saulo, frattanto, si presentò al Sommo Sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati» (At 8, 3; 9, 1-2).

Un’esperienza straordinaria lo fece passare da persecutore ad apostolo missionario. Egli dà per scontato che i suoi lettori, o ascoltatori, conoscano bene questo fatto e vi fa riferimento solo indirettamente «Ma quando Dio […] si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani…» (Gal 1, 15-16), dicendone lo scopo missionario. L’episodio della Paolo conversione2conversione “sulla via per Damasco” si trova solo negli Atti,dove viene ripetuto tre volte; nel capitolo 9, in cui è svolto in forma di descrizione narrativa; «E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dalcielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva;“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”  Rispose; “Chi sei Signore?” E la voce; “Io sono Gesù, che tu perseguiti”» (9, 3-6). Questa narrazione viene poi messa due volte in bocca a Paolo stesso; in 22, 6ss. ein26,12-18.

L’evento e le sue conseguenze erano chiaramente considerati cruciali per gli sviluppi della vita della Chiesa del tempo in cui Luca scriveva, come dimostra la triplice ripetizione. Il martirio di Stefano può essere datato con una discreta esattezza all’anno 36, essendo questo l’anno di interregnum tra due governatori romani e l’unico periodo in cui le autorità locali potevano aver imposto una pena capitale. Ciò non significa che la conversione di Paolo sia necessariamente avvenuta dopo questa data; gli Atti sono l’unica fonte che mette in relazione Saulo/Paolo con la lapidazione.

L’assunto che sta sotto alla narrazione di Luca è che il martirio di S. Stefano, modellato sulla morte di Cristo, rappresenta l’atto generativo di una Chiesa il cui centro è Gerusalemme; la presenza di Paolo rappresenta il legame tra la Chiesa di Gerusalemme e l’inizio della missione verso i gentili. I dettagli forniti da Luca potrebbero essere stati ricavati da un modello popolare; la storia di Eliodoro descritta in II Maccabei. Eliodoro, arrivato al tesoro per saccheggiarlo, viene gettato al suolo da un cavallo su cui siede un cavaliere misterioso (questa cosa potrebbe spiegare il cavallo su cui viene spesso dipinto paolo conversionePaolo e di cui invece non si parla negli Atti), accompagnati da due angeli che lo flagellano e lo lasciano moribondo. Egli viene poi risanato grazie al sacrificio offerto dal sommo sacerdote Onia in suo favore (2 Mac 3, 24-35).

Più che una conversione di tipo tradizionale, si tratta però della storia di una chiamata, come la considera Paolo stesso; la struttura del racconto segue in modo parallelo quella di altre chiamate, come quella di Abramo per il sacrificio di Isacco (Gen 22), quella di Giacobbe per il viaggio in Egitto (Gen 46) e quella di Samuele (1 Sam 3). In tutti questi episodi si ha una doppia chiamata (come in “Saulo, Saulo”), la replica interrogativa “Signore, chi sei?“, il riconoscimento e l’assegnazione dell’incarico.

Anche se espressa secondo uno schema letterario, la descrizione di Luca propone alcune idee fondamentali che lo stesso Paolo esprime riguardo al proprio ministero, affermando che la sua missione di apostolo consiste principalmente nel predicare il Vangelo di Cristo; che «per me […] il vivere è Cristo» (Fil 1, 21); che Cristo è nei membri della Chiesa; che egli sta rendendo testimonianza al Cristo risorto, da lui visto («Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto»

1 Cor 15, 8). I dettagli potrebbero essere romanzati, ma la narrazione è sorprendentemente fedele al suo scopo. Lo stesso si potrebbe dire del resoconto del ministero successivo di Paolo; tentarne una ricostruzione storica porterebbe a fraintendere lo scopo della narrazione, che è principalmente teologico.  Paolo si reca a Gerusalemme “sei volte”, perché Gerusalemme è la paolo e barnaba (2)fonte dell’unità della Chiesa, la fonte dalla quale sgorga il Vangelo (come Luca mostra nel suo Vangelo, dando così tanta importanza al viaggio di Gesù a Gerusalemme). La descrizione che Luca fa della prima visita di S. Paolo (At 9, 26-9), potrebbe corrispondere all’accenno di Paolo in Gal 1, 18-19:

«In seguito, dopo tre anni [probabilmente quelli successivi alla sua conversione che trascorse in preghiera in Arabia, prima di fare ritorno a Damasco] andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, ma solo Giacomo, il fratello del Signore» (aggiunge, in quella che sembra la smentita di alcune voci, «in ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco»).

Dopo la sua permanenza in Arabia cominciò a predicare il suo nuovo messaggio – Gesù è “Messia e Figlio di Dio” – nelle sinagoghe di Damasco e Gerusalemme, dove incontrò una resistenza così forte da doversi rifugiare a Tarso, temendo per la propria vita. Apparentemente c’è poi nel racconto di Paolo un lungo vuoto cronologico, che potrebbe essere riempito dalle descrizioni di Luca su altre visite:

«Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito» (Gal 2, 1ss,).

La storia successiva corrisponde a ciò che poi è diventato famoso come il concilio di Gerusalemme, con la decisione di ammettere i gentili alla Chiesa senza bisogno di un precedente ingresso nel giudaismo e conseguente obbligo di osservare le usanze alimentari e le altre leggi giudaiche. Generalmente si tende a collocare questo “concilio” nell’anno 49; Karl Rahner lo ha definito l’inizio della “seconda era” della Chiesa, che sarebbe durata fino alla vera e propria universalizzazione segnata dal Concilio Vaticano II del 1962-1965; la “seconda era” è infatti essenzialmente la continuazione, nelle culture derivate da quella ellenistica e da quella latina, della missione di Paolo nell’impero romano.

La storia della sua fuga da Damasco in una cesta, che egli narra in 2 Cor 11, 32-33  «Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia alla città dei damasceni per catturarmi, ma da una inestra fui calato per il muro in una cesta e così sfuggii dalle sue mani», potrebbe riferirsi sia alla prima visita che fece alla città, sia a una successiva.

Areta regnò solo per due anni, dal 37 al 39; l’episodio quindi deve essere avvenuto nell’arco di questi due anni. In periodi diversi i viaggi missionari portarono Paolo a Cipro, in Asia Minore, nella Grecia orientale e a Efeso dove, nel corso di una lunga permanenza, scrisse la prima Lettera ai corinti. Fu anche in Macedonia e Acaia, dove scrisse la Lettera ai romani, la sua epistola più lunga e la più densa dal punto di vista teologico. Si narra che successivamente sia salpato alla volta di Malta, dove sarebbe sbarcato su una tavola trascinata dalla corrente (la nave aveva fatto naufragio), e da qui si sarebbe recato a Roma. Luca potrebbe aver diviso i viaggi di Paolo in tre fasi allo scopo di organizzare i suoi argomenti secondo un numero simbolico. Per tre volte si parla di Paolo c’he, scacciato dalla maggioranza ebraica (ebrei della diaspora e “proseliti” – pagani convertiti all’ebraismo), si rivolge ai gentili e afferma che ciò adempie le profezie. Ogni volta cita testi biblici a sostegno di questo insegnamento e prova che egli insegna sulla base di quella che egli considera come la vera tradizione giudaica.

E stata sollevata (da J. Knox) un’obiezione divenuta famosa: «Se qualcuno avesse fermato Paolo lungo le strade di Efeso e gli avesse detto: “Paolo, in quale dei tuoi viaggi missionari ti trovi ora?”, egli lo avrebbe guardato disorientato, senza avere la minima idea di ciò a cui si stava riferendo». Le tre fasi sono collocate ad Antiochia (in Asia Minore), a Corinto (in Grecia, per cui si può stabilire una data probabile tra il 51 e 52, grazie a indizi esterni), e a Roma, dove Paolo cita Isaia:

«Ascoltate pure, ma senza comprendere […]» (Is 6, 9-10), facendo eco al lamento sugli ebrei nella Lettera ai romani ai capitoli 9-11.

Paolo in realtà aveva terminato la propria attività missionaria a Gerusalemme, dove era custodito dalla guardia romana, dopo che una folla ostile lo aveva minacciato di morte. Per evitare di essere processato davanti al Sinedrio si era rivolto all’imperatore in virtù della sua cittadinanza romana. Così fu portato a Roma l’esame del caso. Egli venne condotto sotto scorta armata a Cesarea e da qui a Roma, dove le condizioni miti di prigionia gli permisero di entrare in contatto con la comunità ebraica della città, fatto che porta la storia a una conclusione soddisfacente dal punto di vista teologico, realizzando l’intenzione di Luca di esporre il modo in cui il Vangelo si è fatto strada da Gerusalemme alla capitale dell’impero. Le ulteriori informazioni sulla vita di Paolo  appartengono più alla tradizione che alla storia (e verranno riprese all’inizio della sezione del 29 giugno).

Diversi “discorsi” di Paolo sono riportati negli Alti, ma questo apparente resoconto testimoniale, è più probabilmente un esempio della convenzione stabilita da Tucidide; «Il mio metodo è stato quello di far dire a chi parla ciò che secondo me l’occasione richiedeva». Ciò nonostante le parole che Luca attribuisce a Paolo fanno eco a molti dei temi chiave che si trovano nelle Epistole: si veda l’importanza data alla redenzione dei peccati dei credenti mediante la potenza di Gesù (At 13, 38), che ha un parallelo nella Lettera ai romani, quando si parla di opposizione tra fede e legge; o la possibilità di conoscere Dio tramite la natura, di nuovo in parallelo con la Lettera ai romani. Il suo discorso di addiopaolo predicazione (2) agli anziani di Efeso, con il riferimento alle sue sofferenze, alla sua indipendenza economica e alla mancanza di preoccupazioni per la propria vita, trova eco nella seconda Lettera ai corinti e nella Lettera ai filippesi.

La conversione, o chiamata all’apostolato, di Paolo sottolineò il passaggio dal cristianesimo giudaico a quello ellenisticogentile e quindi il sorgere di un cristianesimo inteso come religione universale. Egli portò al successo la già esistente missione verso i gentili, trovando un linguaggio con cui divenne possibile e reale la loro conversione di massa. Al tempo della sua morte «il mondo ellenistico era coperto da una rete di nuclei cristiani, la cui esistenza rese possibile l’ulteriore espansione della fede cristiana negli anni che seguirono» (Karl Baus).

Egli però non “inventò”, come Nietzsche e altri avrebbero poi sostenuto, il cristianesimo: tutto il suo insegnamento è fermamente radicato nell’esperienza pasquale di Gesù Cristo, crocifisso e risorto, esperienza che egli stesso visse con forza in occasione della sua conversione. L’originalità di espressione di Paolo non deve impedirci di capire che egli deve alla Chiesa primitiva la sostanza di quello che esprime. Non avendo conosciuto Gesù “nella carne” egli crede in modo “spirituale”, ma ciò non significa che egli faccia la distinzione filosofica greca tra corpo e spirito.

I grandi temi di Paolo (Regno di Dio, conversione, rivelazione, centralità della Croce, universalità del messaggio di Gesù, giustificazione tramite grazia e amore come compimento della Legge) forniscono virtualmente la base di tutta la teologia cristiana successiva, passando specialmente per Agostino e Tommaso d’Aquino, e offrono gli elementi principali alle dispute sulla paolo8“giustificazione” di Riforma e Controriforma. Il suo insistere sul fatto che «dove c’è lo Spirito, c’è la libertà» è stato ripreso ultimamente dalla teologia della liberazione, come pure il suo orgoglio per il lavoro manuale nonché la sua rinuncia a far parte delle «forze di sicurezza di uno stato teocratico» (Fedro Casaldaliga).

Jon Sobrino evidenzia come gli aspetti che Paolo sottolinea della propria vita e personalità siano quelli che riprendono la vita di Gesù, la sua debolezza, la sua accoglienza e accettazione del dolore, respingendo così l’idea del XIX secolo secondo la quale Paolo «non era interessato a Gesù».

Egli si è fatto “servo di tutti” e in tutti i tempi, ma è ancora un uomo del suo tempo, con atteggiamenti nei confronti del mondo femminile e della società che appartengono a quel tempo. Fino al 1969 si “commemorava” S. Paolo il 30 giugno, come se si volesse compensare il maggior risalto dato a S. Pietro nella liturgia del 29 giugno. La festa della sua conversione è conosciuta come “traslazione” nel Martirologio Geronimiano, cosa che fa pensare che in questo giorno si ricordasse la traslazione delle sue reliquie dalle catacombe alla basilica di S. Paolo fuori le Mura.

Questo giorno fu per qualche tempo una festività di precetto in Occidente. I calendari del VII e VIII secolo, comunque, fanno già riferimento a una “conversione”: questo è stato per secoli il significato della festa. L’importanza della festa è stata riaffermata negli ultimi decenni, con la scelta di questo giorno a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Paolo è il santo patrono del Movimento dei Cursillos, che ha lo scopo di preparare i fedeli all’apostolato, secondo quanto stabilito da papa Paolo VI nel 1973, ed è implicitamente il protettore di ogni forma di azione cattolica. Egli è anche patrono della Grecia e di Malta, dove la devozione nei suoi confronti deriva dalla storia del naufragio narrata negli Atti. Entrambi i paesi celebrano un’ulteriore festa per “l’Arrivo di San Paolo“.

È INVOCATO; – contro i morsi dei rettili e le tempeste marine – come protettore dei teologi, dei fabbricanti di corde e dei propagatori della fede

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Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler

SPOSALIZIO DI GIUSEPPE E MARIA VERGINE

SPOSALIZIO DI GIUSEPPE E MARIA VERGINE

23 gennaio

Tutto ciò che sappiamo sulle nozze di Giuseppe e Marianozze - GuercinoSposalizioVergine Vergine ci arrivano daiVangeli apocrifi” come Il Protovangelo di Giacomo e “La storia di Giuseppe il falegname“, ma qualcosa è stato scritto anche dalla mistica tedesca Anna Katharina Emmerick fino ad ascoltare le pagine di Maria Valtorta

Racconto e riflessioni del Protovangelo di Giacomo

Il Protovangelo di Giacomo dà un adeguato risalto al matrimonio di Maria e Giuseppe, inserendolo in un giusto contesto storico-ambientale. Così rileva che la Vergine fu promessa sposa a Giuseppe per scelta di Dio, con la narrazione della colomba che uscì dalla verga di lui, indicando l’uomo prescelto: episodio che richiama alla mente il bastone di Aronne che verdeggiò, manifestando così che lui era stato scelto da Dio per aiutare il fratello Mosè; e richiama anche l’evento della colomba che, al Battesimo di Gesù nel Giordano, lo indicò come il Figlio di Dio [cfr. Gv 1, 32-34].

“La Storia di Giuseppe il falegname” …

…invece, è un testo apocrifo pervenutoci in copto (boairico e saidico) e arabo ma probabilmente redatto inizialmente in greco, databile in maniera incerta al VI secolo o ai secoli immediatamente successivi. Nella prima parte si tratta di una rielaborazione del materiale presente nel Protovangelo di Giacomo e nel Vangelo dell’infanzia di Tommaso relativamente al matrimonio tra Giuseppe e Maria. In questo testo abbiamo Gesù che predica sul Monte degli Ulivi ai discepoli dicendo: “Vi voglio raccontare la vita di mio padre Giuseppe“. E inizia la narrazione parlando di Giuseppe di Betlemme, sposato con una donna e con 4 figli (Giuda, Joseto, Giacomo e Simeone) e 2 figlie (Lisia e Lidia). Ma ben presto la moglie muore. Nel frattempo Maria cresce nel tempio dove i sacerdoti le cercano un marito. Convocata la tribù di Giuda e la sorte cade su Giuseppe, il quale però deve partire per lavoro e Maria trascorre 2 anni nella sua casa.

nozze - Bernardino_Luini_Sposalizio-Vergine_SaronnoE, a proposito della “coabitazione” dei due promessi sposi, viene osservato che, dovendo Giuseppe attendere al suo lavoro di carpentiere, questo lo portava a lunghi giri per il paese che potevano anche durare fino a sei mesi di seguito; quasi a dire che Maria condusse nella casa di Giuseppe una vita “monacale” come quella che aveva fino ad allora vissuto nel Tempio.

AUDIO RACCONTO dello sposalizio della Vergine tratto dall’opera di MARIA VALTORTA
Pagine ‘agiografiche’ suggestive di Anna Katharina Emmerick

Pagine molto suggestive, al limite di un’agiografia romanzata, ha dettato a sua volta Anna Katharina Emmerick sul fidanzamento e sullo sposalizio di Maria con Giuseppe [cfr. Vita della Santa Vergine Maria, Ed. San Paolo 2004, pp. 82-87]. Così è narrata dalla mistica tedesca la scelta di Giuseppe come promesso sposo di Maria:

“Viveva dunque la santa Vergine nel Tempio con parecchie altre vergini, sotto la sorveglianza di pie matrone. […] Quando queste fanciulle erano cresciute, si sposavano. I loro genitori, portandole al Tempio, le avevano offerte completamente a Dio e gli Israeliti più osservanti nutrivano da molto tempo la tacita fiducia che uno di questi matrimoni avrebbe portato un giorno alla nascita del Messia promesso. Quando la santa Vergine ebbe quattordici anni e insieme ad altre fanciulle doveva prepararsi al matrimonio, ho visto sua madre Anna andare al Tempio e farle visita […]. Quando alla Vergine fu detto che doveva lasciare il Tempio e sposarsi, rimase turbata e disse ai sacerdoti che non voleva lasciare il Tempio perché si era promessa a Dio e non voleva sposarsi. In seguito ho visto la santa Vergine piangere e pregare Dio nella sua cella […].

nozze sposalizio_vergine_maria

La capigliatura della Vergine era abbondante e di un biondo-oro. Ella aveva le ciglia brune, grandi occhi luminosi, naso ben modellato, bocca nobile e graziosa, mento fine. Indossava una bella veste; il suo incedere era dignitoso“.

Ho visto anche il Sommo Sacerdote inviare messaggeri nel territorio e convocare al Tempio tutti gli uomini non sposati della stirpe di Davide. Quando questi si furono riuniti nel Tempio vestiti dei loro abiti migliori, fu loro presentata la santa Vergine, e tra loro vidi un giovane molto devoto della regione di Betlemme; anche lui aveva sempre pregato con grande zelo per l’adempimento della promessa e io ho riconosciuto nel suo cuore il grande desiderio di diventare lo sposo di Maria. Ella però si ritirò di nuovo nella sua cella, versò sante lacrime e cercò di non pensare al fatto che non doveva rimanere vergine. Poi ho visto il Sacerdote, che aveva avuto un’intuizione interiore, consegnare ad ogni uomo un ramoscello e ordinare ad ognuno di contrassegnarlo col proprio nome e tenerlo in mano durante la preghiera e l’offerta […]. A loro fu spiegato che quello il cui ramoscello fosse fiorito era destinato dal Signore a sposare la Vergine Maria di Nazareth.

[…] Successivamente, altri uomini della stirpe di Davide furono convocati nel Tempio; e tra questi Giuseppe, dal cui ramoscello posto sull’altare uscì un fiore simile a un giglio bianco, e vidi una luce come fosse lo Spirito Santo scendere su di lui. In questo modo Giuseppe fu riconosciuto come lo sposo destinato dal Signore alla Vergine Maria, alla quale fu presentato dai Sacerdoti alla presenza della madre Anna”.

nozze della Vergine - Lorenzo CostaSecondo questa veggente tedesca, i genitori di Giuseppe possedevano una grande casa a Betlemme, dove il patriarca trascorse la fanciullezza insieme a cinque fratelli. Poichè Giuseppe era pio, semplice e di carattere mite, i fratelli lo molestavano e talvolta lo maltrattavano. Giuseppe non reagiva, ma preferiva cercarsi un altro sito dove abbandonarsi alla preghiera. Arrivato all’età di 12 anni cominciò a frequentare la bottega di un falegname e imparò il mestiere, ma poichè i fratelli continuavano a rendergli insopportabile la vita, Giuseppe lasciò Betlemme e visse del suo lavoro presso altri artigiani. All’ età di circa 30 anni lavorava a Tiberiade per un altro padrone, ma abitava da solo in una casetta vicina. Nel frattempo i suoi genitori erano morti e i suoi fratelli si erano dispersi. Da tempo il santo giovane non solo credeva nella venuta del Messia, ma pregava Dio che lo inviasse sulla terra. Un giorno, mentre se ne stava occupato a sistemare un oratorio nei pressi della sua casetta allo scopo di avere un posto riservato dove raccogliersi in preghiera, gli apparve un angelo che gli comandò di recarsi al Tempio di Gerusalemme per diventare sposo di una fanciulla ivi custodita. Prima di questo messaggio Giuseppe non aveva mai pensato al matrimonio e perciò evitava la compagnia delle donne.

Dopo il fidanzamento Giuseppe si recò a Betlemme per motivi di famiglia, poi si trasferì a Nazareth. In questa cittadina S. Anna possedeva una casa e la preparò per Maria e per Giuseppe. Essa era situata dove attualmente sorge la basilica dell’Annunciazione e, secondo la Emmerich, è proprio quella che si venera a Loreto, ivi trasportata dagli Angeli. Secondo la tradizione Giuseppe aveva, oppure acquistò per la circostanza del matrimonio, una casetta poco distante da quella di Maria. Quivi, al suo ritorno da Betlemme, stabilì la sua bottega di falegname.

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Ma riportiamo i passi testuali del Protovangelo di Giacomo, che narrano l’affidamento di Maria a Giuseppe [cap. IX]

Maria è affidata a Giuseppe – “Giuseppe, gettata l’ascia, uscì incontro [agli araldi di tutta la regione della Giudea]. Quindi, adunatisi [tutti i vedovi del popolo] e prese le verghe, si portarono dal Gran Sacerdote. Questi entrò con le verghe di tutti nel Santuario e pregò. Terminata la preghiera, uscì con le verghe e le diede loro. Ma in esse non c’era alcun prodigio. Giuseppe ricevette l’ultima verga; ed ecco che una colomba uscì dalla verga e volò sulla testa di Giuseppe. Allora il Sacerdote disse: ‘Giuseppe, Giuseppe, tu sei stato eletto dalla sorte a prendere la Vergine del Signore in custodia per te’.

Ma Giuseppe rifiutò, dicendo: ‘Ho già figli e son vecchio; ella invece è giovane; temo di diventar lo scherno dei figli d’Israele’. Ma il Sacerdote replicò a Giuseppe: ‘Temi il Signore Dio tuo e ricordati ciò che Iddio fece a Datan, Abiron e Core: la terra si aprì e furono inghiottiti per la loro ribellione. Ed ora, Giuseppe, temi che una cosa del genere non accada in casa tua’. Giuseppe, intimorito, prese la Vergine [Maria] in custodia per sé e le disse: ‘Ecco, io ti ho ricevuta dal Tempio del Signore; ora ti lascio a casa mia perché io devo andare fuori per le mie costruzioni. Tornerò poi da te; nel frattempo il Signore veglierà su di te’ ” [cap. IX, 1-3].

nozze SPOSALIZIOMARIA VALTORTA

Nel primo volume dell‘Evangelo di Maria Valtorta Maria Santissima le fa questa rivelazione:

Dio m’aveva chiesto d’esser vergine. Ho ubbidito. … d’essere sposa. Ho ubbidito, riportando il matrimonio a quel grado di purezza che era nel pensiero di Dio quando aveva creato i due Primi. … mi chiedeva d’esser Madre. Ho ubbidito. Ho creduto che ciò fosse possibile e che quella parola venisse da Dio, perché la pace si diffondeva in me nell’udirla. … Eva volle il godimento, il trionfo, la libertà. Io accettai il dolore, l’annichilimento, la schiavitù. Quel “si” ha annullato il “no” di Eva al comando di Dio. 

Fonti:  http://www.stpauls.it/madre/0701md/0701md20.htm; http://www.preghiereagesuemaria.it/libri/maria%20la%20vita%20e%20i%20suoi%20prodigi.htm; 1° volume dell’Evangelo di Maria Valtorta

 

 

 

LA VERGINE DEI POVERI

LA VERGINE DEI POVERI

Le apparizioni e i messaggi di Banneaux

15 gennaio

Banneux

Esattamente 12 giorni dopo la fine delle apparizioni di Beauraing una bimba di undici anni e la sua mamma, in un piccolo e povero villaggio del Belgio vedono fuori della finestra una bellissima Signora…

Banneux è un piccolo villaggio delle Ardenne, in Belgio, distante poco più di venti chilometri dalla città di Liegi. Un villaggio di gente povera, formato da appena 325 anime, quasi tutti minatori addetti alle torbiere e boscaioli venuti da fuori per lo sfruttamento delle grandi foreste delle Ardenne. In una frazione di Banneux, chiamata La Fange (Il Fango), aveva posto la propria dimora Julien Beco, che aveva sposato nel 1920 Louise Wégimont. Un anno dopo, il 25 marzo 1921, di Venerdí santo, nasce Mariette, la prima di undici figli.

La bambina, come primogenita, si trova spesso nella necessità di aiutare la propria famiglia. A scuola é in ritardo di due anni rispetto ai suoi coetanei per le molte assenze dovute agli impegni familiari ed anche al catechismo, al quale si è iscritta il 20 maggio 1931, risulta essere la peggiore della classe, tanto da provocare le rimostranze del cappellano. Nessuno però in famiglia si preoccupava di queste cose, a casa dei Beco, fra l’altro, si respirava a quel tempo un clima di completa indifferenza religiosa. Un atteggiamento piuttosto comune tra gli abitanti di Banneux, dove incredulità e agnosticismo, alimentati da vaghi ideali “socialisteggianti”, erano assai diffusi.

MarietteIl 15 gennaio 1933, esattamente 12 giorni dopo la fine delle apparizioni di Beauraing, la neve e il ghiaccio hanno ricoperto “la Fange”, il vento soffia gelido e tagliente. Sono le sette circa di sera. Una bambina di poco più di undici anni, Mariette Beco, sta guardando attraverso i vetri della cucina, da cui si scorge l’orto, la strada e il bosco di abeti. Da lontano spia il ritorno del fratello Julien, uscito di casa con alcuni amici fin dal mattino, e intanto sorveglia il sonno dell’ultimo nato, che dorme beatamente nella culla. All’improvviso vede in giardino la figura di una bella Signora. È ritta, immobile, splendente, con le mani giunte e il capo leggermente inclinato verso sinistra.

Oh mamma – esclama lei – c’è una Signora in giardino!”.
Questa non la prende molto sul serio ma poi guardando fuori dalla finestra si rende conto che la figlia non racconta storie, anche lei infatti scorge quella prodigiosa apparizione. La signora Beco nel vedere quella figura così luminosa, che ha la forma di una persona e che pare avere come un lenzuolo bianco sulla testa, si spaventa e chiude le tende. Mariette, prendendo coraggio, dà un’altra occhiata fuori e vede ancora la Signora che le sorride. Prende una corona che solo qualche giorno prima aveva trovato lungo la strada di Tancrémont e si mette a recitare il rosario mentre contempla con stupore l’apparizione. Mentre prega ha l’impressione che anche la Signora fuori dalla finestra muova le labbra come se pregasse. La bella Signora le fa cenno di andare da lei, Mariette allora lascia la finestra apprestandosi ad uscire, senonchè sua madre, spaventatissima, glielo impedisce chiudendo la porta di casa a chiave. Mariette torna alla finestra, ma la Signora è già scomparsa.

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Martedì 17 gennaio Mariette si reca da Don Jamin, il suo Parroco, e gli racconta l’accaduto. Il sacerdote dice che forse ha visto solo la statua della Madonna di Lourdes, ma Mariette insiste che la Signora che ha visto era molto più bella. Don Jamin, anche se non convinto dal racconto di Mariette, rimane comunque stupito dal fatto che improvvisamente la bambina abbia ripreso ad andare a Messa e a frequentare il catechismo dopo diversi mesi di assenza. 

Il 18 gennaio alle 19.00, Mariette esce di casa, va ad inginocchiarsi vicino al cancello e inizia la recita del Rosario. Improvvisamente ecco la Vergine comparire fra due alti pini. Mariette vede come una forma che cresce e diventa più luminosa man mano che si avvicina; finché non si ferma proprio davanti a lei sospesa su una nuvola grigia a circa mezzo metro da terra. La Signora si unisce alla preghiera della bambina. Mariette allora si alza e seguendo le indicazioni della Vergine, che le fa segno di seguirla, esce dal cancello del cortile di casa e si dirige verso la strada. Qui, cadendo in ginocchio con un tonfo sordo per tre volte, va in estasi; la Madonna allora chiede a Mariette di immergere la mano in un corso d’acqua che si trova lì nelle vicinanze. La gente le sente ripetere ad alta voce le parole che le dice la Madonna:

Questo ruscello è riservato a Me” e poi “Buona sera”. Subito dopo la Signora levandosi fra i pini scompare.

Nel frattempo il padre di Mariette, Julien Beco, va a cercare Don Jamin che però quella sera è a Liegi. Quando il sacerdote ritorna a casa gli viene riferito l’accaduto e si reca immediatamente a casa dei Beco; qui però trova Mariette già a letto. Mentre Don Jamin sta per andare via il padre della bambina gli chiede di poterlo vedere l’indomani per riaccostarsi ai sacramenti. Il sacerdote rimane molto sorpreso della cosa poiché qualche tempo prima, pregando affinché gli venisse dato un segno che dimostrasse la veridicità delle apparizioni, aveva chiesto proprio la conversione del padre di Mariette. 

mariette

La sera del 19 Gennaio, accompagnata questa volta dal padre, Mariette esce di casa e giunta in giardino si inginocchia, nonostante il terreno ricoperto di neve, e prega un paio di decine del rosario a bassa voce. Quando a un certo punto stende le braccia verso il cielo e grida:

Eccola!”. Dopo un attimo di silenzio, domanda: “Chi siete voi, bella Signora?”.

E la Signora le risponde: “Io sono la Vergine dei Poveri”.
Poi la Madonna guida la bambina fino alla sorgente. Qui Mariette cade nuovamente in ginocchio per tre volte e domanda ancora:

Bella Signora, ieri voi avete detto: questa sorgente è riservata per me. Perché per me?”. E così dicendo, porta la mano al petto, indicando se stessa. Il sorriso della Madonna si accentua ancora di più e le risponde che quella sorgente “è per tutte le nazioni…per gli ammalati…”. Alla fine di questa breve apparizione che durerà circa sette minuti, Mariette ripete le ultime parole della Signora: “Pregherò per te. Arrivederci“.

Nell’apparizione del 20 gennaio Mariette chiede alla Madonna:”Che cosa volete?”, Una piccola cappella” risponde la Madonna e benedice la bambina con un segno di croce.

La piccola Mariette anche nelle sere seguenti attenderà la venuta della Signora, pregando qualche volta da sola, altre volte con suo padre, ma questa per diversi giorni non apparirà. Fino alla sera dell’11 febbraio, la festa di Nostra Signora di Lourdes, quando la Madonna appare di nuovo e dice a Mariette:

Vengo per dare sollievo alle sofferenze“.

Durante l’apparizione i presenti vedono Mariette immergere la mano nell’acqua e farsi il segno della Croce. La successiva apparizione ha luogo il 15 febbraio. Durante il suo colloquio con la Vergine, Mariette le chiede un segno, come Don Jamin le aveva suggerito di fare. Alla fine dell’apparizione Mariette scoppia in lacrime – probabilmente a causa di un segreto che pare le avesse confidato la Madonna – e tutto quello che riesce a dire è che la Vergine le ha detto:

Credete in Me, Io crederò in voi. Pregate molto. Arrivederci“.

Vergine di Banneux

La sera di lunedì 20 febbraio Mariette si dirige verso il ruscello e quando la Madonna compare le dice: “Mia cara bambina, prega molto“.

Nella sua ultima ottava apparizione, il 2 marzo 1933, Mariette attende la venuta della Vergine sotto una pioggia battente. Improvvisamente, un po’ prima dell’apparizione, il maltempo cessa e il cielo si rasserena. A questo avvenimento assistono stupefatti numerosi testimoni. In quel momento la Madonna appare, ha il volto grave e non sorride. a Mariette e le dice:

Io sono la Madre del Salvatore, la Madre di Dio. Pregate molto“, Mariette risponde “Si, si“; allora la Madonna benedice la bambina con il segno della croce e prima di scomparire la saluta con un “Addio” anziché con l’ormai abituale “Arrivederci” delle precedenti apparizioni.

Mariette dopo la fine delle apparizioni e per il resto della sua vita ha cercato di condurre una vita normale, evitando ogni sorta di clamore e pubblicità. Non scelse la vita religiosa, si sposò, ebbe tre figli, conobbe anche non poche difficoltà e sofferenze che – lei pure tra tutti gli altri pellegrini – andava a mettere nelle mani della Vergine dei poveri recandosi a pregare alla sorgente o alla cappella delle apparizioni nel Santuario.

Sono stata solo un postino incaricato di portare un messaggio“, diceva di sé stessa. Mariette Beco è morta a Banneux il 2 dicembre del 2011.
L’autenticità delle otto apparizioni avvenute a Banneux è stata riconosciuta dalla Chiesa nella lettera pastorale di monsignor L. J. Kerkhofs, vescovo di Liegi, il 22 agosto 1949, che aveva ricevuto nel ’42 dalla Santa Sede l’incarico di occuparsi del caso. Ma fin dai giorni successivi alle apparizioni era cominciato nel piccolo villaggio belga il flusso inarrestabile dei pellegrini. Da allora, tutte le sere, nel piccolo paese una folla di fedeli continua la devota preghiera di Mariette Beco. Banneux è diventato un centro di spiritualità mariana, dove innumerevoli sono le guarigioni nel corpo e nello spirito che avvengono a quei credenti che – in questo luogo e attraverso Maria – lo chiedono caparbiamente con fede al Signore.

Tutte le nazioni sono convocate a Banneux, nel cuore dell’Europa, perché riconoscano che solo Dio può donare la luce vera, quella che illumina ogni uomo. In modo speciale agli ammalati nel corpo o nello spirito è offerta la sorgente perché trovino sollievo nelle vergine dei poveriloro sofferenze e possano viverle con Gesù, avendo accanto la Madre. 
Nel corso degli anni la devozione verso questa straordinaria epifania mariana è cresciuta nel cuore dei fedeli e di molti santi e fondatori di famiglie religiose. Come non ricordare Don Calabria che pose i suoi figli spirituali sotto la protezione della Vergine dei Poveri? E così hanno fatto anche il P. Marcel Roussel, fondatore delle Lavoratrici Missionarie dell’Immacolata, e P. Andrea Gasparino del Movimento Missionario Contemplativo Charles de Foucauld. Senza contare la devozione del beato cardinale Schuster che faceva recapitare ad amici ammalati bottigliette d’acqua della sorgente dove la Madre dei Poveri era apparsa riservando quell’acqua miracolosa a tutte le nazioni.

p-b-papabanneuxla cappella e la casa

 

 

 

 

 

 

Fonti: Santiebeati.it / http://www.preghiereagesuemaria.it /profezie3m.altervista.org/http://www.santuarimariani.org/

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IL SANTISSIMO NOME DI GESÙ

IL SANTISSIMO NOME DI GESÙ 

3 GENNAIO

San Bernardino è diventato famoso per la diffusione di uno NOME SS DI GESù.1jpgstemma contenente il SS nome di Gesù, tanto che papa Innocenzo III ne estese la festa alla Chiesa universale, soppressa e successivamente ripristinata da papa Giovanni Paolo II. Forse però non tutti sanno il significato di ogni simbolo che lo rappresenta…

L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.

Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico. Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494).

Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721. Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa. Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.

Il trigramma di san Bernardino da Siena

05-S_Bernardino_Siena-2Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro.

Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.

Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.

Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.

Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità. Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore. Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.

Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.

ss nome di gesu

Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”. Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.

Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione. La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Santissimo Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.

Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.

Fonte: Alban Butler / Santiebeati.it / preghiereagesuemaria.it / donbosco-torino.it

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LA NOTTE DI SAN SILVESTRO

LA NOTTE DI SAN SILVESTRO

Il miracolo di San Silvestro e le origini della festa

La celebrazione dell’anno nuovo è la più antica di cui vi sia 1traccia. Furono i Babilonesi circa 4000 anni fa a festeggiare per primi il loro capodanno. La storia e un miracolo di San Silvestro per una notte ricca… di bollicine.

Intorno all’anno 2000 a.C., l’anno babilonese iniziava in corrispondenza con la prima Luna Nuova dopo l’equinozio di primavera. L’inizio della primavera era un periodo logico per associarvi l’inizio dell’anno. Dopotutto, la primavera è la stagione della rinascita, della nuova semina, della fioritura. Inoltre, il 1° gennaio non ha alcun significato dal punto di vista dell’agricoltura o astronomico. E’ stata quindi una scelta puramente arbitraria.

Gli antichi romani continuarono a celebrare l’anno nuovo nel tardo marzo, ma il loro calendario era continuamente ‘manomesso’ dai vari imperatori; si scelse quindi di ‘sincronizzarlo’ con il sole. Fu Giulio Cesare, nel 46 a.C., a creare quello che ancora oggi è conosciuto come il ‘calendario Giuliano, che stabiliva che l’anno nuovo iniziava il primo gennaio. Una tradizione del nuovo anno è quella dei ‘propositi per l’anno nuovo. Anche questa tradizione nasce dai babilonesi: il proposito che più spesso facevano era quello di restituire strumenti per l’agricoltura che erano stati prestati loro.

2Tradizionalmente, l’anno nuovo è simboleggiato dalla figura di un bimbo appena nato. Questa tradizione nasce in Grecia intorno all’anno 600 a.C. Un bambino piccolo era il simbolo dell’annuale rinascita di Dioniso, dio del vino. Questa cerimonia serviva per ottenere fertilità e ricchezza. Una celebrazione simile esisteva anche nell’antico Egitto.

Tradizionalmente, si pensa che ciò che si fa il primo giorno del nuovo anno, incida molto su come sarà l’intero anno. Per questo si festeggia con la propria famiglia, con gli amici, in una nottata all’insegna dell’allegria e del lusso. Si dice che porti molta fortuna se il primo visitatore di casa vostra nel nuovo anno sia un uomo alto e con i capelli scuri.

La funzione del vischio ci è stata tramandata dai Druidi, che lo ritenevano in grado di scacciare gli spiriti cattivi dalla casa. Per questo ancora oggi si appende a capodanno sulle porte delle nostre abitazioni.

In  Spagna c’è la tradizione di consumare dodici chicchi d’uva passa a mezzanotte, uno per ogni rintocco scoccato dal grande orologio di Puerta del Sol a Madrid.

In Russia, dopo il dodicesimo rintocco, si apre la porta per far entrare l’anno nuovo.

In Ecuador e in Perù vengono esposti, fuori dalla propria abitazione, dei manichini di cartapesta fatti poi bruciare a mezzanotte nelle strade.

In Giappone, prima della mezzanotte, le famiglie si recano nei templi per bere sakè ed ascoltare 108 colpi di gong che annunciano l’arrivo di un nuovo anno (si ritiene infatti che il numero dei peccati compiuti da una persona suono delle campane in Giapponenell’arco dei dodici mesi sia proprio questo e che così ci si possa purificare).

La tradizione italiana prevede invece una serie di rituali scaramantici  che possono essere rispettati più o meno strettamente. Si pensa per esempio che porti bene vestire biancheria intima di colore rosso o gettare dalla finestra oggetti vecchi o inutilizzati (usanza, quest’ultima, a dire il vero quasi completamente abbandonata). Le lenticchie vengono mangiate a cena il 31 dicembre, come auspicio di ricchezza per l’anno nuovo, ed un’altra tradizione prevede l’usanza di baciarsi sotto il vischio in segno di buon auspicio.

Tra le molte Leggende un miracolo di San Silvestro

Molto tempo fa sulla strada che da Canale porta a Caoria fu trovato una mattina il cadavere di un uomo; aveva una larga ferita alla testa, prodotta probabilmente da un oggetto contundente, una sbarra di ferro, una leva o qualcosa di simile. L’ autorità riconobbe nel cadavere il capo boscaiolo Girolamo Sperandio di Canal San Bovo, di anni 45, ammogliato con figli. Nessuno, al momento, seppe dare indizi probabili sull’uccisore. Per giorni e giorni la polizia di Primiero fece attivissime ricerche in tutto il distretto per cercare l’uccisore; ma invano. Allora si dovette procedere a degli arresti preventivi di persone sospettate per qualche motivo di aver partecipato al delitto. Gli arresti avvennero fra i boscaioli, dai quali veramente l’ucciso era poco amato per i suoi modi burberi e per le vere e supposte ingiustizie commesse a danno dei suoi dipendenti.

Fra gli chiesa di San Silvestro altri venne arrestato un giovane di Caoria, un certo Vicenzo Loss, il quale più volte aveva detto in presenza di altri, che lo Sperandio meritava una buona lezione per farlo smettere dall’angariare i suoi uomini.

Era una mattina di settembre quando il Loss, in mezzo a quattro gendarmi, procedeva sulla strada che da Canale va al passo della Gobbera, protestando di continuo di essere innocente. Arrivato di fronte alla chiesetta di S. Silvestro, l’arrestato improvvisamente si fermò e gridò con quanta voce aveva: “S. Silvestro, protettore degli innocenti, salvatemi! Voi sapete che sono innocente, non permettete che io sia condannato senza colpa alla pena degli omicidi! Fate che queste catene mi cadano dalle mani, in modo che tutti siano convinti della mia innocenza!”.

Aveva appena pronunciato tali parole, che le catene si sciolsero e caddero a terra con immensa meraviglia sua e dei gendarmi, il capo dei quali disse:”Vicenzo, prendete le catene e portatele in pretura di Primiero, dove io narrerò l’avvenuto miracolo di S. Silvestro, e voi sarete senz’altro messo in libertà!” Arrivati a Primiero, i gendarmi riferirono quanto era avvenuto e il Loss venne subito lasciato libero. Le catene vennero portate alla chiesetta di S. Silvestro fra le popolazioni della zona riconfermando la devozione verso il taumaturgo del monte Totoga.

Questa leggenda ci ricorda il terribile “giudizio di Dio”.

(Testo tratto da “La Valle del Vanoi” di Ferruccio Romagna )

Fonti: varie

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Storia del Santuario di Loreto

10 dicembre

madonna di loretoIl santuario di Loreto conserva, secondo un’antica  tradizione, la Casa nazaretana della Madonna, ma perchè il volto di questa Madonna è nero? La risposta e la preghiera della preziosa rosa d’oro posta ai suoi piedi.

La dimora terrena di Maria a Nazareth era costituita da due parti: da una Grotta scavata nella roccia, tuttora venerata nella Basilica dell’Annunciazione di Nazareth, e da una Casa in muratura antistante. Secondo la tradizione, nel 1291, quando i crociati furono espulsi definitivamente dalla Palestina con la perdita del Porto di Accon, la Casa in muratura della Madonna fu trasportata“per ministero angelico“, prima in Illiria e poi nel territorio di Loreto (10 dicembre 1294).

Oggi, in base a nuove indicazioni documentali, ai risultati degli scavi archeologici nel sottosuolo della S. Casa (1962-65) e a studi filologici e iconografici, si va sempre più confermando l’ipotesi secondo cui le pietre della S. Casa sono state trasportate a Loreto su nave, per iniziativa umana.  Infatti, un documento del settembre 1294, scoperto di recente, attesta che Niceforo Angelo, despota dell’Epiro, nel dare la propria figlia Ithamar in sposa a Filippo di Taranto, quartogenito di Carlo II d’Angiò, re di Napoli, trasmise a lui una serie di beni dotali, fra i quali compaiono con spiccata evidenza: “Le sante pietre portate via dalla Casa della Nostra Signora la Vergine Madre di Dio“.

La notizia trova riscontro con quanto alcuni studiosi, agli inizi di questo secolo, dicono di aver letto in altri documenti dell’archivio vaticano, oggi introvabili, secondo i quali la citata famiglia bizantina Angelo o De Angelis, nel sec. XIII, salvò le pietre della S. Casa di Nazareth dalle devastazioni dei musulmani e le fece trasportare a Loreto per ricostruirvi il sacello. Anche alcuni reperti archeologici confermano il documento de] 1294: due monete (trovate sotto la S. Casa) di Guido  de La Roche, duca d’Atene dal 1287 al 1308 – epoca della traslazione della S. Casa – figlio di Elena Angelo, cugina di Ithamar, e vassallo di Filippo di Taranto; una scritta su una pietra della S. Casa, dove sembra potersi leggere Ateneorum, cioè “degli Ateniesi”, con riferimento all’ambito geografico e familiare degli Angelo; una moneta di Ladislao d’Angiò-Durazzo, pronipote di Filippo di Taranto e re di Napoli dal 1386 al 1414, trovata murata tra le pietre della S. Casa insieme con cinque crocette di stoffa rossa di crociati o, più probabilmente, di cavalieri di un ordine militare che nel medioevo difendevano i luoghi santi e le reliquie, e insieme con i resti di un uovo di struzzo, che subito richiama la Palestina e una simbologia riferentisi al mistero dell’Incarnazione.

Di grande interesse risultano anche alcuni graffiti incisi sulle pietre della S. Casa, assai simili a quelli riscontrati a Nazareth. Forse dal nome degli Angelo d’Epiro può essere sorta la versione popolare del trasporto della S. Casa “per ministero angelico”. Qualunque sia la verità sul trasporto della S. Casa-”per ministero angelico” o per iniziativa umana, essa pure ispirata dall’alto – e certo che Loreto ha un legame tutto speciale con la dimora nazaretana di Maria.

La Madonna di Loreto è di volto scuro perché rappresenta quanto citato nel “Cantico dei Cantici” dove si dice: “Bruna sono, ma bella” e più avanti alle amiche: “Non state a guardare che sono bruna perché mi ha abbronzata il sole” (1, 5-6). Ed il Sole è figura di Dio. Il colore del volto è stato alterato dal fumo (delle candele o di un incendio) o dall’alterazione dei pigmenti a base di piombo della pittura (è questo, ad esempio, anche  il caso della Madonna di Montserrat in Spagna).

“Regina della Famiglia, fa che ogni casa sia una Santa Casa e ogni famiglia sia una Santa Famiglia.”

Questa preghiera è incisa nel cartiglio posto sullo stelo di una rosa d’oro deposta ai piedi della Madonna di Loreto per volontà di Giovanni Paolo II. La rosa è il dono offerto dalle famiglie del mondo al Santo Padre nel corso del giubileo del 2000, simbolo dell’amore; nel suo stelo sono incastonate due fedi, simbolo dell’amore fedele. La rosa è stata portata dal cardinale Alfonso Lopez Trujllo , presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, al santuario della Santa Casa di Loreto, il 9 dicembre del 2000 e deposta ai piedi della venerata immagine della Madonna, Regina della famiglia.

Ogni mattina, dopo l’accensione della Lampada dell’Italia, l’arcivescovo di Loreto ricorda il significato del gesto e dà voce all’ invocazione di tutte le famiglie del mondo ripetendo la preghiera incisa nel cartiglio posto sullo stelo della rosa.

I messaggi della Santa Casa

Giovanni Paolo II nella Lettera per i VII Centenario lauretano, indirizzata a mons. Pasquale Macchi, arcivescovo di Loreto, il 15 agosto 1993, ha scritto: “La S. Casa di Loreto non è solo una reliquia, ma anche una preziosa icona concreta”. E’ reliquia perché è “resto”, cioè parte superstite della dimora nazaretana di Maria. E’ icona perché si fa specchio che riflette ineffabili verità di fede e rifrange luce su alti valori di vita cristiana. Per questo la S. Casa di Loreto è il primo santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine. Vengono qui richiamati i messaggi biblico-teologici del ricco magistero-lauretano di alcuni papi, in primo luogo di Giovanni Paolo II.

1. Culla dell’Immacolata (quella in cui la Vergine Maria nacque e fu educata e poi salutata dall’angelo Gabriele)

2. Dimora del Verbo Incarnato (sopra l’altare: Hic Verbum caro factum est: Qui il Verbo si è fatto carne)

3. Cenacolo dello Spirito Santo

4. Tabernacolo della Santissima Trinità

5. Casa dell’avvento (attese la nascita del Figlio nel silenzio e nella contemplazione del mistero.)

6. La Casa di tutti i figli adottivi di Dio (La storia di ogni uomo, in un certo senso, passa attraverso quella casa.)

7. La Casa comune dei giovani (ha accolto Gesù, che ivi ha trascorso l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza)

8. La Casa del sì di Maria e delle persone consacrate

9. Santuario della riconciliazione

10. Prima chiesa domestica della storia

11. Casa della vita nascosta di Gesù

12. Luogo del lavoro santificato

13. Oasi degli infermi (meta di pellegrini malati, che hanno invocato dalla Vergine protezione e guarigione.)

14. La Casa della vedovanza santificata

15. La Casa in cammino ( è segno della gente pellegrina verso il cielo)

Così la Casa lauretana diventa segno di protezione per emigranti ed esuli, che cambiano patria, come la dimora mariana di Nazaret. In special modo, la Madonna di Loreto è Patrona universale dei viaggiatori in aereo, e tale l’ha proclamata Benedetto XV nel 1920, come ricorda anche Giovanni Paolo II: “La Vergine Lauretana viene ovunque invocata dai viaggiatori in aereo, in un abbraccio di pace che unisce idealmente tutti i continenti”.

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MADONNA DI KIBEHO

(RWANDA) 28 novembre

Il vescovo locale diede l’approvazione alla devozione alla Madonna di Kibeho dedicando il santuario a Nostra Signora dei Dolori. Si tratta delle più importanti apparizioni di Gesù e Maria nel continente africano. La Madonna ha chiesto ancora una volta conversione, preghiera e digiuno.

Agli inizi degli anni ‘80, a Kibeho in Ruanda, hanno inizio quelle che molti considerano le più importanti apparizioni di Gesù e della Madonna mai verificatesi nel continente africano. Gli eventi di Kibeho avranno per protagonisti sei ragazze e un ragazzo: Alphonsine Mumureke, Anathalie Mukamazimpaka, Marie-Claire Mukangango, Stephanie Mukamurenzi, Agnes Kamagaju, Vestine Salima ed Emmanuel Segatashya.

Catechesi di Padre Sgreva passionista, sulle apparizioni di Kibeho: 1a parte2a parte3a parte

Tre dei veggenti vivevano in un collegio condotto da suore in una zona molto povera del paese africano. Altri tre vivevano nella foresta. Il settimo veggente, Segatashya, un ragazzo pagano di Kibeho che più tardi assunse il nome cristiano di Emmanuel, ebbe le apparizioni di Nostro Signore separatamente dagli altri. Gesù insegnò al ragazzo il Padre Nostro e lo istruì ai fondamenti della Fede cristiana.

Come per altre apparizioni dei giorni nostri, il messaggio fondamentale a Kibeho è l’invito alla conversione, alla preghiera e al digiuno. Nei loro messaggi, Gesù e la Vergine Maria, sottolineano l’importanza di amare il prossimo e di non sottovalutare il reale potere della preghiera, specialmente del Santo Rosario.

Le visioni spesso erano comuni, alcune volte cantavano delle canzoni, altre volte cadevano per terra in estasi. In alcune visioni i ragazzi ebbero modo di vedere in anticipo avvenimenti che si sarebbero puntualmente realizzati di lì a qualche anno nel più spietato e sanguinoso olocausto della storia dell’Africa: la guerra del Ruanda. Michael H. Brown parlando di una di queste visioni nel suo libro “The Final Hour” afferma che i ragazzi videro un albero in fiamme, un fiume di sangue e molti cadaveri decapitati e abbandonati. In un altro suo libro “Trumpet of Gabriel”, Brown riferisce di una visione durata otto ore nella quale i veggenti videro immagini terrificanti di persone che si uccidevano tra di loro, di corpi decapitati e gettati nel fiume. Tutti questi fatti si sono tristemente avverati appunto durante la guerra del Ruanda.

Anche padre Renè Laurentin si è occupato delle apparizioni di Kibeho in un suo libro. Ecco cosa scrive il celebre mariologo:

…Il 19 agosto 1982 merita di essere riferito in modo del tutto speciale, dato il posto che occupa nella storia delle apparizioni di Kibeho. Quel giorno la Madonna apparve ai giovani, a turno, mostrandosi triste, contrariata, i veggenti dissero addirittura che era in collera, eppure era il giorno che sulla terra si festeggiava il suo trionfo in cielo. Alphonsine vide piangere la madre di Dio. I veggenti piansero, battendo i denti e tremando. Si lasciarono cadere pesantemente a corpo morto, più d’una volta durante le apparizioni che durarono ininterrottamente per più di otto ore. I giovani vedevano immagini terrificanti, un fiume di sangue, persone che si uccidevano a vicenda, cadaveri abbandonati senza che alcuno li seppellisse, un albero tutto fuoco, un baratro spalancato, un mostro, teste mozzate. La folla presente quel giorno, circa 20.000 persone, conserva un’impressione di paura, di panico e di tristezza…”.

Le apparizioni di Kibeho sono state considerate per molto tempo con scetticismo e sospetto. Una commissione medica internazionale condusse approfonditi esami sulla salute fisica e mentale di tutti i giovani veggenti coinvolti nelle apparizioni. I rapporti elaborati dai medici furono presentati alla commissione teologica e dopo sette anni di investigazioni, il 15 agosto 1988, il vescovo locale diede la sua approvazione al culto della Vergine di Kibeho, consentendone la pubblica devozione, e dedicò il santuario mariano di Kibeho a Nostra Signora dei Dolori.

Il 29 giugno 2001 il Vaticano ha reso pubblica la notizia che l’Arcivescovo Augustin Misago di Gikongoro aveva dato la sua approvazione definitiva alle apparizioni di Kibeho. L’approvazione dal vescovo riguarda soltanto tre dei sette veggenti: Alphonsine Mumureke, Anathalie Mukamazimpaka e Marie Claire Mukangango. Inoltre le apparizioni approvate sono solo quelle della Madonna e non quelle di Gesù.

(Nota: il fatto che sia le apparizioni di Gesù che quelle ricevute dagli altri quattro ragazzi non siano state approvate non significa necessariamente che il vescovo le ritenga false ma soltanto che la commissione diocesana non ha trovato elementi sufficienti per qualificarle come sicuramente attendibili).

I VEGGENTI

Alphonsine Mumureke:

E’ nata nel 1965 in una famiglia cattolica. Secondo quanto lei stessa scrive nel suo diario, la sua prima apparizione ebbe luogo il 28 novembre 1981. Alphonsine si trovava nel refettorio della sua scuola quando improvvisamente sentì dietro di sé una voce che la chiamava: “Figlia mia!“. La Madonna era bellissima, era scalza, indossava una veste bianca senza cuciture e un velo bianco sulla testa. Le sue mani erano giunte sul petto e le dita puntavano al cielo. Alphonsine le chiese: “Chi sei?“, la risposta fu: “Sono la Madre del Verbo”. E proseguì dicendo: “…ho ascoltato le tue preghiere. Voglio che le tue compagne abbiano fede, perché non ne hanno abbastanza”. La Signora le chiese pure di insegnare alle sue compagne a pregare perché non sapevano pregare o non lo facevano abbastanza, nonché a tenere in stima la devozione a Maria, loro Madre. Durante questa estasi – come le dissero poi le compagne – la ragazza parlava diverse lingue: francese, inglese, la sua lingua madre (il kinyarwanda) ed altre a lei sconosciute.

 Il 20 marzo 1982 Alphonsine annunciò a una delle suore, alla direttrice della scuola e a una delle sue compagne: “Sarò come morta, ma non seppellitemi!”. La Madonna le aveva fatto sapere in anticipo che l’avrebbe portata con sé in un viaggio. Secondo diversi testimoni durante questo “viaggio”, durato circa sei ore, il corpo di Alphonsine rimase in uno stato di coma e di rigidità. Alcuni sacerdoti e il personale medico a cui fu consentito di assistere Alphonsine, effettuarono molti test sul suo corpo. Le conficcarono addirittura degli aghi sotto le unghie, controllarono la sua respirazione e provarono a sollevarla: sembrava che fosse diventata come un pesantissimo blocco di legno di almeno cento chili, affermarono i testimoni.

Per tutti i veggenti le apparizioni terminarono nel 1983, solo quelle di Alphonsine durarono  fino al 28 novembre 1989. La Madonna annunciò ad Alphonsine un segreto che avrebbe dovuto essere rivelato solo quando fosse arrivato il momento opportuno.  Le apparizioni di Alphonsine sono state approvate dal vescovo.

Anathalie Mukamazimpaka:

E’ nata nel 1965 in una famiglia cattolica. La Madonna le apparve la prima volta il 12 gennaio 1982. Anathalie ebbe tre viaggi mistici. I primi due durarono rispettivamente quattro e sette ore e vennero studiati da un comitato di investigazione. Digiunò per 14 giorni, dal 16 febbraio al 2 marzo 1983 e in questo periodo visse soltanto della Santa Eucarestia. Nei primi otto giorni del digiuno non bevette e non mangiò assolutamente niente; nei giorni successivi bevette solo qualche sorso d’acqua. Durante questo periodo una commissione medico-teologica la controllò minuziosamente; otto suore si alternavano giorno e notte per seguirla. I medici conducevano ogni giorno numerosi esami per tenere sotto controllo il suo stato di salute. Non venne riscontrato il minimo segno di disidratazione. La veggente non mostrava neanche il tremolio tipico delle persone che si sottopongono a un digiuno prolungato. Le apparizioni di Anathalie sono state approvate dal vescovo.

Marie-Claire Mukangango:

E’ nata nel 1961. Marie-Claire era considerata una ragazza indisciplinata e aveva dovuto ripetere un anno di scuola. Era una di quelle persone che sosteneva apertamente e con fermezza di non credere alle apparizioni. Alphonsine per lei era solo matta. La sua prima apparizione avvenne il 2 marzo 1982; le sue apparizioni durarono sei mesi. La Madonna scelse lei per esortare gli uomini a meditare sulle sofferenze di Nostro Signore e sul profondo dolore di Sua Madre. Le apparizioni di Marie-Claire sono state approvate dal vescovo.  Marie-Claire rimase uccisa nella città di Byumba nell’estate del 1994, assieme al marito

Stephanie Mukamurenzi: è nata nel 1968 ed ebbe le sue prime apparizioni all’età di 14 anni.

Agnes Kamagaju: è nata nel 1960. Le sue apparizioni durarono dal 1 agosto fino al 21 settembre 1982.

Emmanuel Segatashya: è nato nel 1967 nel villaggio di Rwamiko. I suoi genitori erano pagani. Non aveva mai frequentato la scuola e anche tutti gli altri componenti della sua famiglia erano analfabeti. Viveva in una zona molto isolata, non raggiunta neanche dai comuni mezzi di comunicazione (radio, televisione, ecc.). Segatashya non sapeva neanche come si faceva il segno della Croce né cosa significassero le croci attorno alla missione. Ebbe apparizioni sia di Gesù che della Madonna. Gesù stesso gli insegnò come fare il segno della Croce, come pregare il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Rosario. Segatashya venne battezzato nel 1983 e decise di prendere il nome di Emmanuel, come chiestogli da Gesù. La gente si chiedeva con stupore da dove gli venisse la conoscenza del sacramento della Penitenza e del concetto di peccato. Emmanuel digiunò per 18 giorni, dal 7 marzo al 24 marzo 1983. Nei primi sette giorni mantenne un digiuno molto stretto, senza cibo né acqua. Nei giorni successivi prese solo un po’ d’acqua. Anche Emmanuel venne tenuto sotto costante controllo da un team medico. E’ morto durante la guerra civile ruandese, mentre fuggiva da Kigali.

Vestine Salima:

E’ nata nel 1960 in una famiglia musulmana. Sua madre era cattolica ma più tardi si era convertita all’Islam, la religione del marito. I genitori erano d’accordo sul fatto che Vestine dovesse studiare in una scuola cattolica, dove venne anche battezzata. Le sue apparizioni iniziarono nel luglio del 1980 nella sua casa. Inizialmente ne vennero a conoscenza solo sua sorella Teofista e i suoi genitori. La prima apparizione pubblica avvenne il 15 settembre 1982 mentre si trovava a scuola; l’ultima il 24 dicembre 1983. Vestine annotò nel suo diario i contenuti delle apparizioni. Le prime apparizioni furono quelle di Gesù, poi le apparve anche la Vergine Maria. I messaggi vennero diffusi in molte parrocchie del Ruanda col permesso del Vescovo Gahamany. Il 29 gennaio 1982 Vestine pregò il Rosario con le braccia estese nel segno della Croce. Le sue braccia rimasero completamente immobili su quella posizione per circa mezz’ora.

Il suo “viaggio mistico” durò per ben 40 ore. Anche in questo caso, durante il verificarsi del fenomeno, il suo corpo venne esaminato da un comitato di investigazione. E’ morta a causa di una malattia cardiovascolare.

ALCUNI MESSAGGI 

IL PRODIGIO DEL SOLE

Il 31 maggio 2003, in occasione della consacrazione del “Santuario di Nostra Signora dei Dolori” edificato a Kibeho, alle 10 del mattino, durante la processione verso il nuovo Santuario da consacrare, molti hanno testimoniato di aver visto, vicino al sole, un altro astro più piccolo, con le dimensioni della luna, lucentissimo, che danzava, girando intorno al sole, tra uno sfavillio di mille colori. Il fenomeno sarebbe durato otto minuti e sarebbe stato anche fotografato e filmato  questo fu interpretato come un “segno” del cielo, al pari di quanto accadde a Fatima il 13 ottobre 1917.

Fonti: http://profezie3m.altervista.org/ptm_kibeho.htm /  http://www.santiebeati.it/dettaglio/91937 / http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/KIBEHO.htm

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CORONA DELLE LACRIME
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SANTA MARIA DEL PIANTO

(Altre apparizioni che fanno esplicito riferimento alla Vergine Addolorata)

Quito (1906), Fatima (1917), Kibeho (1981), Akita (1971) Cuapa (1980)

 

 

Festa della B.V.M. della Medaglia Miracolosa

FESTA DELLA B.V.M. DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA

27 novembre

La Medaglia Miracolosa è la medaglia della Madonna per eccellenza, perché è l’unica da lei ideata e voluta, comparendo nel 1830 a santa Caterina Labourè (1806-1876) a Parigi, in Rue du Bac. La stessa Caterina, Figlia della Carità di san Vincenzo de’ Paoli, così descrive le apparizioni:

Venuta la festa di san Vincenzo (19 luglio 1830, spostata al 27 settembre da papa Paolo VI ) la buona Madre Marta (direttrice delle novizie) ci fece alla vigilia un’istruzione sulla devozione dovuta ai santi e specialmente sulla devozione alla Madonna.

Parrocchia San Michele Arcangelo 27 novembre 2012 FESTA DELLA MADONNA DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA VIDEO REALIZZATO DA: Pianetainpreghiera 

Questo mi accese sì gran desiderio di vedere la santissima Vergine, che andai a letto col pensiero di vedere in quella stessa notte la mia buona Madre Celeste: era tanto tempo che desideravo vederla. Essendoci stato distribuito un pezzettino di tela di una cotta di san Vincenzo, ne tagliai una metà e l’inghiottii. Così mi addormentai col pensiero che san Vincenzo mi avrebbe ottenuto la grazia di vedere la Madonna. Alle unici e mezzo mi sento chiamare per nome.

Suor Labourè! Suor Labourè”!

Svegliatami, guardo dalla parte donde veniva la voce, che era dal lato del passaggio del letto, tiro la cortina e vedo un fanciullo vestito di bianco dai quattro ai cinque anni, il quale mi dice: “Vieni in cappella; la Madonna ti aspetta”. Mi venne subito il pensiero: Mi sentiranno! Ma quel fanciullino è pronto a rispondermi:

Stai tranquilla: Sono le undici e mezzo e tutti dormono profondamente. Vieni che ti aspetto”.

Il fanciullo mi condusse nel presbiterio accanto alla poltrona del signore direttore, dove io mi posi in ginocchio, mentre il fanciullino rimase tutto il tempo in piedi. Parendomi il tempo troppo lungo, ogni tanto guardavo per timore che le suore vegliatrici passassero dalla tribuna. Finalmente giunse il sospirato momento. Il fanciullino mi avvertì dicendomi:

Ecco la Madonna, eccola!”

Sentii un rumore come il fruscio di vesti di seta venire dalla parte della tribuna, presso il quadro di san Giuseppe, e vidi la santissima Vergine che venne a posarsi sui gradini dell’altare dal lato del Vangelo. Era la santissima Vergine, ma tutta simile a sant’Anna, solo il volto non era lo stesso. Ero incerta se si trattasse della Madonna. Ma il fanciullino che era lì mi disse:

Ecco la Madonna!”.

Dire ciò che provai in quel momento e ciò che succedeva in me, mi sarebbe impossibile. Mi sembrava di non riconoscere la Madonna. Quel fanciullino allora, mi parlò, non più con voce di bambino, ma d’uomo alto e robusto, e disse parole forti. Guardando la santissima Vergine, spiccai, allora un salto verso di lei ed, inginocchiandomi sui gradini dell’altare, appoggiai le mani sulle ginocchia di Maria… Fu quello il momento più dolce della mia vita. Dire tutto ciò che provai mi sarebbe impossibile. La Madonna mi spiegò come dovevo comportarmi col mio direttore e parecchie cose che non debbo dire; m’insegnò il modo di regolarmi nelle mie pene e mostrandomi con la sinistra i piedi dell’altare, mi disse di andarmi a gettare ai piedi dell’altare ad espandervi il mio cuore, aggiungendo che colà avrei ricevuto tutti i conforti a me necessari:

Figlia mia, mi disse la Madonna, Dio vuole affidarti una missione. Avrai molto da soffrire, ma soffrirai volentieri, pensando che si tratta della gloria di Dio. Avrai la grazia; dì tutto quanto ti succede, con semplicità e confidenza. Vedrai certe cose, sarai ispirata nelle tue orazioni, rendine conto a chi è incaricato dell’anima tua…

Quanto tempo rimasi con la Madonna, non saprei dire, tutto quello che so è che, dopo avermi parlato a lungo, se ne andò, scomparendo come ombra che svanisce, dirigendosi verso la tribuna, per quella parte da cui era venuta. Mi alzai dai gradini dell’altare, rividi il fanciullino al posto dove l’avevo lasciato, il quale mi disse:

E’ partita!

Rifacemmo lo stesso cammino, trovando sempre tutti i lumi accesi e tenendosi quel bambino sempre alla mia sinistra. Credo che quel bambino fosse il mio angelo custode, resosi visibile per farmi vedere la Madonna; io, infatti, l’avevo molto pregato di ottenermi un tal favore. Tornata a letto, sentii suonare le due e non ripresi più il sonno.

Il 27 novembre 1830, il sabato precedente alla prima domenica d’Avvento, alle cinque e mezzo di sera, facendo la meditazione in profondo silenzio, mi parve di sentire dal lato destro della cappella un rumore come il fruscio di una veste di seta. Avendo volto lo sguardo verso quel lato, vidi la santissima Vergine all’altezza del quadro di san Giuseppe. La sua statura era media e la sua bellezza tale che mi è impossibile descriverla.

Stava in piedi, la sua veste era di seta e di color bianco-aurora, fatta, come si dice, “à la vierge” (alla vergine), cioè accollata e con le maniche lisce. Dal capo le scendeva un velo bianco sino ai piedi. Aveva i capelli spartiti e una specie di cuffia con un merletto di circa tre centimetri di larghezza, leggermente appoggiato sui capelli. Il viso era abbastanza scoperto, i piedi poggiavano sopra un globo, o meglio, sopra un mezzo globo, o almeno io non ne vidi che un a metà (più tardi la santa confesserà di aver visto sotto i piedi della Vergine anche un serpente color verdastro chiazzato di giallo).

Le sue mani elevate all’altezza della cintura, mantenevano in modo naturale un altro globo più piccolo che rappresentava l’Universo. Ella aveva gli occhi rivolti al cielo e il suo volto diventò risplendente, mentre presentava il globo a nostro Signore. Tutto ad un tratto, le sue dita si ricoprirono di anelli, ornati di pietre preziose, le une più belle delle altre, le quali gettavano dei raggi gli uni più belli degli altri: questi raggi partivano dalle pietre preziose; le più grosse gettavano raggi più grandi e le più piccole raggi meno grandi, sicchè tutta se ne riempiva la parte inferiore, e io non vedevo più i suoi piedi… mentre io ero intenta a contemplarla, la Santissima Vergine abbassò gli occhi verso di me e intesi una voce che mi disse queste parole:

Questo globo che vedi rappresenta tutto il mondo, in particolare la Francia ed ogni singola persona…”.

Io qui non so ridire ciò che provai e ciò che vidi, la bellezza e lo splendore dei raggi così sfolgoranti!… e la Vergine Santissima aggiunse:

Sono il simbolo delle grazie che io spargo sulle persone che me le domandano”, facendomi così comprendere quanto è dolce pregare la SS Vergine e quanto Ella è generosa con le persone che la pregano; quante grazie Ella accorda alle persone che gliele cercano e quale gioia Ella prova nel concederle. In quel momento, io ero e non ero… non so… io godevo. Ed ecco formarsi intorno alla SS Vergine un quadro alquanto ovale, sul quale in alto, a modo di semicerchio dalla mano destra alla sinistra di Maria si leggevano queste parole scritte a lettere d’oro:

Oh Maria , concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a te”.

Allora si fece sentire una voce che mi disse:

Fai, coniare una medaglia su questo modello; tutte le persone che la porteranno, riceveranno grandi grazie, specialmente portandola al collo; le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia “.

All’istante mi parve che il quadro si voltasse ed io vidi il rovescio della medaglia. Vi era la lettera “M” iniziale del nome di Maria sormontata da una croce senza crocifisso che aveva come base la lettera “I” (iniziale del nome Jesus, Gesù). Più sotto vi erano 2 cuori, uno circondato da spine (quello di Gesù), l’altro trapassato da una spada (quello di Maria). Dodici stelle, infine, circondavano il tutto. Poi tutto disparve, qualcosa che si spegne ed io sono rimasta ripiena non so di che, di buoni sentimenti, di gioia, di consolazione.

LA MILIZIA DELL’IMMACOLATA E LA MEDAGLIA MIRACOLOSA

Nel solco della tradizione francescana, il “Mistero dell’Immacolata Concezione” di Maria diviene per p. Kolbe un ideale di vita e di apostolato. Turbato dalle intemperanze di quei tempi contro la Chiesa e il Papa, fonda a Roma il 16 ottobre 1917 la Milizia dell’Immacolata, movimento francescano mariano missionario, aperto a tutti i cristiani. “San Francesco, scrive p. Kolbe, è il modello del missionario e il suo esempio spinge all’apostolato diretto alla salvezza e alla santificazione delle anime” (cfr. SK 299).

L’essenza della Milizia dell’Immacolata è consacrarsi illimitatamente all’Immacolata.

Il suo scopo: far entrare l’Immacolata nei cuori di tutti gli uomini, affinchè ella li trascini alla conoscenza di Gesù e li infiammi di amore per il suo sacratissimo Cuore (cfr. SK 486)

I mezzi da usare: tutti quelli leciti a propria disposizione, ma soprattutto la stampa e la Medaglia miracolosa; questa è il segno esterno della propria consacrazione e la fonte delle grazie promesse dalla Madonna (cfr. SK 56); strumento di lotta e motivo di preghiera. Farsi, perciò, interpreti attendibili del Vangelo e capaci di suscitare scelte cristiane e vocazionali con la preghiera, le penitenza, il buon esempio, la cordialità, la dolcezza, la bontà quale riflesso della bontà dell’Immacolata (cfr. SK 97).

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FONTE: “Pregate, pregate, pregate” ed. Shalom