SANTA GIUSEPPINA BAKHITA

SANTA GIUSEPPINA BAKHITA

(ca. 1868-1947) 08 febbraio

 

Santa_Giuseppina_BakhitaFiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, fu catturata all’età di quasi dieci anni da alcuni mercanti arabi di schiavi, che la tennero prigioniera per qualche anno a El Obeid nel Kardofan per poi aprirsi mirabilmente alla grazia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa

IL FILM

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Nata nella regione meridionale di Darfur nel Sudan, a circa trentotto chilometri dalla città di Nyala.  Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome. Bakhita, che significa ‘fortunata‘, è il nome datole dai suoi rapitori. Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. Subisce inoltre un tatuaggio, imposto in modo cruento, mentre era al servizio di un generale turco: sul suo petto, sul ventre e sul braccio destro le vengono disegnati oltre cento segni, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale, al fine di creare cicatrici permanenti.

VIDEO RACCONTO DI BAKHITA

Nella capitale del Sudan, Bakhita fu comprata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani.  Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più la frusta; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l’affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre. Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l’Italia. Bakhita chiese e ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.

Josephine Bakhita3Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova ‘famiglia’ nell’abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) dove visse per tre anni e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l’amica. L’acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita furono affidate alle Suore Canossiane dell’Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese e ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina ‘sentiva in cuore senza sapere chi fosse’. ‘Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio.

Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell’Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Ricevette il battesimo, la prima comunione e la cresima dalle mani del cardinale patriarca di Venezia, Domenico Agostino. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un’intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: ‘Qui sono diventata figlia di Dio!‘. Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva e amava, l’aveva condotta a sé per vie misteriose, tenendola per mano. Quando la signora Michieli ritornò dall’Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest’ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossianee servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.

Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell’Istituto di S. Maddalena di Canossa. Il 7 dicembre del 1893 entrò a Venezia, nell’istituto delle Figlie Canossiane della Carità; due anni dopo indossò l’abito, e l’8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per Bakhita5sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, ‘el me Paron’. Nel 1902 viene trasferita in un convento dell’ordine a Schio (Vicenza) dove trascorrerà il resto della vita. Qui Bakhita lavora come cuciniera e sagrestana. Nel corso della Prima Guerra Mondiale, parte del convento viene adibito ad ospedale militare e le capita di lavorare come aiuto infermiera. A partire dal 1922 le viene assegnato l’incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale: gli abitanti del posto sono incuriositi da questa insolita suora di colore, che non parla bene l’italiano, almeno non quanto il dialetto locale (veneto). Grazie ai suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente, iniziano ad amarla, tanto che viene ribattezzata “Madre Moreta“.

Per oltre cinquant’anni quest’umile Figlia della Carità, vera testimone dell’amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu, infatti, cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia. Quando si dedicò a quest’ultimo servizio, lesue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell’Istituto. La sua voce amabile, che aveva l’inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell’Istituto. La sua umiltà, la sua semplicità e il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Che tutt’ora la chiamano “la nostra Madre Moretta” . Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore. ‘Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!’.

Bakhita ha un particolare carisma personale; i suoi superiori lo sanno e in più occasioni le chiedono di dettare le sue memorie. Il primo racconto viene dettato a suor Teresa Fabris nel 1910, che produce un manoscritto di 31 pagine in italiano. Nel 1929, su invito di Illuminato Chicchini, amministratore della famiglia dei coniugi Michieli, persona a cui Bakhita era particolarmente legata e riconoscente, si racconta ad un’altra consorella, suor Mariannina Turco; questo secondo manoscritto è andato perduto, probabilmente distrutto dalla stessa Bakhita. Su richiesta della superiora generale dell’ordine delle Figlie della Carità, all’inizio del mese di novembre 1930 bakhita-05viene intervistata a Venezia da Ida Zanolini, laica canossiana e maestra elementare. Questa nel 1931 pubblica il libro “Storia Meravigliosa“, che sarà ristampato 4 volte nel giro di sei anni. La fama di Bakhita si estende così per tutto il paese: sono molte le persone, le comitive e le scolaresche che si recano a Schio per incontrare Suor Bakhita.

Dal 1933, assieme a suor Leopolda Benetti, suora missionaria di ritorno dalla Cina,inizia a girare l’Italia per tenere conferenze di propaganda missionaria. Timida di natura e capace di parlare solo in dialetto veneto, Bakhita si limitava a dire poche parole alla fine degli incontri; era la sua presenza tuttavia ad attirare l’interesse e la curiosità di migliaia di persone. L’11 dicembre 1936, Bakhita con un gruppo di missionarie in partenza per Addis Abeba, vengono ricevute da Benito Mussolini nel Palazzo Venezia a Roma.

Dal 1939 cominciano a comparire i primi seri problemi di salute.  La vecchiaia e la malattia lunga e dolorosa la costringeranno a non allontanarsi più da Schio ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: ‘Come vol el Paron’. Dedicò la maggior parte del tempo libero alla preghiera e alla meditazione davanti al Crocifisso e all’Eucaristia. Madre Bakhita amava molto il dialogo diretto con Dio. Continuava a ripetere a tutti che la bontà di Dio è infinita : “Quanto bon che xe el Paròn. Come se fa a non volerghe ben al Signor?”

Nell’agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l’infermiera che l’assisteva: ‘Mi allarghi le catene…pesano!’. Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: ‘La Madonna! La Madonna!‘, mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l’incontro con la Madre del Signore. M. Bakhita si spense l’8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in Bakhita Framedpianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell’Istituto per vedere un’ultima volta la sua ‘Santa Madre Moretta’ e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti. La salma della religiosa viene inizialmente sepolta nella tomba di una famiglia scledense, i Gasparella, in vista di una successiva traslazione nel Tempio della Sacra Famiglia del convento delle canossiane di Schio, attuata nel 1969.

Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1° dicembre 1978, Papa Giovanni Paolo II firma il decreto dell’eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita. Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita viene beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il giorno 1 ottobre 2000. La divina Provvidenza che ‘ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell’aria’, ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l’avvento del regno.

Ci sono anche diversi miracoli attribuiti alla sua intercessioneNel 1947, anno stesso della sua morte, una suora canossiana, Maria Silla di Pavia, guarì da una forma di ostoartrite sinovite al ginocchio sinistro. Il miracolo avvenne il 22 ottobre, diversi mesi dopo la morte di Bakhita. Il 27 maggio 1992 Eva da Costa Onishi, in Brasile, guarì da ulcerazioni infette alle gambe causate da insufficienza cronica del circolo venoso, obesità, ipertensione e diabete mellito. Nel 1950 sono già sei le persone che attestano di aver ricevuto grazie attraverso l’intercessione di Bakhita. Oggi i cristiani sudanesi che ancora soffrono persecuzione e morte la invocano come loro protettrice in cielo.

FONTI: il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler/ Santiebeati.it/ http://biografieonline.it/ http://freeforumzone.leonardo.it

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BEATA CLEMENTINA ANUARITE

2 thoughts on “SANTA GIUSEPPINA BAKHITA”

  1. Benedico Suor Bakita e i suoi devoti di Schio,compresa mia mamma morta in gennaio dopo 1 calvario,malattia,agonia e morte indescrivibili x una vera cristiana con una fede da analfabeta”Dio la guardi e le usi Misericordia se ha sbagliato senza saperlo.Noi 5 figli siamo rimasti uniti nella prova e dolore anche di mio padre.Che ora ci guardino di lassù e ci illumiino e ci proteggano ci portino alla Luce e pace infinite a cantare inni a Dio con le schiere Angeliche,sperando di fare 1 buona morte senza disturbare nessuno,abbandonarsi all’infinito.

  2. Sono sr. Laura Maier, Canossiana e mi trovo a Schio nel Santuario di Santa Bakhita. Ho una domanda: La foto qui sopra con Madre G. Bakhita e il gruppetto di giovani donne con alle spalle un Gesù di marmo bianco con le braccia allargate dove si trova? In quale città o paese d’Italia potrebbe essere stata scattata questa foto? Spero che qualcuno possa darmi una risposta. Ringrazio già in anticipo. Questa è il nostro indirizzo email. bakhitaschio@gmail.com

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