Beato Raimondo Lullo

BEATO RAIMONDO LULLO

Terziario francescano, martire (1235 – 1316) 29 giugno

Intorno ai trent’anni lascia tutto x entrare nell’Ordine francescano dedicandosi allo studio e a viaggi di conoscenza, con lo scopo diffondere il cristianesimo soprattutto tra i musulmani. Fonda un collegio per far studiare l’arabo ai francescani.

Nasce a Maiorca nel 1235 da una nobile famiglia catalana e ricevette un’educazione adeguata. Per molti anni visse la vita di corte, fatta di lusso, feste e bei vestiti. Raimondo, poeta e cavaliere di corte non si sentiva a disagio. Gli piaceva quella vita e la celebrava anche nelle poesie d’amore. Si sposò ed ebbe anche due figli. Sembrava contento della propria vita e di se stesso… Qualcuno Altro no!

Verso i 30 anni ecco la crisi religiosa. L’origine? Strane visioni del Cristo Crocifisso che per ben cinque volte gli sussurrò: “Raimondo, segui me!“. Prima non ci badò, dubitando di tutto; poi non ci volle credere. Alla fine si arrese. Conversione totale. Fine di quella vita. D’accordo con la moglie e dopo aver lasciato beni sufficienti anche per i figli, lasciò lusso e agiatezza, feste di corte e i bei vestiti, vendette parte dei beni, e si mise in cammino. Visitò santuari e chiese, vivendo in preghiera e povertà, per alcuni anni. E riprese a studiare e a ricercare.

Per due anni (1287-1289) Raimondo fu anche insegnante all’Università di Parigi (poi Roma e Napoli). Così ebbe l’opportunità di esporre i capisaldi della propria dottrina, dando lettura pubblica dell’Ars Magna (i posteri per i suoi scritti lo chiameranno Doctor Illuminatus).

Essendo essenzialmente uomo di azione, anche la sua riflessione era concentrata su come rendere più efficiente ed efficace, più convincente e più convertente l’azione del missionario. Essendo, secondo lui, la predicazione del Vangelo un’altissima missione non poteva essere lasciata solamente all’abnegazione e alla buona volontà del singolo. Occorreva preparare e prepararsi. Il suo pensiero (teso quasi a fondare scientificamente la missione) e la sua azione ne hanno fatto un precursore di quella che oggi si chiama Missionologia.

Da convertito insomma voleva diventare un convertitore, sempre con la ragione e con l’amore. Sentiva profondamente che alla missione però si doveva arrivare non solo con la predicazione e con il dialogo (fatto con amore) ma anche con la cultura (argomentazioni razionali). Furono questi i due orizzonti che segnarono tutto il pensiero e l’azione di Raimondo. Si impegnò quindi ad approfondire la filosofia, la teologia, a studiare l’arabo e ad enucleare le tecniche della logica, considerandola l’arte universale.

Forse in questo è stato ispirato da San Pietro, l’ex pescatore che, in una sua lettera, esortava i primi cristiani ad “essere pronti a dare ragione della speranza” che avevano e che li faceva vivere e morire diversi dagli altri. Questo suo invito ebbe successo nei secoli seguenti: ricordiamo, tra gli altri, Giustino, filosofo e martire, e il grande Agostino. Anche Raimondo era conscio di quello che, secoli dopo, avrebbe scritto Giovanni Paolo II (Beato) nell’Enciclica Fides et Ratio: “La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità“.

Non solo uno studioso, un professore di successo, ma anche missionario. Primo tentativo a 60 anni: altro che pensione! Era a Genova per imbarcarsi per Tunisi. Missione? Tra i musulmani, per predicare e testare le proprie teorie. Ma la prospettiva della morte (probabile) lo terrorizzò. Rimase a Genova, in preda ad una grave crisi psicologica e vicino alla follia. Vinta la paura partì finalmente. Ma venne quasi subito espulso. Una delusione: altro che dialogo. In seguito, nel 1307, si recò nell’odierna Algeria. Sperava in una sorte migliore. Le intenzioni erano ottime, la preparazione anche. Ma i musulmani non erano cambiati: lo arrestarono, lo picchiarono, lo imprigionarono. Fine della missione. Ultimo tentativo a 80 anni nel 1314. Ancora Tunisi: qui dedicò i propri scritti al sovrano tentando di nuovo la via del dialogo, con la ragione e con l’amore. Le cose non andarono meglio: fu lapidato. Per fortuna sua venne raccolto da mercanti genovesi e riportato in patria, dove morì nel 1315. La fama popolare di beato circonda la sua figura subito dopo la morte, e poi nei tempi successivi: ma anche gli sforzi di farlo beatificare falliscono. Nel 1850, infine, Pio IX approverà il culto come beato, che già da tempo gli veniva tributato in Catalogna e nell’Ordine francescano.

Non amare è morire Dimmi, o Pazza d’amore, se il tuo Amato non ti amasse più, che cosa faresti allora? Io continuerei ad amare, per non morire. Perché non amare è morire. Amare è vivere.” (Beato Raimondo Lullo)

Fonti: Famiglia Cristiana; http://www.santiebeati.it/dettaglio/90394