Beato Timoteo (Giuseppe) Giaccardo

Beato Timoteo (Giuseppe) Giaccardo

Sacerdote paolino ( 1896 – 1948) 24 gennaio

Convinto che “un uomo scontento è un uomo a metà”, interpretava il Vangelo come “il libro dell’umiltà“. “All’umiltà non dite mai di no, perché più entrate nell’umiltà, più assomiglierete a Gesù Cristo… Umiliamoci anche quando dovessimo inchiodare con Gesù la nostra volontà alla croce“. Perché “l’amore alle comodità non fa mai i santi”, mentre “chi uccide l’io, trova Dio“.

È il primo sacerdote religioso della Società San Paolo fondata ad Alba (Cuneo) il 20-8-1914 dal servo di Dio Don Giacomo Alberione (1884-1971) per l’evangelizzazione dei popoli mediante l’apostolato con gli strumenti della comunicazione sociale.

Il Giaccardo nacque il 13-6-1896 a San Giovanni Sarmassa, borgata di Narzole d’Alba (Cuneo), primogenito dei cinque figli che Stefano, modesto mezzadro, ebbe da Maria Cagna, donna di casa molto attiva e molto devota della Madonna del Rosario. Al fonte battesimale gli furono imposti i nomi di Giuseppe, Domenico e Vincenzo.

L’infanzia di Giuseppe (Pinot) si svolse sotto lo sguardo dei pii ed onesti genitori, lavoratori prima nella fattoria “Battaglione” in cui era nato, e poco dopo in una casa di Narzole, poco lontano dalla chiesa parrocchiale, dedicata a San Bernardo, in cui il padre, per un dissesto finanziario, era stato costretto a trasferirsi adattandosi a fare da mediatore, da norcino e anche un po’ da sacrestano. A quattro anni il Beato imparò tutte le preghiere del buon cristiano frequentando l’asilo, diretto dalle Suore di S. Anna, e a sette anni cominciò ad apprendere i primi rudimenti del sapere frequentando le scuole comunali, dirette da ottimi maestri. […] l’anziano padre, nel processo, poté affermare:Non ho mai sorpreso mio figlio a dire bugie… In famiglia non ho mai dovuto riprenderlo e castigarlo per mancanze commesse“.

Il beato con don Alberione

[…] Don Alberione, il quale era stato mandato in quella parrocchia nella primavera di quell’anno perché assistesse il parroco, ormai al termine della vita, ne aveva ricevuto la prima confessione generale. Quando lo vide […] ne fu subito ottimamente impressionato per la docilità, lo spirito di preghiera e la quotidiana frequenza ai sacramenti. Poiché manifestava il desiderio di farsi sacerdote, nell’ottobre del 1908 se lo portò con sé in seminario essendo stato nominato direttore spirituale degli alunni.

Di lui attestò Pasquale Gianoglio, seminarista, in seguito vicario generale della diocesi: “Era un ragazzo mingherlino, fisicamente insignificante, aveva due occhi neri vivissimi che rispecchiavano un’anima serena, tranquilla; sempre sorridente, composto, raccolto, specialmente in cappella nella preghiera, senza singolarità alcuna; e tale contegno conservò durante tutta la vita… Nonostante primeggiasse negli studi non ostentava mai questa superiorità anzi cercava di passare inosservato”, ben sapendo quanto fosse invidiato dai compagni.

[…] Due anni dopo l’ingresso in seminario, emise il voto annuale di castità. La forza di osservarlo sempre gli derivò da una tenera e filiale devozione a Maria SS. di cui si considerava schiavo, secondo lo spirito di S. Luigi M. Grignion de Montfort (+1716). Secondo Francesco Grosso suo compagno di scuola, “sul banco di studio teneva l’immagine della Consolata e la baciava sovente dicendo qualche giaculatoria… Di frequente mi diceva: Franceschino facciamoci santi perché questo è il nostro mestiere… Sovente si rammaricava con me di non poter cantare la Messa a motivo della sua voce stonata“.

[…]Il 22-1-1915 il Giaccardo fu chiamato alle armi e assegnato alla 2a Compagnia di Sanità di Alessandria, ma il 7-1-1916 fu riformato perché affetto di oligoemia (anemia). Ritornò in seminario a fare da assistente agli studenti, ma ne fu presto dispensato perché nell’esigere la disciplina era pedante e minuzioso. Il Beato in preda a umiliazioni non accettate, a invidie e a principi di scoraggiamento levò ardente il grido: “Gesù, tu mi sostieni, ed io confido in Te. Voglio farmi santo. Trasformami in Te” (nov. 1916).

Nella solennità dell’Immacolata emise il voto perpetuo di castità, riconoscente alla Vergine perché lo aveva aiutato a superare le dure lotte che, da più di un anno, aveva dovuto sostenere riguardo alla castità. […] Il Beato il 4-7-1917 entrò nell’Opera di Don Alberione con il beneplacito del Vescovo. Essendo chierico di quarta teologia ebbe il compito di assistere i giovanetti della Scuola tipografica, fare loro scuola, correggere le bozze dei bollettini parrocchiali e dei libri che si stampavano in tipografia, e continuare a studiare in preparazione al sacerdozio.

[…]Nonostante gli accresciuti impegni Don Giaccardo continuò anche gli studi. Difatti il 12-11-1920 conseguì a Genova la laurea in teologia […] Don Alberione, per non costringere i suoi ragazzi a continui traslochi, decise di fare costruire in proprio la Casa Madre dell’Istituto benché diversi sacerdoti diocesani ne temessero il fallimento. Il primo tronco fu benedetto personalmente dal vescovo il 5-10-1921. Da quel giorno l’Opera di Don Alberione si chiamò Pia Società S. Paolo. Don Giaccardo ne fu nominato vicesuperiore ed economo. Come se ciò non bastasse, fu pure incaricato di dirigere la Cassetta d’Alba, settimanale diocesano, di cui Don Alberione era diventato proprietario. Era il tempo in cui Benito Mussolini (1883-1945) si preparava, a marciare su Roma per impadronirsi del governo e imbavagliare la stampa contraria al fascismo. Nel redigere il settimanale Don Giaccardo s’impegnò a riportare sempre con fedeltà il pensiero del papa come già faceva nella predicazione, nella scuola e nelle private conversazioni.

[…]Sapendo di avere in Don Giaccardo un discepolo obbedientissimo, il 6-1-1926 Don Alberione gli affidò l’arduo compito di andare a fondare la prima casa dell’Istituto niente meno che a Roma, benché esso non fosse stato ancora eretto in congregazione religiosa.

[…]Il Beato Giaccardo il 15-1-1926 impiantò a Roma una piccola tipografia in via Ostiense n. 75, con l’aiuto di 14 studenti ginnasiali che aveva condotto con sé da Alba. Potè così iniziare alcune settimane dopo la stampa del settimanale La Voce di Roma, al quale fecero ben presto seguito altri undici settimanali diocesani. All’inizio il Beato visse in estrema povertà in una casa d’affitto costruita come magazzino e quindi priva di mobili, di sufficienti servizi igienici e di cappella. Per la messa e la visita al SS. Sacramento, doveva recarsi con i suoi ragazzi alla basilica di San Paolo. 

[…] Verso la metà dell’anno Don Giaccardo riuscì ad allestire una cappellina con un altare portatile avuto in prestito e i paramenti avuti in dono dai Padri Benedettini. Quando giunse a Roma il Beato disponeva soltanto di 3000 lire. La somma doveva bastare per provvedere anche alle prime necessità delle 14 giovanette, dirette dalla maestra Suor Amalia Peyrolo, delle Figlie di San Paolo, stabilitesi nei pressi dei paolini per affiancarli nel lavoro tipografico con appropriati orari.

Non faceva un passo di ordine economico senza la previa autorizzazione del fondatore. A volte non riusciva a pagare in tempo i creditori. Sapeva scusarsene con tanta grazia e umiltà che sovente il creditore rimaneva confuso. Il Beato diceva: “Non sono mai cosi tranquillo come nelle difficoltà. Dio fa lui“.

[…]Il P. Anselmo Tappi-Cesarini, segretario dell’abate, dichiarò di Don Giaccardo, immerso in mille difficoltà: “Io non lo vidi mai scoraggiato. Era solito dire che i giovani sono i parafulmini della casa e che la Provvidenza non sarebbe venuta loro meno“. Secondo il Violardo, che lo frequentava per la confessione e la direzione spirituale, “egli trattava i suoi ragazzi in modo veramente paterno, ispirandosi agli insegnamenti educativi di Don Bosco. Li seguiva motto da vicino e ne studiava le tendenze. Parlandone diceva:Se ne verranno altri mille, io non mi spaventerò; e il Signore che li manda e lui stesso provvederà a mantenerli“.

Con tutti era affabilissimo, ma si asteneva dal dare segni di affetto. […]Il Beato facendo secondo la costituzione tutti i giorni un’ora di adorazione davanti al SS. Sacramento, recitando “bei rosari” in onore della Regina degli Apostoli, lavorando sodo come l’apostolo S. Paolo, riuscì con l’aiuto del P. Enrico Rosa (+1938), direttore della Civiltà Cattolica, a fare da mediatore tra Don Alberione e i dicasteri della Santa Sede riguardo all’approvazione della congregazione.

[…]Nella casa romana, Don Giaccardo non sapeva dove ospitare le vocazioni che aumentavano. I benedettini, poco lontano dalla basilica di San Paolo, possedevano un terreno di cinque ettari chiamato “vigna di S. Paolo”, dotato di un modesto casale. Don Giaccardo andò un giorno a vederlo, gli piacque e ne scrisse a Don Alberione. […] Nell’ottobre dello stesso anno la piccola comunità paolina cominciò a prenderne possesso. Don Giaccardo trasformò la stalla del casale in cappella e la cantina in tipografia.

Dopo la professione perpetua […] Il 10-6-1936, il fondatore trasformò la casa romana in sede del Superiore Generale e destinò Don Giaccardo ad Alba affinchè dirigesse la Casa Madre con l’impegno di insegnare a tutti: ragazzi, chierici e sacerdoti, a praticare la vita di preghiera, di studio, di apostolato e di povertà, costituenti le quattro ruote del carro paolino come avevano imparato fin dalle origini della congregazione.

[…]Nel limite del possibile cercava di accontentare tutti, perché era convinto che “l’autorità è al servizio della carità” e perché, personalmente, “amava di più la misericordia che la giustizia“.
Quando, nel 1936, giunse ad Alba, il Beato trovò circa 500 giovanotti da educare e un centinaio di chierici e di sacerdoti da guidare alla santità. Non sempre gli era facile prendere rapide decisioni per una così folta schiera di persone, e qualche confratello ogni tanto se ne lagnava. Eppure nessuno lo aveva mai visto in preda ad ansietà, a turbamenti o a nervosismi neppure allorché, negli anni precedenti la seconda guerra mondiale (1940-1945), arrivavano in curia lamentele di creditori non pagati, o il bollettino dei protesti in ogni numero recava un lungo elenco di cambiali scadute e non pagate per debiti contratti da Don Alberione.

Il motivo è che, prima di decidersi, amava riflettere, pregare, consigliarsi e soprattutto attendere da Roma, meno per le questioni più importanti, la definitiva approvazione del fondatore dal quale dipendeva sempre in tutto.

A Don Giaccardo ripugnava fare correzioni specialmente a sacerdoti e confratelli professi. Timido per natura, dovette sempre lottare per vincersi. Non sempre, però, le sue osservazioni venivano accolte con la dovuta sottomissione. Non gli mancarono sgarbi, ingratitudini, grossolanità, ma egli li sopportò sempre senza un lamento e senza conservare rancori verso nessuno.

[…]Il Beato traeva gli argomenti per le sue riflessioni dal Vangelo che voleva esposto in chiesa, negli studi, in tipografia, nelle camerate e che baciava a mani giunte ogni volta che vi passava davanti, ma in modo speciale dalle Lettere di San Paolo, che leggeva in greco e conosceva quasi a memoria. Ne portava in tasca una piccola edizione e sovente la consultava. Nella predicazione il riferimento al pensiero dell’apostolo era per lui una necessità.

Quando il Beato parlava del peccato si sentiva che trattava di un argomento che lo imbarazzava, che gli ripugnava. Lo si deduceva dalla contrazione del volto. Non riusciva a concepirlo. Quando gli venivano riferite colpe di qualche confratello, ne rimaneva affranto. Poiché aveva in odio i sotterfugi e le bugie, correggeva gli erranti, ma non sempre, con la dovuta sollecitudine per il grande timore di rattristare persone care. Come penitenza raccomandava la carità, l’esame di coscienza e la vita comune.

[…]L’amore della castità costituiva la caratteristica principale della sua vita. Alcuni confratelli lo ritenevano “esagerato” perché dimostrava il suo sincero disgusto ogni volta che udiva facezie sconvenienti o scurrilità.

[…] A un confratello che gli chiese un giorno come facesse a starsene tranquillo e sereno tra tante preoccupazioni egli rispose: “Vedi, dopo un quarto d’ora di preghiera, qualsiasi fastidio per me si scioglie come un pezzo di cera al sole“.

[…] Alle Suore in preda a travagli e perplessità raccomandò di non “lasciarsi schiacciare, opprimere dalla prova“, ma anche di “obbedire in silenzio, fiducia e docilità“‘. Egli stesso ne diede l’esempio, […]

[…] Don Giaccardo dagli ultimi mesi del 1947 cominciò a sperimentare una spossatezza che andava sempre più accentuandosi. Egli stesso non si fidava più di viaggiare da solo a causa di frequenti svenimenti e di particolari difficoltà nell’articolare le gambe. Due mesi prima della morte, visitò, per incarico di Don Alberione, diverse case d’Italia come “fratello maggiore”, ma figlio del fondatore. Da Alba volle recarsi al paese natio per rivedere la chiesa dei suoi ardori infantili, salutare i parenti e i conoscenti, specialmente il vecchio parroco al quale chiese la benedizione in ginocchio, e diede appuntamento per il Paradiso.

Il 12-1-1948 celebrò con estrema fatica la sua ultima Messa. In mattinata Pio XII concesse il Decreto di Lode alle Pie Discepole del Divino Maestro. […]
Il Dott. Tommaso Teodoli curò il malato come fosse affetto da artrite e lombaggine. Dal consulto di tré medici risultò, invece, che era colpito da una anemia leucemica acuta, che annunziava una fine prossima.

[…] Morì secondo Don Alberione ancora rivestito dell’innocenza battesimale, il 24-1-1948, sabato, vigilia della conversione di S. Paolo e memoria del suo discepolo S. Timoteo, dopo che tutta la comunità, la sera precedente, gli era sfilata dinanzi per baciargli la mano, e il fondatore gli aveva impartito ancora una volta l’assoluzione, lo aveva abbracciato e baciato sospirando: “Tu sei stato sempre un figliuolo buono e fedele!“.

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[…] L’ultima preghiera che, prima di morire, quest’ultimo scrisse fu:Signore, ti prego, fa che il mio sepolcro sia semente di vergini!“.
Giovanni Paolo II riconobbe le virtù eroiche di Don Giaccardo il 9-4-1985 e lo beatificò il 22-10-1989. La data di culto è stata posta dal Martyrologium Romanum al 24 gennaio, mentre le Congregazioni paoline lo ricordano il 19 ottobre.

Autore: Guido Pettinati

Fontehttp://www.santiebeati.it/dettaglio/74900