Servo di Dio Aldo Blundo

SERVO DI ALDO BLUNDO

Adolescente (1919 – 1934) 5 dicembre

Adolescente napoletano che sopravvisse alla nascita grazie alla sua immediata consacrazione a Maria da parte della madre dovette comunque lottare tutta la vita per la salute dimostrando una grande fede.

Aldo Blundo nacque a Napoli, da Paolo e Maria Persico, in via Sirignano 6, il 23 gennaio 1919. Il parto fu molto difficile, tanto da dover necessitare l’uso del forcipe, ma il bambino non respirava. La madre, allora, lo affidò a Maria: poco dopo, l’udì emettere il primo vagito. Due giorni dopo, il piccolo divenne figlio di Dio col Battesimo e gli furono imposti i nomi di Aldo Francesco Giuseppe Maria.

La sua educazione alla fede fu affidata alla madre, che gliela trasmise con semplicità, senza particolari contenuti. Il padre, sempre impegnato per lavoro, non aveva una pratica religiosa costante. Aldo sembrava promettere bene: andava maturando un carattere onesto, che rifuggiva le bugie, incline a qualche scherzo.

La sofferenza fece parte della sua vita ben oltre la difficoltosa nascita: a sei mesi, infatti, non riusciva a mantenersi in posizione eretta. Cinque mesi dopo, fu ridotto agli estremi dal morbillo e da una pluripolmonite, ma venne curato in tempo. Quando ebbe quattro anni, i suoi notarono un anomalo gonfiore ai polpacci: era il primo sintomo di una paralisi pseudo ipertrofica o miopatia degenerativa progressiva. L’anno successivo ebbe problemi respiratori: dapprima il “croup” o “crup”, che gli impediva di espellere i muchi, poi la pleurite, la bronchite e la broncopolmonite.

In mezzo a queste prime prove, Aldo ebbe una gioia grandissima: ricevere i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, sempre in casa sua, insieme alla cugina Elena, il 21 agosto 1926. La mamma lo preparò accuratamente, ma a volte, se non si comportava bene, lo avvisava che non gli avrebbe fatto ricevere Gesù; il figlio provvedeva a correggersi subito. Il sacerdote che l’aveva precedentemente battezzato, don Negri, gli diede l’Eucaristia, mentre l’unzione del Crisma gli fu amministrata da monsignor Salvatore Meo.

Appena due giorni dopo, mentre portava un martello ad un falegname che stava svolgendo delle riparazioni in casa, il bambino cadde e non fu capace di stare in piedi senza aver dolore alla gamba sinistra. All’ospedale, gli fu diagnosticata una rottura del femore. Quando gli fu tolta l’ingessatura, cadde addosso al medico che lo sorreggeva: la paralisi aveva colpito.

Da quel momento Aldo fu costretto a stare seduto in poltrona o a letto. Riusciva solo a muovere la testa e le mani, con le quali si dilettava a costruire piccoli giocattoli di carta e colla, giocava coi soldatini oppure ricamava. A modo suo, partecipava ai giochi dei bambini che venivano a fargli compagnia e soffriva molto se a qualcuno di essi sfuggiva qualche parola sconveniente.

Affrontava i disagi legati alla sua infermità pensando che Gesù aveva sofferto ben peggio di lui, anche se ogni tanto gli veniva da piangere. Alle volte gli veniva da rimproverare i suoi perché sembravano non comprendere la sua condizione, ma chiedeva subito scusa. Alla madre, un giorno, venne spontaneo esclamare: «Alduccio mio, tu sei un santo, perché sai soffrire così!». Rispose: «Sei tu la santa che ti sacrifichi vicino a me tutti i giorni della tua vita, privandoti della tua libertà».

Il suo apostolato, originato da un cuore sensibile ed attento agli altri, si esplicava in tanti piccoli modi: sollecitò la consacrazione di tutta la famiglia al Sacro Cuore, con la solenne intronizzazione di una sua immagine, e s’iscrisse alle associazioni del Rosario Perpetuo e dell’Apostolato della Preghiera, auspicando che lo facesse anche il padre.

Nel 1929 la madre, mentre era nella stanza di Aldo, vide su di una rivista religiosa il racconto di una guarigione miracolosa avvenuta a Lourdes e lo lesse ad alta voce. Il ragazzino ne fu colpito a tal punto da desiderare di andare lì per ottenere la grazia di guarire, ma si vide rispondere di no dal padre. Non perse occasione, tuttavia, di riproporgli l’idea, soprattutto quando gli sembrava meglio disposto.

Dato che Lourdes gli veniva costantemente negata, pensò di poter essere condotto alla più vicina Pompei, approfittando di un pellegrinaggio organizzato dalla sezione napoletana dell’Unitalsi, ma anche in quel caso ricevette un rifiuto. La madre partecipò in vece sua, ma l’anno successivo tutti e tre i Blundo vi si recarono.

Aldo provò una gioia intensissima nel partecipare alla Messa: dopotutto, non aveva più potuto andare in chiesa dall’inizio della sua malattia. Quando però il vescovo incaricato lo benedisse durante la solenne Benedizione Eucaristica degli ammalati, modellata su quella di Lourdes, non ci furono altri effetti se non una fede rafforzata e un crescente desiderio di visitare il Santuario dei Pirenei.

Nel novembre 1932 divenne suo confessore e direttore spirituale don Gennaro Nardi, da poco consacrato sacerdote, che prima di entrare in Seminario era dirimpettaio dei Blundo e poi scrisse una biografia di Aldo. Il giovane prete avvertì subito di avere a che fare con un ragazzo speciale e cominciò a visitarlo una volta al mese e in occasione delle principali solennità. Nel pomeriggio avveniva la Confessione e, alle 9:30 del mattino seguente, la Comunione, che riceveva con vero fervore.

Finalmente il padre acconsentì al viaggio a Lourdes, ma solo dopo essere stato rassicurato dal figlio che non avrebbe perso la fede se la guarigione non fosse avvenuta. Don Gennaro preparò spiritualmente il suo assistito con un triduo di Comunioni e fornendogli tanti consigli. La sera prima della partenza, gli chiese se era pronto ad accettare di restare paralizzato per sempre: la risposta fu affermativa.

Con questo spirito, la sera del 20 agosto 1934 Aldo partì col treno bianco dell’Unitalsi, accompagnato dai genitori e da alcuni amici. Sopportò i disagi del viaggio e rimase raccolto in preghiera, almeno finché non gli fu annunciato, due giorni dopo, che Lourdes era in vista.

Insieme agli altri pellegrini pregò alla Grotta, fu calato nelle piscine, partecipò alla Messa e alla processione eucaristica. Il cappellano del treno, il gesuita padre D’Aria, propose agli ammalati di rinunciare alla propria guarigione per chiedere, invece, quella di un seminarista diventato cieco alla vigilia del suo sacerdozio: più tardi si venne a sapere che Aldo aveva deciso così, anche se il seminarista non recuperò l’uso degli occhi. Il resto del viaggio venne da lui trascorso in continua preghiera, anche quando non poté partecipare alle funzioni a causa del maltempo.

Tornato a casa, il ragazzo ricordò con affetto quei giorni, anche in compagnia di padre Carlo Alheid, un domenicano che aveva conosciuto durante il pellegrinaggio. Era preda di una grave crisi spirituale, che fu risolta dopo aver chiesto al malato di pregare per lui. Per ritornare in spirito alla Grotta, cantava “Andrò a vederla un dì”, oppure azionava un carillon che riproduceva l’Ave Maria di Lourdes.

Lo stesso motivo fu fatto suonare il 5 dicembre 1934, quando, dopo un’improvvisa crisi respiratoria, Aldo lasciò questo mondo, invocando la Madonna di prenderlo con sé. Il padre fu sul punto di suicidarsi, ma il ricordo delle parole con cui il figlio l’aveva già dissuaso tempo addietro, quando era in preda ad una crisi della malattia, lo fece desistere.

Nel 1939 il cardinal Alessio Ascalesi, Arcivescovo di Napoli, acconsentì a far trasportare i resti di Aldo nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, dove tuttora riposano. Il processo informativo sulle sue virtù eroiche fu aperto nel 1948 e chiuso nel 1960.

Autore: Emilia Flocchini su http://www.santiebeati.it/dettaglio/90906