Beata Elisabetta Sanna

BEATA ELISABETTA SANNA

Vedova, Terziaria francescana, membro dell’Unione dell’Apostolato Cattolico (1788 – 1857) 17 febbraio

A tre mesi perdette la capacità di sollevare le braccia, ma riuscì comunque a sposarsi ed allevare cinque figli. Vedova  fece voto di castità; diventa la madre spirituale delle ragazze e delle donne della sua terra. …

 

A Codrongianos (Sassari), il 23 aprile 1788, da una famiglia di agricoltori, ricca di fede e di figli, nasce Elisabetta Sanna. Nella sua casa si lavora, si prega, mai si nega l’elemosina ai poveri. Quando ha appena tre mesi, un’epidemia di vaiolo causa la morte di molti bambini ed anche lei ne viene colpita. Guarisce, ma rimane con le braccia leggermente storpie e le articolazioni alquanto irrigidite. Ciò non le impedisce di crescere, imparando a sopportare il suo handicap, come cosa naturale e a sbrigare al meglio le faccende domestiche, a presentarsi sempre ordinata e pulita.[…]

A dieci anni, la prima Confessione e la prima Comunione. Frequenta il catechismo tenuto da Don Luigi Sanna, cugino del papà, e al catechismo porta le compagne, dicendo: «Dai, vieni che è bello». Ella stessa, giovanissima, pur non sapendo né leggere né scrivere, diventa piccola catechista. Un giorno, guardando il Crocifisso, sente una voce interiore che le dice: «Fatti coraggio e amami!».

Quindicenne, raduna le ragazze nei giorni festivi in casa sua e insegna loro la dottrina cristiana e a pregare con il Rosario. Suo fratello, Antonio Luigi – dal quale ha imparato a intensificare il culto alla Madonna – entra in Seminario a Sassari dove diventerà sacerdote. Elisabetta, rimanendo nel mondo si iscrive alla Confraternita del Rosario e a quella dello Scapolare del Carmelo. Una giovinezza serena, piena di lavoro, di colloquio con il Signore Gesù, di apostolato.

Vorrebbe farsi suora; sicuramente, essendo handicappata, non pensa a sposarsi, eppure, ventenne è cercata in sposa da giovani buoni. Così il 13 settembre 1807, a 19 anni, celebra il matrimonio con un certo Antonio, un vero buon cristiano di modeste condizioni. Una festa semplice e serena, un totale affidamento al Signore e alla Madonna, è l’inizio della loro vita coniugale. Antonio è un marito e padre esemplare che stravede per la sua sposa e le dà totale fiducia. Agli amici dice: «Mia moglie non è come le vostre, è una santa!». Elisabetta dirà: «Io non ero degna di tale marito, tanto era buono». La loro famiglia è modello per tutto il paese.

Negli anni che seguono, nascono sette figli. Ella passa le giornate tra la casa, impegnata nell’educazione dei figli e la campagna, dove lavora senza risparmiarsi. E trova anche il tempo per lunghe ore di preghiera in chiesa. Ella stessa prepara i suoi figli alla Confessione e alla Comunione e trasmette loro un grande amore a Gesù, con molta dolcezza, senza mai usare modi bruschi. Una vera educazione con il cuore. Non teme le critiche per la sua fede pubblicamente professata e vissuta: «Questo mio tenore di vita – risponde – non mi ha impedito di attendere ai miei doveri di madre di famiglia che compio oltre le mie forze».

Dei sette figli, due sono morti in tenerissima età. Nel gennaio 1825, il giorno 25, suo marito, Antonio, assistito da lei, muore in giovane età. Vedova con cinque figli, il più grande ha 17 anni, il più piccolo di appena tre, intensifica la sua vita di preghiera e di carità, senza mai trascurare i suoi doveri di madre e la sua famiglia procede con dignità e decoro.

La sua casa diventa quasi un piccolo oratorio, dove, oltre ai suoi familiari, si riuniscono in preghiera i vicini di casa. Ella vive come una monaca nel mondo e così è chiamata con rispetto: “sa monga”.

In questi anni, compone in dialetto logudorese una bellissima lauda, che sarà cantata a lungo a Codrongianos: “Ti ho, Dio, in cuore e in mente, perché troppo mi hai amata. Viver non posso più lontana da Dio. Gesù è il cuor mio e io sono di Gesù”.

Nel 1829 arriva in paese il giovane vice-parroco, Don Giuseppe Valle, di nobile famiglia, di notevole ascendente sulle anime. Diventa il confessore e direttore spirituale della famiglia Sanna, in particolare di Elisabetta, che lui avendo appena 24 anni, chiama zia. Don Valle, viste le ottime disposizioni di Elisabetta, la invita alla Comunione molto frequente, le permette di portare il cilicio e le concede di emettere il voto di castità. La sua vita cristiana diventa davvero ardente. Gesù le chiede così di seguirlo più da vicino.

Elisabetta, pensa di andare allora in Palestina. Ma dove avrebbe sistemato i suoi figli, in quel tempo? Il buon prete le suggerisce di affidarli al fratello sacerdote, Don Antonio Luigi. Alla fine del giugno 1830, si imbarcano da Porto Torres per Genova: lì attendono dieci giorni la nave per Cipro. All’ultimo momento, però, Don Valle scopre di non avere il visto per l’Oriente.

Allora, con Elisabetta e un altro frate, decidono di dirigersi a Roma: «Anche Roma è terra Santa: ci sono le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, grandi santuari e poi c’è il Papa, Vicario di Gesù sulla terra. Più tardi, da là, se il Cielo vorrà, partiremo per la Palestina». Così il 23 luglio 1830, arrivano a Roma. Don Valle è assunto come cappellano all’ospedale Santo Spirito, dove si dedica ai malati con cuore di padre. Elisabetta Sanna si accomoda in un piccolissimo alloggio di due stanzette, di fronte alla chiesa di Santo Spirito, vicinissimo alla Basilica di San Pietro, proprio nel cuore della Cristianità.

Elisabetta conosce solo il dialetto e quindi non parla con nessuno. Solo con Dio nella preghiera e vive nella sua celletta, come un’eremita: visita chiese, partecipa alla Messa più volte al giorno, fa la carità ai poveri. Nel suo alloggio, due mesi dopo, accoglie Don Giuseppe Valle, come un figlio da curare. Il prete vi rimarrà fino al 1839, assistito da Elisabetta come da una madre.

L’apostolato di San Vincenzo Pallotti

Nel suo pellegrinare per le chiese di Roma, assetata di preghiera, Elisabetta si incontra, in San Pietro con il Maestro dei Penitenzieri, Padre Camillo Loria, che, ascoltata la sua confessione, le ordina di tornare in Sardegna. Ella è decisa ad obbedire, ma proprio in quel periodo di dubbio e di ansia sul da farsi, incontra nella chiesa di Sant’Agostino, un santo prete romano, Don Vincenzo Pallotti, dedito ad un proficuo vasto apostolato, in cui coinvolge numerosi laici, dando vita nel 1835 alla Società dell’Apostolato Cattolico.

Uomo di grande influenza sui religiosi e sui laici, ricco di un fascino singolare, Don Pallotti sarà canonizzato dal Santo Padre Giovanni XXIII nel gennaio 1963. Elisabetta è compresa e rasserenata da Don Vincenzo, che illuminato da Dio, vede la singolare missione a cui ella è chiamata nell’Urbe. Dirà: «Allora, mi quietai e dopo circa cinque anni che dimoravo a Roma, ebbi una lettera da mio fratello sacerdote che la mia famiglia era veramente lo specchio del paese e tutti ne erano edificati».

[…] Diventa terziaria francescana e soprattutto si occupa, come prima collaboratrice, nell’unione Apostolato Cattolico, fondato da Don Pallotti. Ai suoi figli in Sardegna, fa donazione di tutto quanto possiede, lieta di vivere in perfetta povertà. Chi la avvicina, dirà di lei: «Vedeva Dio in tutto e lo adorava in tutte le cose.

 

[…] Il 17 febbraio 1857, con la morte dei santi, Elisabetta Sanna va incontro a Dio, dopo aver visto Don Pallotti e San Gaetano da Thiene, che vengono a prenderla per il Paradiso. Al suo funerale, la gente di Roma dirà: «È morta la santa di San Pietro».

Fu tanto il consenso popolare su di lei che, appena quattro mesi dopo la morte, fu nominato il postulatore della sua causa di beatificazione, durata oltre un secolo e mezzo. È stata dichiarata Venerabile il 27 gennaio 2014. Il miracolo che l’ha condotta finalmente sugli altari, approvato da papa Francesco il 21 gennaio 2016, è la guarigione, avvenuta nel 2008, di una ragazza brasiliana da un tumore che le paralizzava un braccio. È stata beatificata il 17 settembre 2016 presso la basilica della Santissima Trinità di Saccargia a Codrongianos.

Fontehttp://www.santiebeati.it/dettaglio/94038

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