Dagli scritti di San Benedetto

DAGLI SCRITTI  DI SAN BENEDETTO

Nulla anteporre all’amore di Cristo da “La liberté bénédictine” di J. Leclercq.

scritti benedettoSan Benedetto gode di un’enorme libertà nei confronti di tutto e di tutti, fatta eccezione per Dio, beninteso. È una libertà che corrisponde innanzitutto ad una esigenza intrinseca del monachesimo in quanto fenomeno spontaneo. Lo è fin dalle origini; al tempo di Benedetto lo è a Roma come da ogni altra parte. Ovunque questo fenomeno appare come il risultato non di leggi o di obblighi, bensì di influenze venute dall’oriente, dall’Africa, dalla Gallia e accolte da ciascun fondatore o abate di monastero secondo la sua natura e la sua grazia. Benedetto opera delle scelte: ecco il fatto rilevante. La sua Regola implica un gran numero di opzioni fra le varie possibilità offerte dalla tradizione. Tali scelte tuttavia sono, a seconda delle persone, più o meno libere, oppure più o meno determinate dalle circostanze del loro tempo, dalla cultura e dall’ambiente. Che ne è nel caso di Benedetto? La risposta la dà il margine di libertà che egli lascia a quanti verranno dopo di lui e persino a quanti, ai suoi tempi, non solo in altri luoghi, ma nella sua stessa casa adotteranno il programma da lui tracciato: riconosce loro il diritto di fare delle scelte diverse dalle sue, a condizione di situarsi all’interno di ciò che egli considera come un assoluto: l’amore di Cristo – “nulla anteporre all’amore di Cristo. Nulla sia più caro di Cristo” (Regola 4, 21; 5, 2) – e la volontà di servirlo seguendo la vita monastica.

Scegliere”, “unire”: ecco le due parole che meglio riassumono la libertà di cui dà testimonianza alla sua opera, che consiste, e l’ha fatto egli stesso – nel sottomettersi a tutto ciò che si impone nell’ambito infinito delle esigenze dell’amore di Dio, offrendo però questo sacrificio di se stessi con la gioia dello Spirito santo.

VIDEO di un’ipotetico colloquio con san Benedetto

scritti benedetto1Restare fedele alla tradizione ricevuta senza essere legati al passato: questo l’esempio lasciato da Benedetto e che i suoi figli avrebbero imitato.

DALLA REGOLA DEL NOSTRO SANTO PADRE BENEDETTO 

Non antepongano a Cristo assolutamente nulla. Prima di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciare, perché non debba rattristarsi delle nostre cattivi azioni dopo che si é degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi figli e, come signore tremendo, irritato per le nostre colpe, condannerà alla pena eterna quei malvagi che non l’hanno voluto seguire alla gloria. Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che dice: E’ tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11). Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce ammonitrice che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7).

LA REGOLA DELL’UMILTÀ

E che cosa dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore. Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendono le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35). Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C’é qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all’udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino scritti benedetto2menzogna: fuggi il male e fà il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.

Che cosa vi é di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita. Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo arrivare, se non affrettandoci con le buone opere. Come vi é uno zelo cattivo e amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’é uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. In questo zelo i monaci devono esercitarsi con amore vivissimo; e perciò si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri, si prestino a gara obbedienza reciproca. Nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, amino i fratelli con puro
affetto, temano Dio, vogliano bene al proprio abate con sincera e umile carità. Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.(Prologo 4-22; cap. 72, 1-12; CSEL 75, 2-5. 162-163)

È noto che quattro sono le specie di monaci. La prima è quella dei cenobiti, cioè di coloro che vivono in monastero, militando sotto una regola e un abate. La seconda specie è quella degli anacoreti o eremiti; cioè di coloro che, non per un fervore da principianti nella vita monastica ma per un lungo tirocinio in monastero, resi ormai esperti con l’aiuto di molti, hanno imparato a combattere contro il diavolo e, ben addestrati, attraverso la lotta sostenuta insieme ai fratelli, per il combattimento da soli nell’eremo, sono ormai capaci, senza il conforto di altri ma unicamente con mani e braccia proprie, a lottare sicuri, con l’aiuto di Dio, contro i vizi della carne e dei scritti benedetto4pensieri.

La terza specie di monaci, detestabile sotto ogni punto di vista, è quella dei sarabaiti; i quali, non provati da alcuna regola né educati dall’esperienza come oro nella fornace, ma resi molli come piombo, mentre con le loro opere restano fedeli al mondo, mostrano con la tonsura di mentire a Dio. Essi, a due a due, a tre a tre, o anche da soli, senza pastore, chiusi non negli ovili del Signore ma nei propri, hanno per legge l’appagamento dei loro desideri; poiché tutto ciò che pensano o scelgono lo dichiarano santo, e ciò che non vogliono lo ritengono illecito. La quarta specie di monaci è poi quella dei cosiddetti girovaghi, i quali passano tutta la loro vita girando di paese in paese e facendosi ospitare per tre o quattro giorni in monasteri diversi, sempre senza fissa dimora e instabili, schiavi delle proprie voglie e dei piaceri della gola e in tutto peggiori dei sarabaiti. Del miserabile genere di vita di tutti costoro è meglio tacere che parlare. Lasciamoli dunque da parte e veniamo, con l’aiuto del Signore, a organizzare la fortissima specie dei cenobiti.  (Cap.1,1-13.)

Quando dunque uno assume il titolo di abate, deve guidare i suoi discepoli con un duplice insegnamento: cioè, tutto quello che è buono e santo mostrarlo più con i fatti che con le parole; in modo da proporre con le parole i comandamenti del Signore ai discepoli più maturi, invece ai duri di cuore e ai più rozzi mostrare con il suo esempio i precetti divini. Quanto poi avrà indicato ai suoi discepoli come contrario alla legge di Dio,dimostri con la sua condotta che bisogna evitarlo, perché non gli accada che, mentre predica agli altri, non sia trovato riprovevole proprio lui (cf. 1 Cor 9,27), e che un giorno Dio non debba dirgli a causa dei suoi peccati: «Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle?» (Sal 49,16-17); e ancora: «Tu osservavi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, ma non ti sei accorto della trave che era nel tuo» (Mt 7,3).  (Cap.2,11-15.)

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FONTE:  http://liturgia.silvestrini.org/santi/2012-07-11.html