San Giovanni Ogilvie

San Giovanni Ogilvie

gesuita martire (1580-1615) 10 marzo

1S. GIOVANNI OGILVIESan Giovanni Ogilvie, padre gesuita ebbe un martirio piuttosto lungo. Venne sottoposto a torture sfinenti per l’anima ed il corpo, ma non perse mai la simpatia e il buon umore fino a convertire i cuori più induriti e ostinati.

Giovanni Ogilvie nacque a Drum, vicino alla città di Keith in Scozia, nel 1580. Il padre, Walter Ogilvie barone di Drum-na-Keith, possedeva vaste proprietà nello Banffshire ed era il capo del ramo più giovane della famiglia. La madre era Agnese Elphinstone, originaria di una famiglia tradizionalmente fedele alla Chiesa cattolica; lo zio Giorgio aderì alla Compagnia di Gesù poco dopo la sua nascita, mentre Guglielmo, l’altro zio, morì all’epoca del suo noviziato nella stessa Compagnia.

Agnese morì nel 1582, quando Giovanni aveva solo due anni, e il padre si risposò con Maria Douglas di Lochleven, la figlia di lady Douglas di Lochleven, carceriera della regina Maria. Come molte famiglie a quell’epoca, gli Ogilvie erano divisi tra cattolici e presbiteriani. Walter aderì alla Riforma ed educò il figlio nella fede calvinista. Nel 1592, all’età di tredici anni, Giovanni fu mandato dal padre in Europa per completare la sua formazione: visitò l’Italia, la Francia e la Germania e vi trovò le stesse tensioni religiose che aveva lasciato in patria, con la differenza che, almeno in Francia, le opinioni differenti erano discusse in pubblico tra persone di pari cultura. L’ambiente intellettuale aperto fece sì che il giovane potesse affrontare approfonditamente il problema discutendone con intellettuali e persone colte.

Secondo un discorso a lui attribuito in una versione scozzese del suo processo, ebbe rapporti con studiosi italiani, francesi e tedeschi. Dopo un periodo iniziale di confusione, si concentrò in modo particolare su questioni che riguardavano la diffusione universale, in spazio e tempo, della Chiesa cattolica, la sua unità di fede, la santità, i miracoli che confermavano le sue affermazioni, i suoi teologi e, soprattutto, i suoi martiri.

Nel corso del 1596 Giovanni frequentò il collegio scozzese di Lovanio e chiese di essere accettato nella Chiesa cattolicavenne istruito nella dottrina cristiana dal gesuita Cornelioil famoso scrittore, rimanendo a Lovanio per due anni fino a che, a causa di una crisi finanziaria, il collegio non dovette chiudere. Nel 1598 trascorse sei mesi nel monastero benedettino di S. Giacomo a Regensburg, che poi lasciò nello stesso anno per entrare nel collegio gesuita a Olmutz. Nel novembre 1599 iniziò il suo noviziato nella 1 re di scoziaCompagnia a Brunn, in Boemia, rimanendo in Austria fino al 1610, secondo l’abituale corso degli studi e del noviziato presso i gesuiti. Fu ordinato prete a Parigi nel 1610. Oltre il Canale della Manica, nello stesso anno, l’anglicano Giacomo VI principe di Scozia era divenuto re Giacomo I d’Inghilterra, e aveva insediato la Chiesa episcopale in Scozia, approvando l’investitura dei vescovi scozzesi. Per attenuare le paure dei presbiteriani, che temevano un ritorno al cattolicesimoil governo scozzese intensificò le persecuzioni contro i cattolici. Gli ultimi due gesuiti che ancora operavano in Scozia furono obbligati ad andarsene nel 1611. Giovanni Ogilvie desiderava prendere parte alla missione in Scozia e partì, arrivando in Scozia nel novembre 1613, per svolgere un ministero che sarebbe durato solo nove mesi.

Si recò subito al nord, nella sua regione d’origine, il Banffshire, sperando di riaccendere la fede nella classe nobiliare: molte famiglie si erano infatti adeguate alla nuova religione.

Ogilvie visitava i cattolici in prigione e riuscì a penetrare perfino nelle segrete del castello. Guglielmo Sinclair, che ospitava Ogilvie a Edimburgo, suo ammiratore e amico, avrebbe pagato duramente la sua generosità con l’esilio e il sequestro dei beni. Nonostante ciò, rimase il suo più fedele ammiratore e fu un testimone chiave nel processo della sua beatificazione. All’epoca lui e la sua famiglia, specialmente i figli, Ruggero e Roberto, aiutarono il gesuita nel suo lavoro, a cui si dedicava incessantemente, conservando però uno spirito sempre allegro, pronto allo scherzo o a raccontare una storiella divertente.

Un certo Adamo Boyd, uomo malvagio pronto a tutto per soldi, aveva ordito un piano insieme all’arcivescovo di Glasgow. Boyd diede il segnale a uno dei servitori del vescovo di arrestare il prete sospetto. Subito si radunò una gran folla di persone che portò il prete, nonostante le sue proteste, alla casa del sindaco, dove lo aspettava l’arcivescovo di Glasgow, Giovanni Spottiswoode. Come quest’ultimo varcò la soglia della stanza, Giovanni si alzò in piedi ma fu subito colpito in faccia da un pugno sferrato dal prelato che gli gridò:

«Sei accusato di celebrare le tue messe in una città riformata!». 

Ogilvie apparteneva a una delle famiglie più importanti del paese, e mostrò tutta la sua fierezza rispondendo con voce che mal celava il suo sdegno:

«Ti comporti come un macellaio, e non come un vescovo!».S. Giovanni Ogilvie

Altre volte la sua dignità sarebbe stata offesa, ma sempre durante il processo e le torture mantenne un contegno nobile, sopportando gli insulti e non dando ascolto alle menzogne. Il suo coraggio, l’intelligenza acuta, la rapidità nel rispondere alle false affermazioni dei suoi accusatori e a volte anche nel contestare all’arcivescovo gli argomenti speciosi, ma soprattutto la sua arguzia e il suo “humor” gli guadagnarono le simpatie della popolazione. Ogilvie aveva compreso l’importanza psicologica dello scherzare con i carcerieri se avessero riso con lui, non avrebbero poi potuto essergli completamente ostili. Certo con questo non avrebbe ottenuto la libertà o una mitigazione delle torture, ma avrebbe creato a proprio vantaggio un senso almeno di familiarità e di umanità.

Dopo lo scambio con l’arcivescovo, i servitori e i sottoposti lo malmenarono. Ispezionarono la sua camera, ma non trovarono nulla, poiché un cattolico aveva nascosto l’altare portatile e i paramenti sacri ma, a una seconda ispezione, l’uomo consegnò gli oggetti compromettenti: il necessario per la Messa, una lista di nomi, forse di cattolici ma più probabilmente un messaggio in codice, un elenco dei paramenti e di altri oggetti sacri lasciati dal suo predecessore in diverse case sicure e una dispensa papale per i cattolici convertiti che possedevano proprietà della Chiesa.

Il processo durò cinque mesi. Lo scopo non era solo quello di incolpare Giovanni: gli accusatori, infatti, per discolparsi dalla possibile critica di perseguitare qualcuno solo per la sua fede religiosa, dovettero imbastire un’accusa per tradimento; inoltre era fondamentale raccogliere cattolici apostati e, in caso non se ne fossero trovati, torturare i prigionieri per ottenere i nomi di coloro che avevano dato asilo a Giovanni e avevano assistito alle sue celebrazioni. Il processo si trasformò in un confronto teologico tra l’arcivescovo e il gesuita, e perciò fuori dalla comprensione del resto della corte. Quando il primo interrogatorio fu interrotto, fu fatto scendere vicino al fuoco. Uno dei sottoposti lo insultò violentemente e gli augurò che fosse gettato nel fuoco; Ogilvie rispose: «Mi farebbe molto piacere, sono congelato » e continuò a scherzare fino a che tutti furono costretti a ridere.

1S. GIOVANNI OGILVIE2Ritornato in cella, fu lasciato in pace per due giorni, ma poi lo presero e gli legarono i piedi a una pesante barra di ferro, costringendolo a rimanere sdraiato sulla schiena o seduto perché troppo debole per trascinarla in giro. Il buio e il puzzo della cella potevano solo peggiorare il suo sconforto nell’apprendere che coloro che avevano partecipato alle sue celebrazioni erano stati condannati a morte ed era stato detto loro che egli li aveva traditi. Per due mesi sopportò questa condizione di angoscia mentale, fino a che in un freddo giorno di dicembre fu fatto uscire e condotto a Edimburgo per un secondo interrogatorio.

I parenti dei condannati vendicarono il loro dolore e il loro odio tirandogli neve e fango mentre lasciava Glasgow. Lo scopo di questo secondo processo era quello di ottenere dal prigioniero i nomi dei compagni cattolici. Fu interrogato sui suoi movimenti ma rifiutò di dare alcuna informazione. Per piegare la volontà del gesuita fu deciso un metodo che non avrebbe lasciato tracce di maltrattamenti o mutilazioni: gli sarebbe stato impedito di dormire fino a che non si fosse deciso a parlare.

Quattro sottoposti dell’arcivescovo vennero istruiti: il periodo durò dal 12 al 21 dicembre, otto giorni e nove notti. All’inizio per tenerlo sveglio usavano lance e aste ma, quando queste non sortirono più alcun effetto, veniva sollevato e lasciato cadere a terra, così che lo shock e il dolore lo riportavano di colpo alla realtà. Vi era un flusso continuo di ministri e ufficiali, che lo minacciavano di altre torture, gli promettevano  premi se avesse accettato, gli domandavano i nomi che volevano sapere. Quando non riuscirono più a tenerlo sveglio, iniziarono a tirarlo avanti e indietro per i piedi e smisero solo quando un dottore affermò che sarebbe morto in poche ore. Gli furono accordati un giorno e una notte di riposo prima di sottoporlo a un altro interrogatorio. Emaciato e molto confuso, ma certo della prossimità della fine, Giovanni Ogilvie non ebbe tempo per i dettagli. La vigilia di Natale del 1614 Ogilvie fece ritorno nella prigione dell’arcivescovo, dove vi erano condizioni relativamente più  favorevoli.

Era i chiaro che veniva giudicato non tanto ciò che Ogilvie aveva fatto, bensì quello che pensava. Il destino di Ogilvie era segnato. Il suo secondino, sospettato di nutrire troppo attaccamento, fu cambiato; perfino la moglie dell’arcivescovo, che si pensava fosse stata conquistata dal fascino del gesuita, fu allontanata da Edimburgo. Il popolo, informato dalle chiacchiere del carceriere che lo aveva torturato, iniziò ad ammirarlo; la fama del suo coraggio morale e fisico si diffuse in tutta la Scozia e più lontano ancora. Gli furono messe catene più pesanti e furono fermate in maniera sicura. L’ultima lettera di Ogilvie al generale della Compagnia dice  semplicemente:

«Sono sottoposto a punizioni terribili e ad amari tormenti. Nel tuo amore paterno prega per me che possa morire con coraggio generoso per Gesù che ha trionfato su tutto per noi».1S. GIOVANNI OGILVIE3

Il re fissò la data del processo, a cui sarebbe seguita l’esecuzione se egli non avesse rinnegato le sue affermazioni. La notte prima del processo un nobile cattolico tentò di persuadere Ogilvie a scappare, ma egli non accettò. L’ultimo processo non portò nulla di nuovo, salvo che ora l’accusa era basata sulle risposte che Ogilvie aveva dato alle domande del re. La giuria lo giudicò colpevole di tradimento, e il verdetto fu emesso: il prigioniero era condannato all’impiccagione e allo squartamento.

Fu condotto al patibolo il pomeriggio stesso del 28 febbraio (secondo l’opinione antica) o del 10 marzo (secondo nuovi studi) del 1615; fino all’ultimo momento gli furono offerte ricche ricompense se avesse negato la supremazia del papa. L’enorme folla, composta sia da cattolici che da presbiteriani, non approvava la condanna di un uomo così coraggioso: il sentimento di simpatia era così forte che il corpo di Ogilvie non venne fatto a pezzi, ma fu seppellito fuori della città. Pare che più tardi sia stato riesumato dai fedeli cattolici.

Giovanni Ogilvie fu beatificato nel dicembre 1929 e canonizzato da Paolo VI nel 1976.

Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler