Beato Placido Riccardi

BEATO PLACIDO RICCARDI

monaco benedettino (1844-1915) 15 marzo

B. Placido Riccardi

Aveva continuamente fra le mani la Storia della Passione del Signore secondo le contemplazioni di Anna Caterina Emmerich. Nella gioventù aveva cominciato ad imparare musica e talora accompagnava all’organo i canti monastici della messa conventuale, ma in età più adulta non volle toccare strumenti musicali, benché fosse esortato a farlo per svago o per necessità.

Tommaso Riccardi, figlio di Francesco e Maria Stella Paoletti, nacque il 24 giugno 1844 a Trevi, nella diocesi di Spoleto in Umbria, regione che diede alla Chiesa due illustri coppie di santi: Benedetto e Scolastica, Francesco e Chiara. Era il terzo di dieci figli. La sua famiglia era benestante e Tommaso ricevette un’ottima educazione al collegio Lucarini che frequentò fino all’età di quattordici anni. Quando il collegio mostrò segni di decadenza, gli furono fatti continuare gli studia casa con un tutore privato. Durante gli anni dell’adolescenza non si ricordano episodi particolari: come giovane figlio di una buona famiglia religiosa, era ben educato e molto pioSi innamorò di una giovane di nome Nina la cui eccentrica zia pose fine alla storia impedendogli di frequentare la casa. Tommaso si consolò dedicandosi alla musica, ai concerti e al teatro e al vestire. Fu in quel periodo che entrò nella confraternita della Santa Famiglia e divenne un terziario francescano.

placidoriccardiAvendo terminato gli studi nel 1863, si iscrisse all’Angelicum a Roma per studiare filosofia. Quando si recò da don Ludovico Pieri, il suo direttore spirituale, per una visita di commiato, rimase fortemente colpito quando egli gli disse gravemente:

«A Roma svilupperai una vocazione e diventerai religioso».

Il giovane rispose che se mai si fosse prospettata la possibilità di questa vocazione, non avrebbe esitato a soffocarla. Questa reazione violenta non era altro che l’espressione di un tormento interiore irrisolto a causa proprio di quel problema. La vita ordinata di studio e l’influenza dei domenicani servirono a procurargli una pausa di pace interiore. Stava sostenendo gli esami quand’essa fu incrinata dalla chiamata al servizio militare. Scrisse per chiedere un ritardo di alcuni giorni per poter completare gli esami e, pensando di poter venire esonerato come residente di Roma, si recò in pellegrinaggio a LoretoLà si convinse che Dio lo stava realmente chiamando alla vita religiosa:andò quindi nel convento gesuita di S. Eusebio per seguire gli esercizi spirituali, che furono decisivi.

Il 12 novembre 1865 chiese di entrare nella comunità benedettina di S. Paolo fuori le Mura. Due mesi dopo iniziò il noviziato, ricevendo il nome di Placido. Non fu semplice per lui domare il suo spirito indipendente e porsi senza riserve nelle mani del maestro dei novizi. Dopo un periodo di riflessione si sottomise di buon cuore al suo direttore e questa vittoria su se stesso lo indirizzò sul sentiero dell’umiltà, che non avrebbe più
tombaabbandonato
. Egli stesso la riconobbe come una grande grazia e si sentì libero. Quando il cardinale Ildefonso Schuster (30 ago.), suo biografo, chiese al maestro di allora come un uomo così giovane avesse potuto raggiungere un tale grado di sacrificio di sé, egli rispose che Placido attingeva la sua forza dalla preghiera continua:

«Pregava molto, e pregava bene; tutto qui».

Per tutta la vita, questo fu il suo lasciapassare per le altre virtù. Poteva trascorrere anche sette ore in preghiera e spesso pregava intere notti per prepararsi a ricevere l’eucarestiaFece i primi voti nel 1867 e iniziò gli studi per diventare sacerdote. Divenne professo semplice nel 1868, suddiacono e quindi diacono nel 1870. Il giorno dell’ordinazione diaconale le truppe del Risorgimento entrarono a Roma e la proclamarono capitale dell’Italia unita. Il nuovo governo, fortemente anticlericale, pretendeva che anche gli appartenenti al clero adempissero ai loro doveri militari. Placido, in seguito alla mancata risposta agli appelli di recarsi a Spoleto, venne classificato come disertore e, nonostante un’amnistia, fu messo in prigione a Firenze nel novembre 1870. Alla fine ottenne il condono del re, rimanendo però abile al servizio militare. Fu rilasciato nel gennaio 1871 a causa di problemi di salute e, nel marzo 1871, fece la professione solenne e venne ordinato prete. Per i primi dieci anni dopo la professione si occupò dell’insegnamento e dell’assistenza ai giovani alunni. Si prese cura di formare una parte del gruppo di confessori nominati per esercitare il ministero nella basilica e fu anche il confessore delle suore di S. Cecilia in Trastevere. Nel 1881 la sua salute peggiorò. Nel 1884 ebbe un miglioramento, ma subito dopo fu colpito da una grave febbre.

tomba1Fu nominato vicario delle suore benedettine di S. Magno in Amelia, un incarico che
mantenne fino al 1894, tranne che per una breve pausa di due anni; era cappellano, confessore ordinario e custode della disciplina interna. Era anche il confessore del vescovo e di molti membri del clero e insegnava regolarmente nel seminario, così come nel convento delle Maestre Pie della città. Il 1894 lo vide trasferito a Farfa, una volta splendido monastero in Sabina, all’epoca abbandonato. Placido, insieme a due fratelli conversi, visse nella cascina di Sanfìano, distante circa otto miglia dal monastero. Era incaricato di occuparsi della chiesa dell’abbazia e dei suoi pellegrini, così come dei contadini della zona, di conservare al meglio i resti dell’abbazia e restaurare quello che era possibile. Si dedicò a questo incarico per vent’anni.

Placido arrivò a Farfa all’età di cinquant’anni e da uomo progredito nella vita spirituale. Il nuovo incarico gli fornì quella solitudine che non aveva potuto gustare nella grande comunità di S. Paolo. Da allora sarebbe stato definito, con le parole di S. Benedetto, come uno «di coloro che non nel primo fervore della vita religiosa, ma dopo una lunga prova nel monastero […] escono ben preparati dalla comunità per affrontare il combattimento solitario del deserto». Don Placido rivolse la sua attenzione alla gente, nella loro estrema indigenza le persone venivano aiutate spiritualmente e materialmente.  Personalmente il beato era molto distaccato dai beni di questo mondo. Tuttavia gli oggetti di cui si serviva risplendevano di serafica povertà. Le piccole forbici che la zia gli avevaBEATO PLACIDO RICCARDI dato quand’era entrato in noviziato le usò per oltre cinquant’anni e a forza di farle affilare non avevano più lama. Lo specchietto rotondo di cui si serviva per radersi, dono delle benedettine di San Magno, aveva il diametro di cinque centimetri e non costava più di dieci centesimi. Gli occhiali che adoperava a causa della sua miopia erano montati con semplice filo di ferro che a lungo andare gli perforò un orecchio.

All’inizio del1912 l’abate decise che la piccola comunità doveva spostarsi dalla cascina all’abbazia e poiché Placido aveva problemi di salute, gli mandò un giovane monaco in aiuto. Questo monaco interpretò male il suo incarico e assunse virtualmente il ruolo di superiore della piccola comunità, occupandosi anche dell’apostolato tra i contadini, che si rammaricarono profondamente per il cambiamento. Fu l’ultima prova prima del suo ritorno a S. Paolo. Alla festa di S. Gertrude, il 17 novembre 1912, dopo la Messa, Placido fu colto da una paralisiche lo costrinse all’immobilità per due anni e quattro mesi. Ritornò nel monastero della sua professione il 12 dicembre 1912, incapace di mangiare da solo e di fare qualsiasi cosa.

Morì in pace il 15 marzo 1915 e fu seppellito due giorni dopo. Al funerale, invece del solito tocco, si udì uno scampanio a festa. Era il giorno in cui la stazione quaresimale si teneva in S. Paolo e il campanaro, dimenticandosi del funerale, suonò l’annuncio. Quando chiese se doveva interrompersi, l’abate rispose: «Lascia. Se non suoniamo per Placido, per chi lo dovremmo fare.’». Nel 1938, quando il suo corpo venne riesumato e identificato, fu trovato incorrotto. Fu beatificato da papa Pio XII il 5 dicembre 1945. A Trevi gli fu intitolata la strada che da piazza del Comune (piazza Mazzini) sale verso la chiesa da S. Emiliano passando davanti alla sua casa, dove fu apposta una lapide. A Roma porta il suo nome il grande piazzale retrostante la Basilica di San Paolo.

FontiIl primo grande dizionario dei Santi di Alban Butler/Andrea del Vescovo su enrosadira.it/paginecattoliche.it

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