S. Michele Febres Cordero

S. Michele Febres Cordero

(1854-1910) 09 febbraio

S. Michele Febres Cordero2Insegnante d’eccezione riconosciuto anche in Europa arrivò a scrivere con il proprio sangue una lettera d’amore a Gesù.  Le sue difficoltà fisiche non furono per lui un impedimento, ma un trampolino per la santità che si manifestò con miracoli che accompagnarono il corteo con le sue spoglie a Quinto.

Francesco Febres Cordero Munoz era nato nella città di Cuenca, situata a più di duemila metri di altitudine sulle Ande dell’Ecuador, il 7 novembre 1854. Il nonno era stato una figura di spicco in Ecuador durante le guerre che avevano portato nel 1822 all’indipendenza dal dominio spagnolo. Anche il padre aveva partecipato attivamente alle tormentate vicende politiche del paese, e al tempo della nascita di Francesco era professore di inglese e francese nel seminario di Cuenca.

La madre, Anna Mufioz, era una dei diciannove figli di un’altra influente famiglia di Cuenca; molto devota, si consacrò sempre più alle opere caritative. Soprannominato in famiglia Panchito, Francesco era nato claudicante e per tale menomazione il padre temeva che rimanesse per sempre un peso per la famigliaLa madre invece continuava a sperare di vederlo crescere nel tempo sano e forte: si prese pertanto cura della sua educazione in casa fino all’età di nove anniquindi lo inviò nella nuova scuola di Cuenca aperta dall’istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane (noti negli Stati Uniti come “Fratelli cristiani” e altrove come “Fratelli di De La Salle”). Fondato nel 1680 da S. Giovanni Battista de La Salle (7 apr), l’istituto era stato soppresso durante la Rivoluzione francese e ripristinato col ritorno della monarchia in Francia. Dal 1837 si diffuse rapidamente nel Nuovo Mondo, prima in Canada, quindi negli Stati Uniti e infine, nel 1863, con la prima fondazione a Cuenca e l’arrivo di sei “fratelli”, anche nel Sud America.

imagDistinguendosi subito a scuola, Francesco fu scelto per tenere il discorso di benvenuto in occasione della visita del presidente Gabriel Garcìa Moreno, che da allora rimase sempre in stretto contatto con la famiglia del ragazzo. Francesco capì ben presto che il suo futuro sarebbe stato insieme ai “fratelli”;

«Dal momento stesso in cui sono entrato nella scuola dei “fratelli”, Dio mi ha dato un desiderio ardente di vestire un giorno il santo abito dell’istituto. Mi è sempre piaciuto stare coi “fratelli”».

Ma i “fratelli” erano poveri, stranieri e sconosciuti, e non godevano del prestigio degli ordini religiosi più antichi; pertanto Francesco incontrò una ferma opposizione  all’interno della sua famiglia, in particolare da parte della nonna. Donna Mercedes Càrdenas.

Fu quindi inviato a pensione nel seminario di Cuenca, che egli detestava:

«Rimasi nel seminario solo tre mesi, ma mi sono sembrati tre secoli. Ho sofferto molto nel mio cuore […] Quello semplicemente non era il luogo in cui Dio mi voleva e io mi sentivo come un pesce fuor d’acqua».

La sua salute risentì della tensione psicologica; così gli fu permesso di fare ritorno alla scuola dei “fratelli“. Il padre gli diede infine la propria autorizzazione all’ingresso nell’istituto, avvenuto il 24 marzo 1868 all’età di soli quattordici anni (l’età minima per entrare in un qualsiasi ordine religioso non era ancora stata innalzata ai sedici anni), prendendo il nome di Michele. Dopo un solo anno di noviziato fu inviato ad insegnare nella capitale, Quito. Il padre si adirò e scrisse al provinciale esigendo che il figlio lasciasse l’istituto, ma Michele insistette gentilmente sul fatto che la sua salvezza si trovava lì e in nessun altro luogo;

Michele Febres Cordero2

«Vorrei assicurarle [al provinciale] alla presenza di Dio e senza alcuna considerazione umana che ritengo di essere stato chiamato da Dio nell’istituto […] e che non sarei sicuro della mia salvezza, e neppure soddisfatto, in un diverso cammino».

Si giunse alla riconciliazione tra Michele e il padre quando quest’ultimo chiese al figlio di intervenire presso il presidente perché rilasciasse un amico (un certo Arìzaga), imprigionato per ragioni politiche. Michele si recò quindi insieme al provinciale dal presidente, il quale acconsentì alla richiesta. In una lettera indirizzata a Michele, il padre gli espresse la propria gratitudine e gli impartì la benedizione paterna; da allora i rapporti tra i due rimasero cordiali fino alla morte del genitore, avvenuta nel luglio del 1882.

L’insegnante quindicenne giunse a Quito nel 1869, dando inizio a una carriera che sarebbe durata con enorme successo ancora trentotto anni. Preparava sempre le lezioni con molta attenzione e valorizzava le ” potenzialità individuali dei propri allievi, senza fare alcuna distinzione tra ricchi e poveri. Non aveva ancora vent’anni quando pubblicò il primo dei suoi molti libri, una grammatica spagnola così valida che nell’arco di un anno fu adottata in tutte le scuole dell’Ecuador. Altri sette libri di testo seguirono il primo nel giro di pochi armi. Egli riscosse consensi ancor più entusiastici come maestro di religione, soprattutto nella preparazione dei bambini alla prima comunione. Per il suo talento nell’insegnamento dello spagnolo giunse anche un riconoscimento ufficiale: fu nominato esaminatore pubblico e ispettore delle scuole di Quito.

Il presidente Garcìa Moreno continuò a sostenere i “fratelli” e la scuola prosperò, aumentando nel numero di studenti da duecentocinquanta nel 1869 a mille nel 1875. L’8 agosto di quell’anno Garcìa Moreno veniva però assassinato e il suo immediato successore, che continuava a sostenere i “fratelli”, fu rimpiazzato dopo neanche un anno dal più rivoluzionario generale Ventimilla, le cui pressioni anti clericali portarono la scuola al rischio di chiusura, impedendo per di più a qualsiasi “fratello” di lasciare il paese. La situazione sembrò poi tornare alla normalità e, anche se in un clima più ostile, la scuola potè lavorare: Michele continuava a rivelarsi insegnante straordinario e la sua fama cominciò a diffondersi a livello nazionale.

S. Michele Febres Cordero

Nel 1887 fu scelto per rappresentare il ramo ecuadoregno dell’istituto alla beatificazione del fondatore, scelta ovvia (pur non essendo egli il superiore) anche perché aveva tradotto in spagnolo la Vita di S. Giovanni Battista de La Salle e molti suoi scritti. Michele partì dunque per Roma nel novembre del 1887, giungendovi all’inizio di febbraio, in tempo per la cerimonia fissata per il 19 di quel mese.

«Lì io ero», scrisse, «un “fratello” sconosciuto dell’Ecuador che non avrebbe mai sognato di andare in pellegrinaggio a Roma. Trovandomi lì, mi sembrava di essere salito al terzo cielo!».

Al suo ritorno a Quito organizzò un triduo di celebrazioni di ringraziamento per la beatificazione. I suoi studi sulla lingua spagnola stavano cominciando a ottenere  riconoscimenti nei maggiori circoli accademici: scrisse una nuova grammatica poi adottata anch’essa in tutte le scuole dell’Ecuador. La qualità del suo modo di scrivere fu così riassunta, dopo la sua morte dall’ambasciatore dell’Ecuador in Spagna, Onorato Vàsquez:

«Non conosco nessuno scrittore in spagnolo, né in Spagna né in Sud America, che possa gareggiare con lui per chiarezza, metodologia, precisione, facilità di espressione […] L’opera di fra Michele si estende dai corsi elementari fino a quelli più avanzati. Il suo materiale è penetrante, dotto e pieno di illustrazioni, e costituisce una guida sicura per lo studio della lingua […] Michele è entrato nei classici della letteratura spagnola e tutto ciò che scrive portò in sé l’impronta delle sue nobili origini».

Michele mantenne a lungo la corrispondenza con accademici e scrittori, e nel 1892 fu eletto all’Accademia dell’Ecuador, onore che egli accettò solo per obbedienza religiosa. Una volta eletto, tuttavia, svolse una parte importante e costruttiva nelle attività dell’Accademia. Seguirono altri onori: divenne automaticamente membro corrispondente dell’Accademia reale di Spagna e nel 1900 gli fu accordato il diploma dell’Accademia francese; nel 1906 fu nominato membro corrispondente dell’Accademia del Venezuela.x

Nel 1894 fu aperto un istituto De La Salle per l’istruzione degli adulti nel distretto Celbollar di Quito. A Michele furono affidati l’insegnamento di grammatica e letteratura spagnola e la supervisione generale degli allievi. Nella settimana santa del 1895 il presidente Luigi Cordero diede le dimissioni, e il generale Eloy Alfaro assunse il comando di un altro governo rivoluzionario. Lo stipendio che la scuola di Quito riceveva mensilmente dal governo fu soppresso nel gennaio del 1896, in seguito a un episodio verificatosi nell’istituto: gli studenti, avendo in molti perduto dei parenti nella sollevazione rivoluzionaria guidata da Aifàro, si erano infatti rifiutati di cantare l’inno nazionale in segno di protesta.

I “fratelli” chiusero la scuola e l’istituto De La Salle, aprendo invece una scuola gratuita per poveri con il sostegno dell’arcidiocesi. Nonostante gli venissero proposti posti importanti nelle scuole del governo, Michele rifiutò di dissociare la propria attività da quella dell’istituto. Una volta ancora tornò a insegnare alle elementari e a preparare i bambini alla prima comunione. Poiché i “fratelli” francesi, a onor del vero, pare si siano comportati in quei tempi di avversità con poco eroismo, cercando e riuscendo a lasciare il paese al più presto, gli sforzi per sostituire con vocazioni locali coloro che se ne andavano furono moltiplicati. Michele fu nominato direttore dei novizi dal 1896 al 1905 e raggiunse gli stessi brillanti risultati che aveva ottenuto come insegnante. Nei 1902 fu nominato direttore della scuola gratuita, la Sacra Famiglia, che era cresciuta fino a raccogliere più di mille studenti e che aveva una comunità di ventidue “fratelli”.

2Dopo soli dieci mesi, tuttavia, per ragioni che non sono mai state chiarite. Michele fu sollevato dall’incarico e forse le sue qualità non si adattarono a una posizione di responsabilità amministrativa. In quello stesso tempo si stavano compiendo passi per portare Michele in Europa. Larichiesta ufficiale fu inoltrata nel marzo del 1907, con la promessa che si sarebbe assentato solo quattro o cinque anni: avrebbe dovuto recarsi nella casa-madre che, espulsa da Parigi dal governo anticlericale, era stata spostata a Lambecq-lez-Hal in Belgio.

Michele intraprese il viaggio passando da Guayaquil (dove stranamente, finché non gli venne ordinato, non fece alcun tentativo per andare a trovare la sorella che viveva lì). Panama, New York: si imbarcò sul piroscafo Lorraine diretto a Le Havre e giunse infine a Parigi, dove prese subito un colpo di freddo che per poco non lo uccise. Una volta ancora si sentiva “un pesce fuor d’acqua”; l’istituto (che faceva funzionare più o meno clandestinamente a Parigi una sorta di casa editrice) non fu in grado di mettere a frutto le sue particolari qualità, affidandogli il compito di tradurre libri di testo dal francese allo spagnolo. Egli accettò l’incarico con buona grazia, ma le lettere che spedì in Ecuador tradiscono la sua nostalgia:

«Molte volte ho dato libero sfogo a singhiozzi e lacrime, ma solo Dio ne è stato testimone. Vi dico questo solo per assicurarvi che la nostra separazione e la distanza che è tra noi non hanno cancellato in alcun modo dalla mia memoria il ricordo di tutti i miei amici».

Nel luglio del 1907 Michele si trasferì a Lambecq, dove l’atmosfera era più internazionale e stimolante. In autunno però il clima del Belgio cominciò a farsi sentire sulla salute di Michele, che trascorse l’inverno tra continui attacchi di febbre. L’estate seguente fu mandato a curarsi a Premiè de Mar, sulla costa mediterranea proprio a nord di Barcellona, dove era stato aperto un noviziato minore. Qui insegnò e lavorò su diversi libri di testo, sia propri che altrui, ma dopo alcuni mesi s’imbattè nell’anticlericalismo che a Barcellona nella famosa semana tràgica (la settimana tragica) accompagnò i moti rivoluzionari iniziati con la dichiarazione dello sciopero generale del 26 lugho 1909.san michele miguel febres corderoPoiché la Chiesa si era profondamente compromessa con la politica conservatrice

contro cui era rivolto lo sciopero, le chiese furono tra le prime costruzioni date alle fiamme. Ai “fratelli” e ai novizi fu consigliato di non abbandonare gli edifici per evitareche venissero saccheggiati e incendiati ma di tenere comunque pronto uno zaino nel caso si fosse reso necessario fuggire sulle montagne. Nella notte del 28 luglio la vicina stazione ferroviaria fu incendiata, ma il noviziato per il momento venne risparmiato. Il giorno dopo i “fratelli” chiesero l’intervento delle forze governative che si trovavano a Barcellona e ventiquattr’ore dopo giunsero un rimorchiatore e una cannoniera per evacuarli. Furono momenti di grande apprensione ma, tornati dopo circa una settimana, i “fratelli” videro che la statua della Madonna, collocata da Michele sulla finestra per proteggere la casa, si trovava ancora al suo posto e che niente era stato danneggiato.

L’episodio tuttavia provocò un ulteriore peggioramento della salute di Michele, che si sarebbe rivelato fatale. Per un certo periodo continuò a scrivere e a insegnare, e in ottobre riuscì persino a visitare il santuario di Nostra Signora del Pilar a Saragozza, con sua grande gioia. Ma verso la fine del mese di gennaio 1910 un brutto raffreddore si trasformò subito in polmonite. Ricevuti i sacramenti del viatico il 7 febbraio, Michele morì due giorni dopo sussurrando la litania:

«Gesù, Giuseppe e Maria, vi offro il mio cuore e l’anima mia».

Ricevute a Guayaquil con giubilo il 5 febbraio 1937, furono portate in trionfo a Quito;lungo il percorso del corteo si verificarono guarigioni. Il processo apostolico fu inaugurato a Roma nel 1938. Nel 1950 grandi celebrazioni in Ecuador commemorarono il centenario della sua nascita, e un immenso monumento di marmo e bronzo gli fu dedicato a Quito nel 1955. Beatificato infine da papa Paolo VI, insieme al suocompagno sa5 Mudano Maria Wiaux (30 gen.), il 30 ottobre 1977, Michele fu elevato agli onori dell’altare da papa Giovanni Paolo II nella domenica missionaria, il 21 ottobre 1984. Tra i presenti a quest’ultima cerimonia vi era il nuovo presidente dell’Ecuador, Leòn Febres Cordero, il cui bisnonno fu il fratello del nonno di Michele. Quando la notizia della morte di Michele giunse in Ecuador, l’intero paese avvertì un profondo senso di vuoto, subito tramutatosi nella convinzione che l’Ecuador avrebbe trovato in lui il primo santo ufficialmente riconosciuto. Il processo informativo iniziò nel 1922 e la causa di beatificazione fu formalmente introdotta nel 1935.

Le sue reliquie furono traslate nel 1925 in uno scrigno sigillato posto in una parete della cappella a Premia e quando le forze socialiste devastarono tale cappella nel 1936, durante la guerra civile, esse si conservarono; il console dell’Ecuador a Barcellona, avvisato da un giovane ex “fratello” del pericolo scampato, diede il permesso di riportarle nel paese natale di Michele.

Non è ovviamente per la sua erudizione e neppure soltanto per la sua dedizione verso gli studenti e verso una vita religiosa abbracciata così coerentemente fin dalla più tenera età che egli è stato canonizzato; quando si cercano le qualità che sottostanno alla sua personalità, come dice un suo biografo, «non è facile presentare questo lato dell’uomo in modo tale da renderlo comprensibile e affascinante alla gente moderna» (Luke Salm FSC). La sua spiritualità rispecchia molto quella del suo tempo, o, per meglio dire, quella latina del suo tempo.san6

Egli tenne per quarant’anni un diario spirituale, che comprende tutte le riflessioni fatte durante i ritiri annuali e vi si ritrova un’incredibile costanza nella vita spirituale, costruita intorno a un meticoloso esame di coscienza e all’osservanza della regola dei “fratelli”. Ma oltre a questi aspetti c’è qualcosa che fece si che quelli che lo conobbero poterono riconoscere in lui, fin dalla più giovane età, una straordinaria santità: si tratta probabilmente dell’amore di Dio che ispirò tutte le sue azioni. Il modo di esprimere questo amore può oggi suonare esagerato e persino teatrale (giunse a scrivere con il proprio sangue una dichiarazione d’amore a Gesù) ma esso fu la forza motrice della sua vita. La sua devozione era rivolta alla persona di Gesù (con particolare risalto dato all’infanzia e al Sacro Cuore), a S. Giuseppe e soprattutto a Maria, della quale ogni giorno meditava un aspetto peculiare.

La sua spiritualità devozionale non fu però intimista e sfociò nella missione apostolica e nell’amore per i propri colleghi e per gli studenti: la sua vita intera fu energia al servizio agli altri.

FONTE: il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler