SANT’AGNESE

SANT’AGNESE

Martire (? 292-? 305) 21 gennaio

Una ragazza di tredici anni iniziò il suo martirio proprio il 21 agnese
gennaio intorno all’anno 300, a causa di una straordinaria bellezza che voleva donare a Dio insieme alla sua verginità. Che si chiamasse realmente Agnese non è certo, ma i suoi resti sono più che reali e tenuti in grande venerazione. Su di lei anche una leggenda aurea.

La leggenda di Sant’Agnese, che unisce in maniera così efficace l’ideale del martirio con quello della verginità, è divenuta uno dei simboli più forti di tutta la vasta gamma di storie di santi. Agnese infatti simboleggia una doppia vittoriasulla morte, in Cristo, e sul mondo, nel rifiuto della concupiscenza. La storia assunse quella forma che la rese così popolare in Atti del V secolo, cioè più o meno un secolo dopo la presunta data della sua morte; fu poi inserita nel Breviario e nel Martirologio Romano, e infine il suo nome fu incluso anche nel Canone della Messa Tridentina, attualmente adattato nella Preghiera Eucaristica I.

La storia in sintesi racconta che Agnese era una romana cristianadi tredici anni e molto bella, che aveva consacrato la sua verginità a Cristo, e che si era offerta per il martirio poco dopo l’editto di Diocleziano del febbraio del 303, con il quale era ripresa la persecuzione. Ai vari pretendenti alla sua mano, la giovane rispondeva con fermezza che il suo unico sposo era Cristo.

Venne dunque portata davanti a un giudice che la interrogò e la minacciò di ucciderla sul rogo (questa potrebbe anche essere una metafora della tentazione); in seguito al rifiuto di obbedire all’ordine del prefetto di servire gli dèi nel tempio di Vesta, venne esposta nuda in un postribolo, come estremo insulto alla sua seducente ma inattaccabile verginità. In versioni successive si dice che i capelli le crebbero istantaneamente per coprire le sue nudità. La sua raggiante purezza scoraggiò comunque tutti i pretendenti tranne il figlio del prefetto che, cercando di arrivare a lei, rimase accecatoriottenne la vista solo grazie al suo perdono.

Una leggenda successiva, contenuta nella Legenda aureanarra invece che il ragazzo sia stato strangolato da demoni e che l’intercessione di Agnese lo abbia riportato alla vita: entrambi i miracoli paiono però un’esagerazione eccessiva, che sminuisce la realtà del suo martirio. Alla fine il governatore o prefetto, esasperato dalla sua resistenza, ordinò che fosse decapitata; la condanna venne eseguita nello stadio di Domiziano, conosciuto anche come Circus Agonalis (l’odierna Piazza Navona, sovrastata dalla chiesa di Sant’Agnese in Agone).

Ormai si concorda nel dire che questi Atti non possono essere accomunati a certi documenti come il Martirio di Policarpoo la Passione di Perpetua e Felicita o anche come Gli Atti Proconsolari di S. Cipriano,composti quasi subito dopo la morte dei martiri, e a volte addirittura tratti dai resoconti stenografici dei loro interrogatori. Atti come quelli di S. Cecilia (22 nov.) e Sant’Agnese appaiono invece da inserire «nell’ambito di quella letteratura di edificazione popolare, a volte imperniata sulla fantasia» (L. Bouyer).

Quale che sia il fondamento storico dei particolari di questa vicenda, rimane comunque il fatto che nella Depositio Martyrum del 354 esiste la prova concreta sia del martirio sia del culto di una certa “Agnese”. Anche papa Damaso (366-384), testimoniando un culto romano, la menzionò nei suoi Epigrammi, e S. Girolamo (t 420) di lei scrisse: «La vita di Agnese è elogiata nella letteratura e nei discorsi di tutte le genti, in particolare nelle Chiese, lei che vinse sia la sua età che il suo tiranno, e consacrò nel martirio la sua castità».

Nel 350 la figlia di Costantino, Costanza, fece costruire una basilica sulla sua tomba sulla via Nomentana, dove ora sorge la chiesa di Sant’Agnese fuori le mura, sulla cui abside si legge un’iscrizione acrostica che dice semplicemente che era “vergine” e “vittoriosa“. Un’altra prova del suo antico culto è costituita da un vetro dipinto in oro, risalente al IV secolo, che fu ritrovato nella Catacomba di Panfilo.

La narrazione, in gran parte dovuta a Prudenzio, venne, come tante altre, erroneamente attribuita a S. Ambrogio (7 dic), il quale in effetti aveva pronunciato un sermone (successivamente riveduto per la pubblicazione nel De Virginibusche avrebbe avuto una grande importanza per la divulgazione della storia. Dicendo che Agnese cervicem inflexit, “chinò il collo”, sembrava dare spessore all’ipotesi secondo la quale era stata decapitata, anche se l’inno Agnes beatae virginis, quasi certamente attribuibile a S. Ambrogio, la descrive mentre con semplicità si avvolge nel suo mantello dopo aver ricevuto il colpo. Ciò diede adito alla tradizione secondo la quale sarebbe stata trafitta alla gola da un pugnale: il rapido “colpo di grazia” romano, che sembrerebbe il supplizio più probabile per lei. Il fatto che il suo teschio sia conservato in Sant’Agnese in Agone, separato dalle altre ossa custodite in Sant’Agnese fuori le mura, non significa necessariamente che sia stata decapitata: separare infatti le teste dai corpi, nei casi in cui si erano conservate tutte le spoglie, fu in seguito una diffusa consuetudine.

Quest’oggi è il natale di una vergine, imitiamone la purezza. E’ il natale di una martire, immoliamo delle vittime. E’ il natale di Sant’Agnese, ammirino gli uomini, non disperino i piccoli, stupiscano le maritate, l’imitino le nubili... La sua consacrazione è superiore all’età, la sua virtù superiore alla natura: così che il suo nome mi sembra non esserle venuto da scelta umana, ma essere predizione del martirio, un AGNESE3annunzio di ciò ch’ella doveva essere. Il nome stesso di questa vergine indica purezza. La chiamerò martire: ho detto abbastanza… Si narra che avesse tredici anni allorché soffrì il martirio. La crudeltà fu tanto più detestabile in quanto che non si risparmiò neppure sì tenera età; o piuttosto fu grande la potenza della fede, che trova testimonianza anche in siffatta età. C’era forse posto a ferita in quel corpicciolo? Ma ella che non aveva dove ricevere il ferro, ebbe di che vincere il ferro. […] Eccola intrepida fra le mani sanguinarie dei carnefici, eccola immobile fra gli strappi violenti di catene stridenti, eccola offrire tutto il suo corpo alla spada del furibondo soldato, ancora ignara di ciò che sia morire, ma pronta, s’è trascinata contro voglia agli altari idolatri, a tendere, tra le fiamme, le mani a Cristo, e a formare sullo stesso rogo sacrilego il segno che è il trofeo del vittorioso Signore… Non così sollecita va a nozze una sposa, come questa vergine lieta della sua sorte, affrettò il passo al luogo del supplizio. Mentre tutti piangevano, lei sola non piangeva. Molti si meravigliavano che con tanta facilità donasse prodiga, come se già fosse morta, una vita che non aveva ancora gustata. Erano tutti stupiti che già rendesse testimonianza alla divinità lei che per l’età non poteva ancora disporre di sé… Quante domande la sollecitarono per sposa! Ma ella diceva: “È fare ingiuria allo sposo desiderare di piacere ad altri. Mi avrà chi per primo mi ha scelta: perché tardi, o carnefice? Perisca questo corpo che può essere bramato da occhi che non voglio”. Si presentò, pregò, piegò la testa… Ecco pertanto in una sola vittima un doppio martirio, di purezza e di religione. Ed ella rimase vergine e ottenne il martirio”. (tratto da De Virginibus, 1. 1)

Agnese fa parte di un gruppo di sante vergini che divenne straordinariamente famoso nel Medio Evo, addirittura più di altre donne martiri delle quali si avevano notizie più precise; molto spesso compare, come Margherita di Antiochia, Orsola, Caterina, Fede, Dorotea, Barbara e altre, su pannelli dipinti e vetrate; la sua vita è rappresentata in un ciclo di dipinti su una coppa in oro e smalto del XIV secolo, appartenuta successivamente al duca di Berry, al duca di Bedford e a re Enrico VI.AGNESE4

William Bokenham, canonico agostiniano del Suffolk, compose un racconto in versi del martirio di Agnese con altre tredici Legends of Holy Wummnen. Un altro racconto venne composto da John Lydgate, scrittore popolare di Vite di Santi. Come dice Eamon Duffy, la verginità appresentava il potere: «La verginità, come simbolo del sacro potere, come puro inveramento dello spirito divino in questo mondo, ha radici molto antiche nella cristianità». Il potere di Agnese e di altre vergini dovrebbe essere visto come un’intercessione efficace verso Dio: esse erano soprattutto custodi delle partorienti, protettrici dagli aborti spontaneidagli incendi e dalle morti improvvise e inaspettate, e non tanto esempi da imitare. Un gioco di parole latino associava Agnese all’agnus, l’agnello, anch’esso immacolato e puro: per questo in arte fu poi rappresentata con un agnello, in associazione o in alternativa a una palma da martire. Dai mosaici del VI secolo di Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna in poi, l’agnello divenne il suo simbolo principale, e si arrivò anche alla sua associazione con la lana di agnello utilizzata per il palliumepiscopale.

Nella sua ricorrenza annuale due agnelli bianchi vengono portati in Sant’Agnese fuori le mura, per essere offerti al santuario, mentre il coro canta l’antifona Stans a dextris ejus agnus nive candidior (“Alla sua destra sta un agnello più bianco della neve”). I due animali vengono poi benedetti, agnese (1)fatti uscire e accuditi fino al tempo della tosaturale suore del convento Sant’Agnese tessono con la lana i palliache tutte le vigilie della festa di SS. Pietro e Paolo (29 giu.)sono posti sull’altare della Confessione di S. Pietro, per poi essere inviati “dal corpo di Pietro benedetto” agli arcivescovi di tutto il mondo, a ricordo che la loro autorità è legata alla loro comunione con la Santa Sede.

II Calendario Romano precedentemente includeva una seconda festività in suo onore il 28 gennaio; questa però, più che essere un’ottava, sembrerebbe la data effettiva della sua morte, mentre il 21 corrisponderebbe al giorno della sua passioquando cioè fu sottoposta al processo. Questa festa è stata spostata di volta in volta per via della coincidenza con quelle di S. Pietro Nolasco (ora oggetto di un culto solo locale), S. Giovanni Bosco (ora al 31 gen.) e infine di S. Tommaso d’Aquino (28 feb.).

La sua testa viene venerata in una cappella di Sant’Agnese in Agone e la sua presunta prigione può essere visitata sotto la stessa chiesa, accedendovi da una porta alla destra del suo altare. Vi sono anche due statue di Ercole Ferrata, una delle quali raffigura Sant’Agnese tra le fiamme, l’altra invece rappresenta sua sorella S. Emerenziana (in precedenza ricordata il 23 gen., ora oggetto di un culto solo locale) di cui si dice sia stata lapidata mentre pregava sulla sua tomba. Alcune parti del suo primo reliquiario, con l’incisione che la raffigura in preghiera con le mani alzate, sono visibili in Sant’Agnese fuori le mura, dove c’è anche la sua tomba e dove, nel 1605, fu ritrovato il suo corpo decapitato.

Volendo stabilire il valore della storia di Sant’Agnese bisognerebbe anche esaminare la possibilità che i suoi Atti siano pura invenzione; infatti il suo nome potrebbe derivare dalla parola greca agneia, che significa purezza, e Agnese dunque non sarebbe che un simbolo privo di fondamento storico. Sembra comunque fuori dubbio che una giovane, a prescindere dalla sua concreta identità storica, possa essere stata martirizzata perchè difendeva la verginità consacrata a Cristo, diventando così esempio e archetipo di un genere di testimonianza che nei secoli ha rappresentato un elemento essenziale della fede cristiana.

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler / De Virginibus

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