SAN DANIELE STILITA

SAN DANIELE STILITA

(409-493) 11 dicembre

Affascinato dalla vita dello stilita Simeone decise di imitarne l’ascetismo e visse per 33 anni su di una colonna in meditazione e preghiera, dimostrando la sua grande fede con miracoli e profezie.

Dopo S. Simeone stilita l’Anziano, Daniele è il più noto degli stiliti siriani, in altre parole degli eremiti che vissero su una colonna, il cui stile di vita strano divenne una delle caratteristiche della Chiesa orientale nel V secolo. Gli stiliti vivevano in uno stato d’ascetismo estremo, cercando di condividere le stesse sofferenze di Cristo e allo stesso tempo testimoniando al massimo la fede. Il carattere penitenziale e la santità delle loro vite erano evidenti a tutti; gli stiliti dipendevano dai discepoli per quanto  riguarda le provviste che questi issavano sulla colonna usando delle funi o delle scale. I visitatori talvolta potevano salire la scala per ricevere un consiglio o un rimedio; inoltre spesso attraevano folle di veggenti e di pellegrini.

La biografia di Daniele, scritta da un contemporaneo più giovane, probabilmente uno dei discepoli, è confermata, per quanto riguarda l’accuratezza dei particolari, da altre fonti che raccontano la storia di quel periodo. La storia comincia con un bambino promettente, nativo di Maratha, vicino a Samosata, dedicato a Dio prima della nascita dai genitori devoti. Probabilmente conobbero la storia dei sette martiri di Samosata, uccisi quasi un secolo prima. All’età di dodici anni, Daniele si recò in un monastero delle vicinanze e chiese di essere accolto dall’abate, che tuttavia gli disse che sarebbe stato incapace di sopportare la disciplina della vita monastica. Il ragazzo rispose:

“So bene di essere giovane e debole, ma ho fede in Dio e nelle vostre sante preghiere”.

Gli fu permesso di restare, con grande gioia dei genitori, e a tempo debito diventò monaco. Alcuni anni dopo accompagnò l’abate in un viaggio ad Antiochia, e lungo la strada alloggiarono nel monastero di Telanissos, dove Simeone stilita aveva intrapreso il tirocinio della vita monastica. Nacque una discussione tra  i monaci di Telanissos e quelli della Mesopotamia, sul valore della testimonianza di Simeone. I monaci del luogo parlarono con rispetto delle difficoltà di quello che stava sopportando  “per amore del Signore”, ma quelli della Mesopotamia protestarono che era “un procedimento vanaglorioso”, affermando che le pratiche ascetiche per compiacere Dio potevano essere svolte tranquillamente dentro il monastero, senza necessariamente vivere in cima a una colonna.

Furono persuasi a far visita a Simeone, e rimasero molto impressionati da ciò che scoprirono: “Quando arrivarono in quel luogo, e videro le condizioni selvagge del sito e l’altezza della colonna, oltre al calore infuocato del sole, e la sopportazione del santo, che dava il benvenuto agli stranieri, e l’amore che mostrava loro, furono stupefatti”. Simeone chiese di porre la scala in un punto e li invitò a salire, ma i monaci avevano vergogna e cercarono delle scuse per non farlo; allora Daniele chiese il permesso di salire, Simeone lo accolse, lo benedisse e gli disse che avrebbe sofferto molto per la fede. L’abate di Daniele morì dopo poco tempo, e i monaci avrebbero voluto Daniele come successore, ma questi respinse l’offerta e tornò a far visita a Simeone, fermandosi quattordici giorni nel monastero vicino alla colonna. Poi partì per la Terra Santa, ma a causa delle guerre che infuriavano in quella zona, raggiunse invece Costantinopoli, dove si costruì un eremo in un tempio abbandonato a Filempora, in cui visse per nove anni, sotto la protezione del patriarca S. Anatolio.

Simeone morì nel 459, lasciando il suo prezioso mantello all’imperatore Leone I, ma al suo discepolo Sergio fu impedito di consegnarlo di persona, perciò lo diede a Daniele, che probabilmente aveva più di 50 anni a quel tempo. Egli decise di seguire lo stile di vita di Simeone: scelse un luogo a una certa distanza da Costantinopoli, dove alcuni amici gli fornirono una colonna “alta circa come due uominicon una balaustra. (Non esiste notizia di stiliti precipitati dalle colonne: molti si astenevano dal dormire, sonnecchiando appoggiati alla balaustra). Su quella colonna Daniele cominciò la cosiddetta statio  dedicandosi alla preghiera e alla meditazione.

La terra su cui la colonna era stata eretta apparteneva all’amministratore dell’imperatore Leone, che ordinò a Daniele di andarsene, ma dopo aver assistito alla guarigione di un ragazzo posseduto dal demonio, avvenuta grazie alla potenza delle sue orazioni, si convinse della sua santità e fece costruire una colonna più alta con una piattaforma più ampia, dove lo stilita accettò di trasferirsi. Poi l’amministratore tornò a Costantinopoli e “raccontò ogni dettaglio all’imperatore e a tutta la corte”.

L’imperatore inviò un messaggio, chiedendo a Daniele di pregare affinchè l’imperatrice Verena potesse concepire un figlio; successivamente, quando la donna partorì, l’imperatore si recò a fargli visita, ricevette il permesso di salire sulla colonna, e “cominciò a salire verso il servo di Dio, chiedendogli di potergli toccare i piedi”. Quando vide quanto erano gonfi, si stupì della capacità di sopportazione di Daniele. L’imperatore fece costruire per lui due colonne, ancora più alte, collegate da una serie di ponti fatti con assi di legno tenute assieme da pali di ferro. Una colonna costituiva la sua statio, e dall’altra avrebbe potuto benedire le folle che giungevano in pellegrinaggio. La struttura era semplice, evidentemente, giacchè durante un temporale violento, i sostegni furono divelti e la base frantumata. 

I discepoli di Daniele “erano tremanti e spaventati, chinavano la testa da una parte all’altra per seguire le oscillazioni della colonna […] ma il servo di Dio non rispose a nessuno, e continuò a pregare Dio e a invocare aiuto”.

Quando l’imperatore apprese di quest’incidente, rese più sicure le colonne, e minacciò di giustiziare l’architetto; ma Daniele implorò di non fargli del male, così quello fu perdonato. Daniele non aveva riparo dagli agenti atmosferici: era esposto a tempeste, venti forti, al sole bruciante e al gelo estremo. Una volta il vento forte gli strappò la tunica di pelle e fu costretto a giacere nella neve per tutta la notte.

“Assomigliava a un pilastro di sale […] i suoi discepoli videro i suoi capelli e la barba incollati alla pelle dai ghiaccioli, e il volto coperto di ghiaccio, come se fosse stato di vetro […] ed egli non riusciva a parlare, né a muoversi. “

I discepoli portarono acqua calda e spugne, e gradualmente lo liberarono dalla morsa del ghiaccio. A questa notizia, l’imperatore salì la scala un’altra volta, e chiese a Daniele il permesso di costruirgli un riparo di ferro; Daniele non accolse l’idea di buon grado, poiché sapeva che Simeone non ne aveva mai avuto uno, ma l’imperatore affermò che Dio gli aveva dato un incarico da compiere, e che non faceva parte del piano divino che si suicidasse. Il riparo fu costruito e Daniele visse sulla sua colonna fino all’età di ottantaquattro anni. Considerato il grado di difficoltà del loro stile di vita, gli stiliti erano tra i più longevi.

I rapporti di Daniele con Gennadio, patriarca di Costantinopoli, non erano facili; all’inizio Gennadio consigliò al braccio destro dell’imperatore di scacciare Daniele dalla sua terra, affermando che non aveva nessun diritto di occuparla. Successivamente, quando ricevette l’ordine dall’imperatore di “andare dal santo e onorarlo come un sacerdote”, Gennadio  temporeggiò, facendo infuriare l’imperatore. Quando alla fine gli fece visita con un gruppo di chierici, Daniele gli negò il permesso di salire sulla scala, dichiarando che non gli avrebbe rivolto la parola, se non per chiedergli la benedizione.

Era una giornata caldissima, la folla si accalcava intorno alla colonna, impaziente per il caldo soffocante e per l’ansia dell’attesa, e alla fine il patriarca lesse le orazioni dell’ordinazione ai piedi della colonna. Allora Daniele gli chiese di salire la sala, “tenendo in mano il calice con il santissimo corpo e il prezioso sangue di Gesù Cristo, nostro Dio”. Deve esser stato un viaggio rischioso; forse Gennadio benedisse Daniele, ma non vi è nessun cenno nella Vita. Entrambi si scambiarono un bacio in segno di pace e ricevettero la comunione uno dalle mani dell’altro. La folla che attendeva fu soddisfatta e l’imperatore altrettanto. Daniele divenne una delle meraviglie dell’impero. Si narra che predisse un incendio a Costantinopoli, nel 465, e il popolo corse a frotte fino alla colonna, dove il santo aprì le braccia e pregò per loro.

Quando il re del popolo dei Lazi della Colchide giunse per rinnovare la sua alleanza con i romani, Leone lo accompagnò a far visita a Daniele. Il re dei barbari si prostrò davanti alla colonna, e il santo fu testimone del trattato stipulato dai due prrincipi. I malati venivano spesso portati sotto la sua colonna e alcuni innalzati fino in cima, per consentire a Daniele di benedirli o amministrare i sacramenti. La gente numerosa si affollava attorno alla sua colonna per ascoltare le sue spiegazioni semplici sull’amore di Dio, la misericordia verso i poveri, l’amore fraterno, l’umiltà e l’obbedienza. Scese dalla colonna solo una voltaquando, alla morte di Leone I, Basilisco usurpò il trono imperiale e sostenne gli eretici di Eutichiano. Il patriarca di Costantinopoli chiese aiuto a Daniele, e il vecchio eremita scese “con difficoltà, a causa del dolore ai piedi, e fu accolto con gioia ed eccitazione dalla folla che lo portò sulle spalle”.

Basilisco si recò dal santo, presentandosi come un “semplice soldato” e promettendo di annullare gli ordini emessi a favore dell’eresia. Daniele lo rimproverò severamente e ritornò sulla sua colonna. Alcuni mesi dopo, l’imperatore Zenone ritornò con un esercito, e Basilisco scappò; una delle prime cose che fece il primo fu di far visita a Daniele sulla sua doppia colonna. A ottantaquattro anni, dopo aver celebrato la Messa a mezzanotte sul suo pilastro,  si accorse che stava morendo. Fu mandato a chiamare il patriarca Eufemio, e Daniele morì, poi fu sepolto nell’oratorio ai piedi della colonna dove aveva vissuto per 33 anni e 3 mesi.

FonteIl grande dizionario dei Santi di Alban Butler