SAN LORENZO GIUSTINIANI

SAN LORENZO GIUSTINIANI

vescovo (1381-1455) 8 Gennaio 

Fattosi frate mendicava fin sotto casa, dove la madre, SAN LORENZOper vergogna, mandava i domestici a riempire di pani la sua bisaccia, in modo che tornasse al convento prima di essere riconosciuto. Nella sua ascesa non abbandonerà mai la sua grande carità, un esempio che spingerà molti cuori alla conversione.

Lorenzo nacque a Venezia nel 1381, discendente da nobile famiglia, sia da parte di padre che di madre. Il padre morì quando egli era bambino e la madre si dedicò all’educazione della numerosa prole. Coltivava già in età giovanile una sua personale austerità e su consiglio dello zio prete Marino Querini, entrò nel monastero agostiniano di S. Giorgio (sulla piccola isola di Alga, poco più di un chilometro al largo di Venezia), preferendo questa strada alla ricchezza e agli onori che gli sarebbero certamente venuti grazie alle sue ascendenze familiari.

Un amico che si era recato nel convento per persuaderlo a far ritorno in famiglia, decise invece di seguirne immediatamente l’esempio, facendosi frate. Lorenzo, vestito dell’umile saio del frate mendicante, andava di porta in porta a fare la questua. Un figlio accattone non è un bel vedere per la nobile famiglia Zustinian o Giustiniani, ornamento della Serenissima. Lui, Lorenzo, arriva a mendicare fin sotto casa, la madre, una piissima donna, soffriva al pensiero che la gente potesse riconoscere suo figlio sotto quelle vesti, e per affrettarne il ritorno in convento mandava i domestici a riempire di pani la sua bisaccia, purché si tolga di lì. Lui accetta soltanto due pani, ringrazia e continua. Il confratello che lo accompagnava avrebbe voluto evitare le porte dalle quali provenivano solo insulti, ma Lorenzo era categorico:

« Non abbiamo rinunciato al mondo soltanto a parole. Andiamo a riceverci anche il disprezzo! ».

Il suo scopo non è l’“opera buona” in sé. E’, addirittura, la rigenerazione della Chiesa attraverso la riforma personale di chierici e laiciL’umiliazione del S. LORENZO GIUSTINIANImendicare ha valore di “vittoria sopra sé stessi”, di avversione alle pompe prelatizie, di primo passo verso il rinnovamento attraverso la meditazione, la preghiera, lo studio, l’austerità. L’intraprendente e battagliera Venezia del Quattrocento è anche un fervido laboratorio di riforma cattolica, destinato a portare frutti preziosi. Lorenzo Giustiniani è diacono nel 1404, quando si unisce ad altri sacerdoti, accolti nel monastero di San Giorgio in Alga, per vivere in comune tra loro, riconosciuti poi come “Compagnia di canonici secolari”: sono i pionieri dello sforzo riformatore.

Lorenzo ha scarse doti di oratore, ma “predica” con molta efficacia, da un lato, continuando a girare con saio e bisaccia; e, dall’altro, scrivendo instancabilmente. Scrive per i dotti e per gli ignoranti, trattati teologici e opuscoletti popolari, offrendo a tutti una guida alla riforma personale nel credere e nel praticare. Spinge i fedeli a recuperare il senso di comunione con tutta la Chiesa, anima la fiducia nella misericordia di Dio piuttosto che il timore per la sua giustizia. Non aveva il dono dell’oratoria, ma di ciò non si dava pena, potendo supplire con la parola scritta, di cui fece largo uso per la direzione del clero e dei laici, con lettere pastorali e opuscoli, in cui condensava in brevi e concettosi aforismi il succo di tante meditazioni:

«Chi non utilizza il Signore quanto più gli è possibile, mostra di non apprezzarlo»;

« Un servo del Signore evita anche le piccole mancanze, perché la sua carità non si raffreddi»;

«Dobbiamo evitare gli affari troppo complicati; nelle complicazioni c’è sempre lo zampino del diavolo ».

Nei suoi scritti, opere varie e sermoni c’è l’idea madre dell’Eterna Sapienza, elemento dominante della sua mistica. Essa, negli scritti del periodo monacale, guida l’uomo al vertice della perfezione interiore e, degli scritti successivi, al vertice della vita episcopale.
Fu ordinato prete nel 1406, due anni dopo la trasformazione della comunità in congregazione di canonici regolari di S. Agostino, assumendo la Regula Tertia del santo di Ippona, e ponendo particolare accento su umiltà, semplicità e rinuncia a tutte le proprietà personali. Fu nominato priore o prevosto nel 1407, e riconfermato dal 1409 al S. LORENZO GIUSTINIANI11421. Ai suoi canonici insegnò soprattutto l’umiltà, e con la sua predicazionediffuse tale messaggio anche tra le autorità civili di Venezia.

Nel 1433 papa Eugenio IV (1431-1447), egli stesso veneziano e già canonico regolare, lo nominò vescovo di Castello, una diocesi che comprendeva una parte di Venezia. Accettò la nomina contro la sua volontà e, durante l’episcopato, non attenuò l’austerità personale, divenendo famoso anche per la sua carità verso i poveri. Folle numerose accorrevano a lui per riceverne consiglio, aiuto ed elemosina, che egli elargiva in natura (cibo e abiti) sapendo che il denaro poteva essere mal utilizzato.

La diocesi, che in passato era stata turbolenta, divenne un modello di pace e buona amministrazione. Disprezzando le questioni finanziarie, delegò questa materia a un economo, così da potersi dedicare alla cura d’anime. Il successore di papa Eugenio, Niccolò V (1447-1455), apprezzò le qualità di Lorenzo allo stesso modo del suo predecessore. Nel 1451 Domenico Michelli, metropolita di Grado, che manteneva il titolo di patriarca (effetto piuttosto spurio di uno scisma del VI sec), morì. Niccolò V soppresse la sede metropolitana e la trasferì a Venezia, nominando Lorenzo arcivescovo: per questa ragione egli è spesso, ma a torto, citato quale primo patriarca di Venezia. Il suo umile aspetto impressionò a tal punto il doge e il senato della città che, mentre si dibatteva se la sua nomina fosse in conflitto con la loro giurisdizione, fu respinta all’unanimità la sua offerta di dimissioni. Governò l’archidiocesi per gli ultimi quattro anni di vita con la stessa umiltà e buon senso che aveva caratterizzato il suo episcopato a Castello.

Una febbre lo colpì all’età di 74 anni. Abituato alle dure penitenze, quando, ormai vecchio e malato, cercarono di sostituirgli il pagliericcio con un letto di piume, egli protestò:

« Cristo morì sulla croce e io dovrei morire su un letto di piume? ».

S. LORENZO GIUSTINIANI2

Avvicinandosi l’ora della morte dell’arcivescovo, nobili e mercanti della città vennero a portargli l’estremo tributo e ad ascoltarne le ultime esortazioni, ma egli insistette perché, senza far distinzioni di rango, anche i mendicanti e gli indigenti della città fossero ammessi al suo capezzale. Morì l’8 gennaio 1455 esprimendo il desiderio di essere sepolto nel piccolo cimitero del vecchio convento. Ma i veneziani gli decretarono un vero trionfo. Dopo la sua morte, essi ottengono che il suo corpo resti sepolto per sempre nella chiesa di San Pietro in Castello. Lo canonizzerà, nel 1690, papa Alessandro VIII (il veneziano Piero Ottoboni), ma la pubblicazione ufficiale si avrà soltanto con papa Benedetto XIII nel 1727. In passato la sua festa veniva celebrata il 5 settembre, data della consacrazione episcopale, ma, con la recente riforma del calendario, è stata spostata alla “nascita al cielo”.

Accanto alla sua opera pastorale, egli scrisse un buon numero di opere ascetiche e mistiche; già in giovane età era attaccato al concetto di Dio come Sapienza Eterna, e ne abbiamo un riflesso nelle sue opere. La più importante è Lo sposalizio casto e spirituale del Verbo e dell’animadel 1425; le altre importanti sono: // bouquet dell’amore e // fuocodell’amore divino. L’accento, come si deduce dal titolo, è posto sull’amore di Dio nella contemplazione. In un capitolo de L’albero della Vita divideva la contemplazione in sei gradi, seguendo la classificazione fatta da Riccardo di S. Vittore nel Benjamin Maior.

Fonti: Il primo grande libro dei Santi di Alban Butler /  www.giustiniani.info/lorenzo.html