SERVA DI DIO SUOR BLANDINA

SERVA DI DIO SUOR BLANDINA

ROSA MARIA SEGALE

religiosa e missionaria (1850-1941) 23 febbraio

suor-blandina-segaleSuor Blandina soprannominata “la suora più veloce del West” riuscì a tenere a bada Billy the Kid, convincendolo a non fare una strage, e fondò in New Mexico scuole e ospedali. 

Grazie all’arcidiocesi di Santa Fe, Blandina Segale, la “suora più veloce del West” che nell’Ottocento era capace di tenere a bada tanto i capi indiani, quanto i fuorilegge come Billy the Kid e aprì nella nuova frontiera americana ospedali e scuole, potrebbe diventare la prima santa di quelle regioni selvagge. L’arcivescovo Michael Sheehan ha annunciato di aver ricevuto dal Vaticano il nulla osta all’apertura della causa di beatificazione per suor Blandina.

Religiosa dell’ordine delle Sorelle della Carità di Cincinnati e una paladina di ispanici e indiani d’America, è stata la fondatrice di numerose scuole nella regione e dell’ospedale di St. Joseph. In suor blandinaItalia la sua vicenda è poco conosciuta, ma nel Far West la sua storia ha il sapore del mito. Sono state le sue avventure con i banditi del vecchio West che l’hanno resa nota nella cultura popolare.

La “suora con gli speroni” è stata al centro di una puntata della serie della Cbs “Death Valley Days” intitolato “The Fastest Nun in the West”. Nell’agosto del 2003, Gianfranco Manfredi, creatore della serie e curatore delle rubriche, afferma che la vicenda di suor Blandina aveva suscitato molto interesse da parte dei lettori, molti dei quali chiedevano un suo ritorno.

È stata lei stessa a raccontare la sua vita di religiosa nelle zone a est del Rio Grande e a sud delle Sangre de Cristo Mountains in un diario, “At the End of the Santa Fe Trail”, pubblicato la prima volta nel 1932.

Rosa Maria, come si chiamava da ragazza, era nata nel 1850 a Cicagna, in Liguria, nord Italia. Quando aveva quattro anni la sua famiglia si era trasferita a Cincinnati, e lì era entrata nel convento delle suore della carità, prendendo i voti a 18 annicol nome di Blandina, in memoria di santa Blandina, martire nel 177 durante il regno di Marco Aurelio.

Serva di Dio Suor BlandinaInsegnava nelle scuole di Steubenville e Dayton quando, a ventidue anni, il 27 novembre 1872, fu inviata come missionaria a Trinidad, in Colorado. Viaggiò da sola per sentieri polverosi su ferrovia e diligenza nelle terre inesplorate del lontano sud-ovest per raggiungere Trinidad, centro minerario di frontiera, il 9 dicembre di quell’anno.

Nel dicembre del 1873 ricevette una comunicazione dalla sua madre superiora con cui le veniva annunciato il suo trasferimento a Santa Fe: in quella città la religiosa fece edificare, pur nella scarsità dei mezzi, scuole ed orfanotrofi, continuando a visitare le miniere della zona e i cantieri di costruzione della ferrovia.

Si batté da subito contro la pratica del linciaggio con cui all’epoca si faceva giustizia sommaria nella regione ed ebbe frequenti contatti con i banditi. Appena ventiduenne, infatti salvò il padre di un suo allievo dall’esecuzione sommaria, Billy the Kidarrivando alla prigione in cui era detenuto per aver ferito un uomo, prima che i concittadini lo prelevassero per impiccarlo. Insieme allo sceriffo, sotto gli occhi dei linciatori, Blandina portò l’uomo dalla vittima del suo crimine. Quello, in punto di morte, lo perdonò. Saputi i fatti, la folla si disperse e il criminale fu portato davanti al giudice legittimo.

Visitò e curò anche Billy the Kid ed altri prigionieri rinchiusi nel principale carcere del New Mexico dei quali colse sempre gli aspetti più umani: “Aveva gli occhi azzurro-grigio, carnagione rosea, e l’aria di un ragazzino: non gli si sarebbero dati più di diciassette anni. Poteva scegliere la via giusta ed invece scelse la sbagliata“, scrisse di Billy the Kid che aveva conosciuto personalmente e quando seppe della sua morte, annotò: « Povero Billy the Kid, termina così la carriera di un giovane che cominciò a scendere la china all’età di dodici anni vendicando un insulto che era stato fatto a sua madre …”

E quando seppe che un componente della sua banda era stato ferito gravemente, e lasciato solo a morire in una baracca, andò da lui e gli disse duramente: suor blandina (1)Vedo che con la testa dura che ti ritrovi non riuscirebbero ad ammazzarti neppure con un colpo alla testa“. Quindi iniziò a curarlo e lo salvò. In seguito lui disse: “Nello stato in cui ero, se lei mi avesse parlato di pentimento o di preghiere, nonostante avessi tanto male l’avrei mandata a quel paese, invece semplicemente mi salvò la vita”

Un’altro episodio racconta che Billy e la sua banda volevano rapinare un convoglio, ma suor Blandina si fece trovare lì, sulla carrozza. Bastò quello, Billy si tolse il cappello in segno di rispetto e se ne andò, come racconta oggi l’arcivescovo di Santa Fe Sheehan.

Nel 1882 le venne affidata la ricostruzione del distrutto convento di Albuquerque. Invano tentò in quella località di costruire un ospedale cosicché fu richiamata nel 1889 a Trinidad, dove qualche anno più tardi le verrà contestato il diritto di insegnare, come religiosa, nella locale scuola. Nel 1892 infatti, tutti gli insegnanti vennero  sottoposti ad un esame. Le suore ne uscirono benissimo; però una nuova legge impose alle religiose di insegnare in abito civile, cosa che esse si rifiutarono di accettare. Alle accuse, rispose che la Costituzione degli Stati Uniti le consentiva di insegnare pur indossando l’abito religioso. Tuttavia, l’ostracismo nei suoi confronti ebbe la meglio tanto che dovette tornare nuovamente ad Serva di Dio Suor Blandina e Billy the KidAlbuquerque dove, nel 1901, avrebbe portato a termine l’edificazione dello St. Joseph Hospital. Tornata, ormai anziana, a Cincinnati, lavorò fino alla morte fra la comunità degli immigrati italiani.

Perchè suor Blandina diventi santa c’è però bisogno di qualche miracolo, quindi cominciamo a pregarla, magari ascolterà le preghiere di alcune mamme preoccupate per i propri figli sbandati o in carcere, malati nell’anima e nel corpo e chissà che anche su questa terra, grazie anche alle nostre suppliche possa raggiungere i meritati onori.

Vedi anche http://www.riscossacristiana.it/diario-di-una-missionaria-italiana-nel-far-west-di-piero-nicola/

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Rosa_Maria_Segalehttp://www.santiebeati.it/dettaglio/96424; fonti varie

BEATO GIUSEPPE ALLAMANO

BEATO GIUSEPPE ALLAMANO

fondatore (1851-1926) 16 febbraio

allamanoGiuseppe Allamano è stato un presbitero italiano, fondatore delle congregazioni dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Ebbe san Giovanni Bosco come insegnante e san Giuseppe Cafasso per zio. Nel 1990 è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II

Rimasto orfano di padre a neanche tre anni, figlio di una famiglia di agricoltori molto devoti. E’ concittadino di due santi: don Bosco, che l’ha avuto studente a Torino, e Giuseppe Cafasso, che è anche suo zio materno. Ordinato sacerdote in Torino a 22 anni, laureato in teologia a 23, direttore spirituale del seminario a 25, a 29 diventa rettore del santuario più caro ai torinesi (la “Consolata”) e del Convitto ecclesiastico per i neosacerdoti. Però il santuario è da riorganizzare e restaurare, il Convitto è in crisi gravissima. Con fatiche che non cesseranno mai, lui rivitalizza il santuario e fa rifiorire il Convitto, come quando vi insegnava il Cafasso.

Come il Cafasso, è un eccezionale formatore di caratteri, maestro di dottrina e di vita. Vede uscire dai seminari molti preti entusiasti di farsi missionari, ma ostacolati dalle diocesi, che danno volentieri alle missioni l’offerta, ma non gli uomini. E decide: i missionari se li farà lui. Fonderà un istituto apposito, ci ha già lavorato molto. Il suo progetto è apprezzato a Roma, ma poi ostacoli e contrattempi lo bloccano, per dieci anni. Pazientissimo, lui aspetta e lavora. Arriva poi il primo “sì” vescovile per il suo Istituto dei Missionari della Consolata nel 1901, e l’anno dopo parte per il Kenya la prima spedizione. Otto anni dopo nascono le Suore Missionarie della Consolata.

allamano1Lui sente però che sull’evangelizzazione bisogna scuotere l’intera Chiesa. E nel 1912, con l’adesione di altri capi di istituti missionari, denuncia a Pio X l’ignoranza dei fedeli sulla missione, per l’insensibilità diffusa nella gerarchia. Chiede al Papa di intervenire contro questo stato di cose e in particolare propone di istituire una giornata missionaria annuale, “con obbligo d’una predicazione intorno al dovere e ai modi di propagare la fede“. Declinano le forze di Pio X, scoppia la guerra nei BalcaniL’audace proposta cade.

Ma non per sempre: Pio XI Ratti realizzerà l’idea di Giuseppe Allamano, istituendo nel 1927 la Giornata missionaria mondiale. Lui è già morto, l’idea ha camminato. E altre cammineranno dopo, come i suoi missionari e missionarie (oltre duemila a fine XX secolo, in 25 Paesi di quattro Continenti). Da vivo, rimproverano a lui (e al suo preziosissimo vice, il teologo Giacomo Camisassa) di pensare troppo al lavoro “materiale”, di curare più l’insegnamento dei mestieri che le statistiche trionfali dei battesimi.

Lui è così, infatti: Vangelo e promozione umana, perseguiti con passione e con capacità.Fare bene il bene“: ecco un altro suo BEATO GIUSEPPE ALLAMANO2motto. I suoi li vuole esperti in scienze “profane”. E anche quest’idea camminerà fino al Vaticano II, che ai teologi dirà di “collaborare con gli uomini che eccellono in altre scienze, mettendo in comune le loro forze e i loro punti di vista” (Gaudium et spes). E lui, Giuseppe Allamano, che dal 7 ottobre 1990 sarà beato, ripete biblicamente ai suoi: “Il sacerdote ignorante è idolo di tristezza e di amarezza per l’ira di Dio e la desolazione del popolo“.

Per comprendere la profonda spiritualità missionaria di Giuseppe Allamano sono preziosi i suoi scritti.

« Prima santi poi missionari »

« Come Missionari poi, dovete essere non solo santi, ma santi in modo superlativo. Non bastano tutte le altre doti per fare un Missionario! Ci vuole santità, grande santità. I miracoli si ottengono non tanto con la scienza, quanto piuttosto con la santità »

« Ecco, o miei cari, la santità che io vorrei da voi: non miracoli ma far tutto bene. Farci santi nella via ordinaria. Il Signore, che BEATO GIUSEPPE ALLAMANO1ha ispirato questa fondazione, ne ha anche ispirate le pratiche, i mezzi per acquistare la perfezione e farci santi. Se Egli ci vorrà sollevare ad altre altezze, ci penserà Lui, noi non infastidiamoci.  Certa gente cerca sempre le cose grandi, straordinarie. Non è cercare Dio, perché Egli è tanto nelle cose grandi come nelle cose piccole; perciò bisogna star attenti a far tutto bene. I Santi sono santi non perché abbiano fatto del miracoli, ma perché bene omnia fecerunt.»

« Il bene fa poco rumore: il molto rumore fa poco bene. Il bene va fatto bene e senza rumore»

« Non dobbiamo semplicemente fare il bene: dobbiamo farlo con diligenza e nel miglior modo possibile. La pazienza va seminata dappertutto»

Fonti: http://www.santiebeati.it/dettaglio/41300https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Allamano

 

 

SANTA MARGHERITA D’OINGT

SANTA MARGHERITA D’OINGT 

mistica religiosa dell’Ordine certosino (1240 –1310) 11 febbraio

SANTA MARGHERITA D’OINGT2Marguerite d’Oingt è una delle prime poetesse delle quali si abbia traccia in Francia. Benedetto XVI di lei disse: « Margherita ci invita a meditare la vita di dolore e amore di Gesù e di Maria e a dare così un senso alla nostra esistenza », ovvero « mettere la nostra vita al servizio di Dio e degli altri »

Margherita d’Oingt è nata probabilmente nel 1240 e morta nel 1310, discendente della potente famiglia dei d’Oingt della Beaujolais, estinta nel 1382 in mancanza di eredi maschi. Anche la madre si chiamava Margherita e aveva due fratelli – Guiscardo e Luigi – e tre sorelle: Caterina, Isabella e Agnese. Quest’ultima la seguirà in monastero, nella Certosa, succedendole poi come priora. Dai suoi scritti possiamo intuire che la sua infanzia sia trascorsa tranquilla, in un ambiente familiare affettuoso. Infatti, per esprimere l’amore sconfinato di Dio, ella valorizza molto immagini legate alla famiglia, con particolare riferimento alle figure del padre e della madre. In una sua meditazione prega così:

Bel dolce Signore, quando penso alle speciali grazie che mi hai fatto per tua sollecitudine: innanzi tutto, come mi hai custodita fin dalla mia infanzia, e come mi hai sottratta dal pericolo di questo mondo e mi hai chiamata a dedicarmi al SANTA MARGHERITA D’OINGT1tuo santo servizio, e come mi hai provvista in tutte quelle cose che mi erano necessarie per mangiare, bere, vestire e calzare, (e lo hai fatto) in tal modo che non ho avuto occasione di pensare in tutte queste cose che alla tua grande misericordia” (Margherita d’Oingt, Scritti spirituali, Meditazione V, 100, Cinisello Balsamo 1997, p. 74)»

Celebre presso i contemporanei, Marguerite d’Oingt è stata una mistica, religiosa dell’Ordine certosino, contemporanea di Filippo il bello e Clemente V. Dal 1288 è la quarta priora della Certosa di Poleteins (vicino a Mionnay dans les Dombes), fondata da Marguerite de Bâgé nel 1238, della quale oggi rimane soltanto un edificio.

Le informazioni più precise circa questa santa ci sono giunte attraverso l’udienza generale del 3 novembre 2010 da Papa Benedetto XVI, che così elogiava le sue qualità: « Margherita ci invita a meditare la vita di dolore e amore di Gesù e di Maria e a dare così un senso alla nostra esistenza », ovvero « mettere la nostra vita al servizio di Dio e degli altri »

« A prima vista una certosina medioevale può apparire lontana da noi; ma se veniamo all’essenziale vediamo che tocca anche a noi il compito di arrivare al più profondo della nostra vita. Margherita ha considerato il Signore come un libro, uno specchio in cui appare anche la propria coscienza. La sua coscienza è stata pulita. Di questo abbiamo bisogno anche noi: lasciare entrare Gesù nella nostra coscienza perché sia illuminata e pulita. La spazzatura non è solo nelle strade. La spazzatura è anche nella nostra coscienza e nelle nostre anime e solo la forza e la luce del Signore ci dà la retta via: lasciamoci illuminare e pulire per imparare la vera vita »

margherita-doingt-certosa-di-san-martinoS’ignora esattamente a quale data – «entrò nella Certosa di Poleteins in risposta alla chiamata del Signore, lasciando tutto e accettando la severa regola certosina»

Il Papa dà la parola alla stessa santa che con parole eloquenti ricorda la sua chiamata alla vita monastica:

«“Dolce Signore, io ho lasciato mio padre e mia madre e i miei fratelli e tutte le cose di questo mondo per tuo amore; ma questo è pochissimo, poiché le ricchezze di questo mondo non sono che spine pungenti; e chi più ne possiede più è sfortunato. E per questo mi sembra di non aver lasciato altro che miseria e povertà; ma tu sai, dolce Signore, che se io possedessi mille mondi e potessi disporne a mio piacimento, abbandonerei tutto per amore tuo; e quand’anche tu mi dessi tutto ciò che possiedi in cielo e in terra, non mi riterrei appagata finché non avessi te, perché tu sei la vita dell’anima mia, né ho né voglio avere padre e madre fuori di te” (ibid., Meditazione II, 32, p. 59)» (ibid.).

Dal 1288 alla morte, nel 1310, Margherita esercita l’ufficio di priora della sua Certosa. A ulteriore smentita del luogo comune che vuole le donne del Medioevo generalmente ignoranti, «è una donna molto colta; scrive abitualmente in latino, la lingua degli eruditi, ma scrive pure in franco-provenzale e anche questo è una rarità: i suoi scritti sono, così, i primi, di cui si ha memoria, redatti in questa SANTA MARGHERITA D’OINGTlingua». Le sue opere principali sono la Pagina meditationum (1286), in latino, e lo Speculum sanctae Margarete (1294) – cui fu dato in seguito questo titolo latino, ma che la santa scrisse in franco-provenzale – dove racconta tre sue visioni. Negli ultimi anni vi aggiunse Li via Seiti Biatrix Virgina de Ornaciu, pure in franco-provenzale, dove racconta la vita della consorella beata Beatrice di Ornacieux (1250-1303).

Una donna di grande cultura, dunque. Ma la sua cultura non è fine a se stessa. Santa Margherita non dimentica, sottolinea Benedetto XVI, che ultimamente «Cristo è il Libro che va scritto, va inciso quotidianamente nel proprio cuore e nella propria vita, in particolare la sua passione salvifica» (ibid.). Ma in realtà fra cultura e vita, fra opera letteraria e opera della grazia nell’esperienza monastica, fra i tanti buoni libri – che è cosa buona leggere – e l’unico vero Libro non c’è contraddizione.

«Nell’opera Speculum, Margherita, riferendosi a se stessa in terza persona, sottolinea che per grazia del Signoreaveva inciso nel suo cuore la santa vita che Dio Gesù Cristo condusse sulla terra, i suoi buoni esempi e la sua buona dottrina. Ella aveva messo così bene il dolce Gesù Cristo nel suo cuore che le sembrava perfino che questi le fosse presente e che tenesse un libro chiuso nella sua mano, per istruirla” (ibid., I, 2-3, p. 81). “In questo libro ella trovava scritta la vita che Gesù Cristo condusse sulla terra, dalla sua nascita all’ascesa al cielo” (ibid., I, 12, p. 83)» (ibid.).

papa_ratzinger«Quotidianamente, fin dal mattino, Margherita si applica allo studio di questo libro. E, quando l’ha ben guardato, inizia a leggere nel libro della propria coscienza, che rivela le falsità e le menzogne della sua vita (cfr ibid., I, 6-7, p. 82); scrive di sé per giovare agli altri e per fissare più profondamente nel proprio cuore la grazia della presenza di Dio, per far sì, cioè, che ogni giorno la sua esistenza sia segnata dal confronto con le parole e le azioni di Gesù, con il Libro della vita di Lui. E questo perché la vita di Cristo sia impressa nell’anima in modo stabile e profondo, fino a poter vedere il Libro all’interno, ossia fino a contemplare il mistero di Dio Trinità (cfr ibid., II, 14-22; III, 23-40, p. 84-90)» (ibid.).

La catechesi di Benedetto XVI su santa Margherita diventa così una profonda riflessione sul ruolo rispettivo, nella vita spirituale, dei libri e dell’unico vero libro che è la conoscenza di Gesù Cristo, e sul rapporto fra cultura e spiritualità. Santa Margherita lascia «intuire l’ineffabile mistero di Dio, sottolineando i limiti della mente nell’afferrarlo e l’inadeguatezza della lingua umana nell’esprimerlo» (ibid.). Scrivere buoni libri è indispensabile. Ma alla fine ci sono cose che nessuna parola umana può esprimere.

letteraL’esperienza certosina in generale, e quella di Margherita in particolare, non è puramente contemplativa. Come priora, nota il Papa, la santa «mostra una spiccata attitudine al governo, coniugando la sua profonda vita spirituale mistica con il servizio alle sorelle e alla comunità. In questo senso è significativo un passo di una lettera a suo padre:

Mio dolce padre, vi comunico che mi trovo tanto occupata a causa dei bisogni della nostra casa, che non mi è possibile applicare lo spirito in buoni pensieri; infatti ho tanto da fare che non so da quale lato girarmi. Noi non abbiamo raccolto grano nel settimo mese dell’anno e i nostri vigneti sono stati distrutti dalla tempesta. Inoltre, la nostra chiesa si trova in così cattive condizioni che siamo obbligati in parte a rifarla” (ibid., Lettere, III, 14, p. 127)» (ibid.).

Benedetto XVI non manca di sottolineare che dagli scritti di santa Margherita traspare pure «un certo umorismo» (ibid.). La santa conosce il primato della grazia, ma parte sempre da una natura sana ed equilibrata: «valorizza l’esperienza degli affetti naturali, purificati dalla grazia, quale mezzo privilegiato per comprendere più profondamente ed assecondare con più prontezza e ardore l’azione divina. Il motivo risiede nel fatto che la persona umana è creata ad immagine di Dio, e perciò è chiamata a costruire con Dio una meravigliosa storia d’amore, lasciandosi coinvolgere totalmente dalla sua iniziativa» (ibid.).

SANTA MARGHERITA D’OINGT2C’è anche, afferma Benedetto XVI, un aspetto profondamente femminile – e materno – nella spiritualità di Margherita. «Ella afferma che la croce di Cristo è simile alla tavola del parto. Il dolore di Gesù sulla croce è paragonato a quello di una madre. Scrive:La madre che mi portò in grembo, soffrì fortemente, nel darmi alla luce, per un giorno o per una notte, ma tu, bel dolce Signore, per me sei stato tormentato non una notte o un giorno soltanto ma per più di trent’anni […]; quanto amaramente hai patito a causa mia per tutta la vita! E allorché giunse il momento del parto, il tuo travaglio fu tanto doloroso che il tuo santo sudore divenne come gocce di sangue che scorrevano per tutto il tuo corpo fino a terra” (ibid., Meditazione I, 33, p. 59)» (ibid.).

E, naturalmente, questa spiritualità non può che essere anche mariana. «Riferendosi a Maria [la santa] afferma: “Non c’era da meravigliarsi che la spada che ti ha spezzato il corpo sia anche penetrata nel cuore della tua gloriosa madre che tanto amava sostenerti […] poiché il tuo amore è stato superiore a tutti gli altri amori” (ibid., Meditazione II, 36-39.42, p 60s)» (ibid.).

L’insegnamento di santa Margherita è importante anche per noi oggi. Con un riferimento di attualità, Benedetto XVI così ha concluso: «La spazzatura non c’è solo in diverse strade del mondo. C’è spazzatura anche nelle nostre coscienze e nelle nostre anime. È solo la luce del Signore, la sua forza e il suo amore che ci pulisce, ci purifica e ci dà la retta via. Quindi seguiamo santa Margherita in questo sguardo verso Gesù. Leggiamo nel libro della sua vita, lasciamoci illuminare e pulire, per imparare la vera vita» (ibid.).

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Margherita_d%27Oingthttp://www.santiebeati.it/dettaglio/95366

 

BEATA MADRE SPERANZA DI GESÙ

BEATA MADRE SPERANZA DI GESÙ

Religiosa, mistica e fondatrice (1893-1983) 8 febbraio

Madre SperanzaMadre Speranza di Gesù, al secolo María Josefa Alhama Valera è la fondatrice delle Congregazioni delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso. Nel Santuario da lei voluto, insieme al Crocifisso si venera la Madonna con il titolo di Maria Mediatrice  e qui sembra sgorgare un’acqua miracolosa che ha trasformato Collevalenza nella Lourdes italiana. 

María Josefa Alhama Valera nacque nel 1893 a Santomera, nella regione di Murcia (Spagna), da una famiglia indigente, primogenita di nove figli. Il nome María Josefa le sarebbe stato dato per riguardo alla nonna paterna che così si chiamava. Il padre era operaio agricolo avventizio e la madre casalinga. Madre Speranza conobbe e condivise la povertà della sua famiglia.

Si racconta che tale Pepe Ireno, che aveva un podere vicino alla famiglia di Madre Speranza, colpito dall’intelligenza della bambina, pensò che era un peccato lasciarla in tanta povertà e convinse i genitori ad affidarla al parroco di Santomera, don Manuel Aliaga, che viveva con due sorelle. Questi fu lieto di portarla a casa sua, dove avrebbe potuto ricevere una buona educazione. Il trasferimento avvenne quando la bambina aveva circa 6 o 7 anni.

Le due sorelle del parroco, Inés e María, aiutate da María De Las Maravillas Fernández Serna e da una sua sorella religiosa, Carmen, diedero a María Josefa un po’ di istruzione e le insegnarono i lavori domestici. Non frequentò mai la scuola e rimase a casa del parroco fino al 15 ottobre 1914, giorno in cui partì per farsi religiosa.

madre speranza2All’età di dodici anni fece la comunione, come era abituale in quell’epoca. Ma già a otto anni, ricorrendo a uno stratagemma, riuscì, come ella stessa disse, a “rubare” Gesù. Infatti una mattina, mentre il parroco era assente, approfittando del fatto che il sacerdote celebrante non la conosceva, al momento della comunione si avvicinò alla balaustra e ottenne l’ostia consacrata. Questo episodio, pur nella sua ingenuità, dimostra l’amore che Madre Speranza aveva per Gesù fin da bambina, tanto che fin da allora si propose di non dimenticarlo mai durante la giornata.

Dopo essere entrata a far parte, all’età di 21 anni, della Congregazione delle “Figlie del Calvario” a Villena, nel 1930 fondò a Madrid, quella che sarebbe diventata la Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. In seguito, negli anni ’50, fondò il ramo maschile della congregazione, con il nome di Figli dell’Amore Misericordioso, e nel 1951 si stabilì a Collevalenza con alcune delle “Ancelle dell’Amore Misericordioso”, la congregazione dal lei iniziata a Madrid nel 1930, per trascorrere colà poi il resto della sua vita, dove in seguito nacque grazie alla sua opera una basilica-santuario.

Madre Speranza, dagli anni cinquanta, cominciò a realizzare il progetto che per lei rappresentava la volontà di Dio: la costruzione di un santuario dedicato all’Amore Misericordioso di Dio, al quale dedicò la sua vita. Questa fu la sua missione e la sua opera definitiva. Volle in questo luogo “far conoscere a tutti che Dio è un Padre che ama, perdona, dimentica e non tiene in conto i peccati dei suoi figli quando li vede pentiti“. Nel santuario riceveva ogni giorno più di cento persone, ascoltando e infondendo speranza a ciascuno.

madre-speranza-1Compose per questo scopo un’orazione, dove diceva tra l’altro: “Fa, Gesù mio, che a questo Santuario vengano persone dal mondo intero, non solo con il desiderio di guarire nel corpo dalle malattie più dolorose e strane, ma per curare la propria anima…e fa, Gesù mio, che tutti vedano in Te non un giudice severo ma un Padre pieno di amore e di misericordia che non tiene in conto le debolezze dei suoi figli, le dimentica e le perdona“.

Il 22 novembre 1981 papa Giovanni Paolo II si recò i visita al santuario, incontrando anche Madre Speranza. L’anno successivo il santuario ottenne il riconoscimento di Basilica minore. Durante un’udienza svoltasi a Roma nel 1981, papa Giovanni Paolo II si espresse con queste parole nei confronti di Madre Speranza e delle sue “ancelle”:

« Il mondo è assetato, anche senza saperlo, della Misericordia divina e in questo mondo voi siete chiamati a porgere quest’acqua prodigiosa e risanatrice dell’anima e del corpo. »(Giovanni Paolo II, Roma, 1981)

Nel santuario da lei voluto, Madre Speranza visse fino al giorno della sua morte, avvenuta l’8 febbraio 1983. Il suo corpo, come aveva desiderato, riposa nella cripta del santuario stesso.

Il 23 aprile 2002 la Chiesa, dopo aver riconosciuto le sue virtù eroiche, l’ha proclamata venerabile. Il 5 luglio 2013, con il consenso di papa Francesco, il cardinale Angelo Amato ha emesso il decreto di beatificazione. Il rito di beatificazione è stato celebrato il 31 maggio 2014, presso il santuario di Collevalenza.

Il Santuario di Collevalenza

Il Santuario di Collevalenza è soprannominato la Lourdes italiana a motivo dell’acqua scaturita da un pozzo che Madre Speranza per richiesta di Gesù ha fatto scavare e delle conseguenti piscine.

madre mediatrice santuario collevalenzaA Collevalenza non si hanno due Chiese, superiore e inferiore, principale e secondaria, perché nell’unità compositiva architettonica esse sono in realtà tutt’unoLa luce penetra nella chiesa, come in un bosco, da tutti i lati; ha costituito nel progetto un elemento fondamentale, quasi fosse un’altro materiale, il materiale più prezioso: la luce.

Il Crocifisso accoglie con le sue grandi braccia spalancate, guarda serenamente ed esorta alla confidenza e alla fiducia. Raffigura il Cristo non nello spasimo della morte, ma nella regale crocifisso madre speranzaserenità di Colui che innalzato da terra vuole attirare tutti a Sè con la forza dell’amore.

Sulla sinistra del tempio è possibile raggiungere una Fontana. E’ l’acqua dell’Amore Misericordioso. Questa – oltre che alimentare le piscineè presa dai pellegrini come segno della grazia che estingue la sete del corpo e dello spirito. Il pozzo fu scavato per espressa volontà di Dio, attraverso Madre Speranza che ne indicò il luogo preciso. I lavori del pozzo furono terminati alla fine del 1960. Il pozzo è profondo 122 metri.

Parole ricevute dalla Madre Speranza durante un’estasi del 3 aprile 1960, aventi fin dall’intestazione un valore particolarmente ufficiale. Dice il testo:

Decreto. A quest’acqua e pozzo collevalenzaalle piscine va dato il nome del mio Santuario. Desidero che tu dica, fino ad inciderlo nel cuore e nella mente di tutti coloro che ricorrono a te, che usino quest’acqua con molta fede e fiducia e si vedranno sempre liberati da gravi infermità; e che prima passino tutti a curare le loro povere anime dalle piaghe che le affliggono per questo mio Santuario dove li aspetta non un giudice per condannarli e dar loro subito il castigo, bensì un Padre che li ama, perdona, non tiene in conto, e dimentica“…

La Cripta parzialmente interrata è dedicata a Maria Mediatrice e riceve luce e significato dalla Basilica che celebra l’Amore Misericordioso di Dio. Il grande quadro della Vergine è opera del pittore Elis Romagnoli. Riproduce Maria Mediatrice, col giglio sul petto e con le braccia aperte in atteggiamento di implorare misericordia dal suo divin Figlio. Maria ha accolto nel suo Cuore Immacolato Gesù, significato nell’Ostia posta nel giglioDietro l’atare, sempre nella Cripta si trova un sepolcro di Madre Speranza, che è morta in Collevalenza il giorno 8 febbraio 1983 all’età di quasi 90 anni.  La sua salma è stata tumulata in questa tomba il giorno 13 febbraio 1983.

Sito del Santuario http://www.collevalenza.it/Orario.htm

Novena dell’amore misericordioso dettata direttamente da Gesù secondo quanto riferito da Madre speranza scaricabile in pdf su http://www.collevalenza.it/LibriPdf/NovenaAM.pdf

 

Fonti: varie

 

 

Serva di Dio Nuccia di Tolomeo

SERVA DI DIO NUCCIA DI TOLOMEO

(1936-1997) 24 gennaio

NUCCIA DI TOLOMEOSessant’anni vissuti in modo semplice e ordinario, segnati da una forzata immobilità dovuta ad una paralisi progressiva e deformante fin dalla nascita. Trova in Gesù Crocifisso le motivazioni per cantare la vita.

 

Gaetania Tolomeo, da tutti conosciuta come Nuccia, è nata il 19 aprile 1936 a Catanzaro Sala (il 19 è la data anagrafica, in realtà è nata il 10 aprile di venerdì santo), ed ha vissuto per 60 anni, fino alla morte avvenuta il 24/01/1997, una vita semplice, ordinaria, costretta a una forzata immobilità per una paralisi progressiva e deformante fin dalla nascita. E’ stata sempre su una poltroncina o a letto in tutto dipendente dagli altri.

013a nuccia  -CUNEO 15 maggio 1944Educata cristianamente, ha maturato la coscienza del suo stato in una visione di fede e ha trovato in Gesù Crocifisso le motivazioni per cantare la vita. Regalava a chi l’andava a visitare una testimonianza di coraggio, di fortezza e un sorriso, che trovava nell’amore di Dio la sola giustificazione. Al suo angelo custode aveva dato il nome Sorriso. E il sorriso era diventato per lei il modo di essere. Soprattutto negli ultimi tre anni della sua vita, alle tante persone che le  telefonavano  o  le  scrivevano  da  tutta Italia raccontandole le loro miserie, lei offriva un ascolto empatico, inviava il suo angelo Sorriso, assicurava la sua preghiera e l’offerta della sua sofferenza, e infine incoraggiava a riporre nei Cuori di Gesù e Maria tutta la loro speranza.

Nuccia ha fatto parte dell’associazione Azione cattolica e della Milizia delle anime riparatrici del Cuore di Gesù; era entusiasta inoltre del movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito. Sacerdoti, suore Nuccia a Cuneo 8 anni con la massaggiatrice Giuseppinae laici impegnati nell’apostolato spesso andavano a trovarla. Aiutata e sostenuta da tali amici, nella sua diversa abilità, ha cercato di dare un senso alla sua vita. Viveva per gli altri, soprattutto per i sofferenti e i peccatori. “Voglio farli risorgere in Te, con il tuo amore. Voglio pregare molto e soffrire per tutti loro, perché sono sicura che, mentre io prego e soffro, Tu li guarisci e li liberi…”.

Pregava tanto, soprattutto col rosario che teneva permanentemente legato alla sua mano, con l’adorazione eucaristica, con la via crucis e la lettura della Parola di Dio.

Negli ultimi tre anni ha collaborato con Federico Quaglini, già conduttore di Radio Maria, nella trasmissione ‘Il fratello’ e nella rubrica ‘Beati gli ultimi’. I messaggi, che lei scriveva con cura e poi leggeva il sabato notte a Radio Maria, sono ancora oggi un vero tesoro di spiritualità e di mistica. Si rivolgeva a tutti, soprattutto ai fratelli reclusi, ai sofferenti nel corpo e nello spirito, alle prostitute, ai giovani delle discoteche, ai drogati, alle famiglie in difficoltà.

NUCCIA DI TOLOMEO2Il suo Testamento Spirituale è un vero vangelo di grazia.

“… La tua potenza d’amore, Signore, faccia di me un cantore della tua grazia, trasformi il mio lamento in gioia perenne: un inno alla vita, che vinca la morte e sia messaggio di speranza per molte anime tristi.

Il mio cuore esulta di gioia, se penso a Te, mio Dio. Ora è giunto il momento propizio per innalzarti la mia ultima preghiera, la più pura, quella della lode, ed invoco l’aiuto dello Spirito e di Maria Santissima per saperti lodare e ringraziare.

La mia ultima preghiera vuole essere un magnificat, un’esplosione d’amore e di gioia, per le meraviglie, che Tu, Signore, hai operato nella mia vita.

023c-nuccia-2-1964Questo canto gioioso sia anche per voi, miei buoni fratelli e sorelle, la vostra preghiera. Non piangete per la morte del corpo, ma per il peccato dell’umanità, e adoperatevi per la pace, attraverso la gioia e l’amore di Cristo Gesù.

Pregate e ringraziate il Signore, anche per me, perché Egli ha visitato la sua umile serva e l’ha trovata degna della sua grazia, della sua misericordia. Pregate così in memoria di me: Grazie, Signore, per il dono della vita, grazie, perché mi hai predestinato alla croce, unendomi a Cristo nel dolore e ai fratelli nel vincolo indissolubile dell’amore.

Grazie, Gesù, per aver trasformato il mio pianto in letizia, per esserti costituito mio buon cireneo, mio sposo e maestro, mio consolatore. Grazie per aver fatto di me il tuo corpo, la tua dimora, l’oggetto prezioso del tuo amore compassionevole, delle cure e dell’attenzione di tanti fratelli.

Grazie di tutto, Padre buono e misericordioso! Ti lodo, ti benedico e ti ringrazio per ogni gesto d’amore ricevuto, ma soprattutto per ogni privazione sofferta. Voglio ringraziarti in modo particolare per il dono dell’immobilità, che è stato per me una vera scuola di abbandono, di umiltà, di pazienza e di gratitudine, ed è stato per gli amici del mio Getsemani, esercizio di carità e di ogni altra virtù…”.

045a nuccia mamma e AnnalisaScrive la cugina Ida Chiefari nella biografia: “L’ansia evangelizzatrice di Nuccia era aumentata, era diventata ancora più forte, perché capiva che il Signore la usava come strumento per conquistare tanti fratelli a Cristo.Se non brucio d’amore, molti morranno di freddo!’, soleva dire. Nonostante le sue condizioni fisiche andavano sempre più peggiorando, neanche la sua sofferenza riusciva a frenare l’impeto della sua carità e il desiderio immenso di annunciare a tutti che Dio é amore misericordioso e compassionevole”.

[…]“Grazie, Infinita Carità, per avermi eletta vittima del tuo amore”.  Particolare non trascurabile: lei aveva frequentato solo fino alla quarta elementare. La profondità di certi concetti è legata al dono della sapienza da parte dello Spirito Santo.

La fama di santità di Nuccia e le sue opere sono state fatte oggetto di studio in più convegni diocesani su di lei, ad ognuno dei quali ha partecipato con attenzione e interesse Sua Ecc. l’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace Mons. Antonio Ciliberti, il quale il 16 luglio 2009 ha avviato l’inchiesta canonica sulla sua vita, sulle sue virtù eroiche e sulla fama e sui segni di NUCCIA DI TOLOMEO3santità. Tale inchiesta si è conclusa solennemente il 24 gennaio 2010, giorno del 13° anniversario della morte della serva di Dio.  Dal 1 novembre 2010 i suoi resti mortali riposano nella cappella del Crocifisso della chiesa del Monte di Catanzaro e sono meta di tanti devoti, che trovano in lei un motivo di conforto e di speranza.

Leggendo le opere di Nuccia, soprattutto il suo testamento spirituale, si colgono le stesse emozioni che si avvertono leggendo la “Storia di un’anima” di Santa Teresa di Lisieux. Sia Nuccia che Santa Teresa hanno fatto dell’amore crocifisso e obbediente il cuore della loro spiritualità.[…]

Sono Nuccia, ho 60 anni, tutti trascorsi su un letto; il mio corpo è contorto, in tutto devo dipendere dagli altri, ma il mio spirito è rimasto giovane. Il segreto della mia giovinezza e della mia gioia di vivere è Gesù. Alleluia”!

Autore: Padre Pasquale Pitari, vice postulatore

Preghiera per chiedere a Dio grazie rosa e la glorificazione di Nuccia

036 nuccia- (1963)Santissima Trinità, Ti adoriamo e Ti ringraziamo per averci dato la tua serva fedele Nuccia Tolomeo, sorella nella fede e sublime esempio di vita e di virtù cristiane.

Attraverso lei, ci hai regalato il sorriso e la tenerezza del tuo cuore paterno e materno e hai riproposto la partecipazione alla croce di Gesù come l’unica pedagogia che, con la forza dello Spirito, redime, salva e vivifica.

Aggrappata alla corona del Rosario di Maria completò, amò e visse con gioia nella sua carne i patimenti della croce di Cristo, suo sposo, a favore della chiesa.

In lei hai operato meraviglie, chiamandola ad essere, in Gesù, vittima di amore per l’umanità sofferente. Sul suo esempio, fa che anche noi ci spendiamo totalmente per il bene dei fratelli.

Concedici, per sua intercessione, secondo la tua volontà, la grazia che imploriamo…, e fa che presto sia annoverata nel numero dei tuoi santi. Amen.

Per approfondire: www.nucciatolomeo.it

Fontehttp://www.santiebeati.it/dettaglio/95264

 

Servo di Dio Felice di Gesù Rougier

Servo di Dio Felice di Gesù Rougier

Fondatore (1859 – 1938) 10 gennaio

Servo di Dio Felice di Gesù Rougier1“…Nello studio profondo del Vangelo, trovavo l’anima di Gesù, il suo cuore, i suoi pensieri, il suo amore al Padre, i suoi insegnamenti, la sua vita interiore. Quale fortuna essermi potuto dedicare completamente alla meditazione di quelle pagine divine per così tanto tempo!”.

Benedetto Felice Rougier nacque a Meilhaud (Francia) il 17 dicembre 1859; figlio di Benedetto Rougier e Luisa Ollanier, fece i suoi primi studi a Vieille-Brioude, dove viveva ospite del viceparroco, poi la scuola media dal 1874 al 1878 nel Seminario della Certosa di Le Puy, diretta dal clero diocesano.

Nell’ultimo anno della sua permanenza a Le Puy, venne a parlare ai giovani studenti, mons. Eloy, vescovo della Società di Maria e missionario in Oceania, per suscitare in loro la vocazione alla vita missionaria. Fra tutti i presenti, solo Benedetto Felice Rougier alzò la mano, e il 21 settembre 1878 iniziò il noviziato nella Società di Maria (Padri Maristi, fondati nel 1816 a Lione da J.C. Colin) e dopo il prescritto anno, trascorso nel fervore più intenso, fece la sua professione il 24 settembre 1879, prendendo il nome di Felice di Gesù.

Servo di Dio Felice di Gesù RougierStudiò filosofia a Belley e dal 1880 al 1882 fu professore a Toulon, e mentre si preparava al dottorato in filosofia, esplicò il compito di prefetto della disciplina, nel collegio di S. Maria a La Seyne-sur-Mer (1882-1884).

I ragazzi lo soprannominarono “Pionbete” che significa sorvegliante tonto. Félix scrisse nel suo Diario:

L’incarico di sorvegliante degli adolescenti mi ripugna molto. Me lo hanno prolungato per un anno ancora. Non reclamerò e farò in modo di apparire sempre contento. La Divina Provvidenza ha vegliato troppo su di me perché io possa dubitare che la sorveglianza degli adolescenti non sia un bene per me, almeno spiritualmente“.

Poi venne trasferito a Barcellona alla fine del 1884, a studiare teologia e il 24 settembre 1887 fu ordinato sacerdote a Lione. Purtroppo non poté realizzare il suo sogno di essere missionario in Oceania perché i suoi superiori lo nominarono professore di Sacra Scrittura nello scolasticato di Barcellona, compito che svolse egregiamente per quasi otto anni.

L’Oceania non la vide mai, ma a partire dal 14 luglio 1895, fu inviato in Colombia per iniziare una fondazione, della quale nel Servo di Dio Felice di Gesù Rougier11896 fu superiore e rettore del Collegio di S. Librada a Neiva. Ancora nel 1898 passò a ricoprire la carica di superiore della Comunità di Ibagué e quella di Rettore del collegio di S. Simon.

Se trascurate la lettura delle Scritture Divine, la vostra religiosità diventerà superficiale“, era solito ripetere.

Il suo fu un importante apostolato, che raggiunse tutti i livelli della società in Colombia, tanto da essere nominato per due volte, Vicario Generale del vescovo mons. Esteban Rojas, del quale godé illimitata stima.

A causa delle difficoltà causate dalla Guerra civile in Colombia, i padri Maristi, lasciarono il Paese e padre Felice di Gesù Rougier, fu trasferito in Messico, dove arrivò nel febbraio 1902 assumendo l’incarico di Superiore della parrocchia francese di Nostra Signora di Lourdes, che il suo Ordine aveva a Città del Messico. Per tre anni svolse diligentemente l’opera di promotore delle opere parrocchiali, pur osservando scrupolosamente la Regola della sua Comunità

Il 4 febbraio 1903 conobbe la Serva di Dio Concepción Cabrera de Armida (1862-1937) e tramite di lei, ricevette l’ispirazione di fondare i “Missionari dello Spirito Santo. Appoggiato dai vescovi messicani, ritornò in Francia per chiedere ai Superiori dell’Ordine dei Maristi, il loro permesso di realizzare questa sua ispirazione.

Ma il Superiore Generale non concesse l’autorizzazione e lo mandò prima a Barcellona e poi a Saint-Chamoud nei pressi di Lione; visse così altri dieci anni di attesa, con spirito di profonda umiltà ed obbedienza. Poi i Superiori diedero il loro permesso per un periodo di due anni e quindi padre Felice di Gesù, tornò in Messico, dove il 25 dicembre 1914 fondò a Città del Messico, la Congregazione dei “Missionari dello Spirito Santo.

Ebbe in seguito proroghe biennali e di cinque anni, finché ricevette l’autorizzazione definitiva di passare alla nuova Congregazione, facendo i voti il 28 marzo 1926. Da allora si dedicò completamente allo sviluppo dell’Istituzione e alla opportuna formazione dei religiosi; il decreto ufficiale di approvazione fu ottenuto il 12 dicembre 1931.

Servo di Dio Felice di Gesù RougierNon si fermò lì, ma fondò anche tre Congregazioni femminili: Le “Figlie dello Spirito Santo, dedite all’educazione dei giovani ed a suscitare vocazioni religiose e sacerdotali; le “Missionarie Catechiste Guadalupe dello Spirito Santo” per l’evangelizzazione dei messicani; le “Oblate di Gesù Sacerdote” per il servizio dei sacerdoti e seminaristi.

Morì a Città del Messico il 10 gennaio 1938 e le sue spoglie riposano nella Chiesa di S. Filippo. La diocesi della capitale, grata per la dedizione che diede al popolo messicano, perpetuata dalle sue Congregazioni, iniziò il processo diocesano il 23 settembre 1955 e dal 1981 la Causa per la sua beatificazione, procede a Roma presso la Congregazione dei Santi.

Per approfondimenti vedi: http://www.apcross.org/felixdejesusit/it04.htm

Fonte: http://www.santiebeati.it/dettaglio/91982

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BEATA MARIA TERESA DEL SACRO CUORE

BEATA MARIA TERESA DEL SACRO CUORE

fondatrice (1782-1876) 7 gennaio

BEATA MARIA TERESA DEL SACRO CUOREProbabilmente è la beata più longeva della storia della santità della Chiesa Cattolica, infatti morì a 99 anni. Fondò la congregazione ‘Figlie della Santa Croce di Liegi’ con lo scopo di organizzare le scuole private, l’assistenza alle carceri, agli ospedali più poveri, alle missioni.

Al secolo, Giovanna Haze, nacque a Liegi, in Belgio, in un anno incerto (1782 secondo il dizionario degli Istituti di Perfezione; 1777 secondo la Bibliotheca Sanctorum, per cui sarebbe morta a 99 anni).

Nata in una famiglia benestante e molto religiosa, suo padre era impiegato alla segreteria arcivescovile di Liegi, una città francofona del Belgio, capoluogo dell’omonima provincia. Dotata di intelligenza precoce, a quattro anni sapeva già leggere correntemente, perchè papà, professore di Lettere, dedica il suo tempo libero ad istruire i suoi sette figli. La mamma frequenta abitualmente un monastero cistercense, e lei si sente irresistibilmente attratta verso la vita religiosa e quella claustrale in particolare. Il suo gioco preferito è vestirsi da suora e mettersi a capo di un gruppetto di bambine vestite come lei, per ripetere in assoluta fedeltà i riti che ha visto celebrare in monastero. 

BEATA MARIA TERESA DEL SACRO CUORE1Nel 1794 a causa della Rivoluzione francese, per l’avanzata dell’esercito rivoluzionario in Belgio e la deposizione del principe-vescovo di cui il papà è segretario la sua famiglia è ovviamente la più esposta alla furia rivoluzionaria e così cerca riparo in Germania.  L’anno successivo il padre morì e il loro beni vennero tutti confiscani. Poco dopo muore anche la madre. Giovanna aveva diverse sorelle che si sposarono, mentre lei e Fernanda divennero religiose, sebbene durante e dopo la Rivoluzione fosse impossibile trovare un ordine in cui professare, per via delle leggi anticlericali. Diventano così “monache in casa”: insieme, disertano le riunioni famigliari, si negano anche i più innocenti passatempi, non escono più di casa se non per andare a messa, al punto che la gente finisce per ribattezzarle “le solitarie”. Questo loro estraniarsi dal mondo non sembra essere la volontà di Dio: ne sono pienamente convinti sia il loro parroco che il loro padre spirituale, che le spingono ad dirigere ed insegnare nella scuola parrocchiale a pagamento. .

E’ un periodo buio per il Belgio, assoggettato al dominio dei Paesi Bassi: non c’è libertà di insegnamento e questa è una delle poche scuole legalmente autorizzate; ma è semideserta perché a pagamento. Va invece a gonfie vele l’annesso laboratorio di ricamo, perché gratuito. Partono da questa considerazione le due sorelle, che intanto, si sono infervorate al nuovo lavoro, e propongono al parroco di aprire una scuola gratuita. Il parroco è d’accordo e la scuola decolla: non ha le autorizzazioni legali, ma è zeppa di bimbi, dietro ciascuno dei quali c’è una storia di miseria, di povertà morale e di disagio sociale.

BEATA MARIA TERESA DEL SACRO CUORENel 1830 il Belgio acquistò l’indipendenza dall’Olanda, fu restaurata la libertà per gli ordini religiosi e la beata Giovanna Haze decise di fondare una nuova Congregazione a cui diede il nome di ‘Figlie della Santa Croce di Liegi’, che iniziò la sua attività il 1° agosto 1832, con lo scopo di organizzare le scuole private, l’assistenza alle carceri, agli ospedali più poveri, alle missioni.

Prese il nome di Maria Teresa del Sacro Cuore e governò la sua Opera per oltre quarant’anni. L’istituto dedito all’educazione delle giovani, alla cura degli infermi e all’evangelizzazione, durante la vita di lei si diffuse in Germania (1851), India (1862) e Inghilterra (1863).

Uno dei suoi motti spirituali, che l’accompagnarono tutta la vita fu: “Il Signore presenta la Croce con una mano e la consolazione con l’altra”.

Nessuno però si accorse della tempesta che si agitava nel suo cuore, perseguitato da una spaventosa “notte dello spiritoda cui si salvò con la preghiera e con una illuminata direzione spirituale.

Morì a Liegi e fu sepolta nel cimitero di Chénée; la Congregazione si estese subito in Congo Belga, Irlanda, e, nel 1958 Stati Uniti. Attualmente conta circa millecinquecento religiose in centotredici case. La causa di beatificazione fu introdotta nel 1911, ed a seguito di un miracolo attribuito alla sua intercessione e approvato il 22 gennaio 1991, è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II il 21 aprile 1991.

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler;  http://www.santiebeati.it/dettaglio/90915

VENERABILE ANDREA BELTRAMI

VENERABILE ANDREA BELTRAMI

Sacerdote (1870-1897) 30 dicembre

Beltrami_Andrea_1-1Un vero salesiano che ha avuto la grazia di conoscere Don Bosco e come San Domenico Savio, desiderava farsi santo. Un’innamorato di Gesù Eucarestia si offre vittima, per la santificazione dei sacerdoti e per gli uomini del mondo intero.

Nacque a Omegna (Novara), sulle rive del Lago d’Orta, in un paesaggio incantevole, il ven. Andrea Beltrami, il 24 giugno 1870. Il piccolo crebbe in una famiglia cristiana, esuberante e felice, appassionandosi alle barcheggiate sul lago e alle ascensioni sui monti con una vitalità eccezionale. A scuola, era tra i primi e nella parrocchia si distingueva per la sua fede sicura e disinvolta. Il suo parroco fu la sua prima guida spirituale. Dal giorno della Prima Comunione, ricevuta a 10 anni, ogni settimana c’era per Andrea la Confessione, e la Comunione si faceva sempre più frequente. Con l’aiuto dei genitori, diventò un adolescente sveglio e limpido nella vita.

VENERABILE ANDREA BELTRAMIAl termine delle elementari continua  gli studi a Lanzo, nel primo istituto salesiano fondato da Don Bosco, fuori Torino. , a contatto dei suoi buoni maestri, si innamorò di Gesù sempre più intensamente. Quando tornava ad Omegna in vacanza, continuava le gite sul lago e sui monti, ma ai suoi capitava spesso di trovarlo prostrato, nella sua stanzetta o in chiesa, come in estasi davanti al Tabernacolo. Non aveva che 15 anni: un adolescente eucaristico!

A Lanzo, un giorno ebbe la grande fortuna di incontrare Don Bosco e, rimastone affascinato, gli nacque dentro una domanda: “Perché non potrei essere anch’io come lui? Perché non spendere anch’io la vita per la formazione e la salvezza dei giovani?”. Nel 1885, Don Bosco gli disse: “Andrea, diventa anche tu salesiano!”. Nei mesi successivi, Don Bosco giunse a dire: “Come lui ce n’è uno solo!”. Così, mentre mamma piange e papà è fermamente contrario, alla fine prevale la fede e mamma, accompagnandolo dai salesiani di Foglizzo, raccomanda al maestro dei novizi: “Ne faccia un santo”.   Il 29 ottobre 1886, Andrea iniziava a Foglizzo l’anno di noviziato, con un proposito:Voglio farmi santo”. Il 2 ottobre 1887, a Valsalice (Torino) Don Bosco riceveva i voti religiosi di Andrea: era diventato salesiano e intraprese subito gli studi per prepararsi al sacerdozio.

Beato Augusto Czartoryski

Beato Augusto Czartoryski

In quei giorni, a Valsalice, stava compiendo gli studi verso la medesima meta, il principe polacco Augusto Czartoriski, con il quale Andrea si legò d’amicizia. Don Augusto si spegnerà nel 1893 Andrea dirà di lui:Ho curato un santo”. A Valsalice, Andrea continuava gli studi teologici e intanto si iscriveva alla Facoltà di Lettere a Torino e nel medesimo tempo faceva scuola di latino e greco ai compagni più giovani… Il 20 febbraio 1891, una violenta emorragia rivelava che era stato anche lui colpito dalla tisi, allora quasi sempre inguaribile.

Rimase sereno, ponendosi un solo problema: “Potrò essere ordinato sacerdote?”. I superiori, in attesa del miracolo, gli ottennero dal Papa Leone XIII le dispense necessarie per salire l’altare, pur non avendo terminato gli studi. L’8 febbraio 1893, Andrea Beltrami, nelle “camerette” di Don Bosco a Valdocco, fu ordinato sacerdote dal Vescovo salesiano Mons. Giovanni Cagliero. Da quel giorno, la sua vita ebbe come scenario le quattro pareti della sua stanzetta a Valsalice, tra letto, scrittoio e altare. Malato “di professione”, si fece un orario di Don_Andrea_Beltrami_Salesianolavoro e di preghiera, entrando sempre più nel mistero della Croce di Cristo: “Il Signore mi vuole sacerdote e vittima: che c’è di più bello? Sono contento di questa malattia, persuaso che soffrire e pregare sia più utile per me e per la Congregazione, che lavorare…”.

La sua giornata iniziava con la Santa Messa, in cui egli univa le sue sofferenze al Sacrificio di Gesù ripresentato sull’altare. La meditazione diventava contemplazione. Il Breviario, il Rosario alla Madonna: un vero colloquio di amore con Gesù. Quando non era tormentato dalla febbre, Don Andrea studiava: la teologia cattolica, i moralisti, la storia della Chiesa, la Sacra Scrittura, le opere di Santa Teresa, di Sant’Alfonso, di San Francesco di Sales

Dalla sua scrivania, uscirono una dopo l’altra le biografie di Santa Margherita Alacoque, di San Benedetto, di San Francesco d’Assisi, di Santa Liduina (modello dei malati), di San Stanislao Kostka… e poi studi storici, opere teatrali, traduzioni critiche delle opere di San Francesco di Sales.

VENERABILE ANDREA BELTRAMI1Prima di scrivere – diceva – prego a lungo Maria SS.ma, Sede della Sapienza, e lo Spirito Santo a volermi illuminare e fecondare ogni parola affinché possa penetrare i cuori e fare del bene alle anime“. Un vero apostolo della penna.

Ma la sua vocazione più vera era la preghiera e la sofferenza: essere vittima sacrificale con la Vittima divina che è Gesù. Lo rivelano i suoi scritti luminosi e ardenti: “È pur bello nelle tenebre, quando tutti riposano, tenere compagnia a Gesù, alla tremula luce della lampada davanti al Tabernacolo. Si conosce allora la grandezza infinita del suo amore”.

Chiedo a Dio lunghi anni di vita per soffrire ed espiare, riparare. Io sono contento e faccio sempre festa perché lo posso fare. Né morire né guarire, ma vivere per soffrire. Nella sofferenza sta la mia gioia, la sofferenza offerta con Gesù in croce”. “Mi offro vittima con Lui, per la santificazione dei sacerdoti, per gli uomini del mondo intero”.

A Valsalice, Don Andrea era di esempio a tutti: un giovane chierico, Luigi Variara (di Viarigi, Asti), lo scelse come modello di vita: diventerà sacerdote e missionario salesiano in Colombia e fonderà, ispirandosi a Don Beltrami, la Congregazione delle Figlie dei Sacri cuori di Gesù e Maria.

Beltrami_Andrea_1-1Dalla sua stanzetta, Don Andrea, sempre più fragile, pensava pure a essere in qualche modo apostolo tra i giovani. Propose all’amico Don Aureli la fondazione di un circolo cattolico che unisse la cultura e l’educazione alla fede. Nacque così il “circolo Cesare Balbo”, che avrà tra i suoi soci Pier Giorgio Frassati.

Veniva modellandosi, Don Andrea, sempre più a immagine di Gesù, “abbandonandomi, come diceva, interamente alla direzione di Maria Ausiliatrice”. Il 20 febbraio 1897, festeggiò il suo sesto anniversario di malattia… Fu un anno difficile, ma il suo volto esprimeva la gioia del Paradiso ormai vicino.

Nella notte tra il 29 e il 30 dicembre 1897, sentì che Gesù veniva a prenderlo. Si alzò, vestì la talare più bella, poi da solo “si compose” sul letto, con il Crocifisso tra le mani, e attese sereno la sua venuta. Si spense al mattino, baciando il Crocifisso, a 27 anni di età e cinque di sacerdozio.

Tre mesi prima, il 30 settembre 1897, per la stessa malattia, era morta a 24 anni, nel Carmelo di Lisieux, Santa Teresa di Gesù Bambino. Davvero fratello e sorella in Cristo, Don Andrea e Teresa: uguale l’ideale e la VENERABILE ANDREA BELTRAMIchiamata, l’unione con Gesù sul Calvario per la gloria del Padre e la salvezza del mondo. Teresa è santa, Don Variara e Don Czartoryski sono “beati”, Don Andrea, già “venerabile”, quando sarà santo?

E il Servo di Dio Andrea Beltrami ci ha lasciato una breve pagina del suo diario intimo che è un piccolo programma di vita vissuta in Comunione spirituale ininterrotta con Gesù Eucaristico. Ecco le sue parole: «Ovunque mi trovi, penserò sovente a Gesù in Sacramento. Fisserò il mio pensiero al S. Tabernacolo anche quando mi svegliassi di notte, adorandolo da dove mi trovo, chiamando Gesù in Sacramento, offrendogli l’azione che sto facendo. Stabilirò un filo telegrafico dallo studio alla Chiesa, un altro dalla camera, un terzo dal refettorio; e manderò più sovente che mi sarà possibile dei dispacci d’amore a Gesù in Sacramento».

Fonti: http://www.santiebeati.it/dettaglio/90081; http://biscobreak.altervista.org/2015/04/comunione-spirituale/

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SAN GASPARE DEL BUFALO

SAN GASPARE DEL BUFALO

Sacerdote (1786-1837) 28 dicembre

 san gaspare del BufaloIstituì una confraternita dedicata al Preziosissimo Sangue di Gesù, per attirare l’attenzione del popolo sul potere di redenzione del sangue di Cristo. Convertí intere logge massoniche e non si stancò di mettere in guardia il popolo contro la loro propaganda satanica.

San Gaspare nacque a Roma il 6 gennaio 1786 da Antonio ed Annunziata Quartieroni, fin dai primi anni si fece notare per una vita dedita alla preghiera e alla penitenza. Dato che nacque il giorno Xsa-89-03 Vita di S. San GASPARE del BUFALO GUARISCE DA GRAVE MALATTIA AGLI OCCHIdella festa dell’Epifania, gli venne dato il nome di uno dei tre Magi e fu battezzato il giorno successivo. Era di famiglia modesta.

All’età di sette anni scappò da scuola per andare a convertire i pagani e conquistare la gloria del martirio. Studiò nel Collegio Romano, antica scuola della Compagnia di Gesù, a quel tempo gestito dal clero secolare a causa della soppressione dei gesuiti. All’età di dodici anni ricevette la tonaca di seminarista minore, e presto cominciò ad assistere spiritualmente e materialmente i poveri occupandosi anche della rinascita dell’Opera di S. Galla, di cui fu eletto direttore nel 1806. Venne ordinato sacerdote il 30 luglio 1808 e intensificò la propria opera di assistenza ai poveri, specializzandosi nell’evangelizzazione dei carrettieri e contadini della campagna romana, che avevano i loro depositi di fieno nel Foro Romano, chiamato allora Campo Vaccino, conosciuti come barozzari.

Nella chiesa di S. Nicola in Carcere a Roma, è conservata una piccola reliquia, un pezzo della veste del centurione Longino, macchiata del sangue di Gesù. Nel 1808 l’amico di Gaspare, Francesco Albertini, istituì una confraternita dedicata al Preziosissimo Sangue di Gesù, sia per onorare la reliquia, sia per attirare l’attenzione del popolo sul potere di redenzione del sangue di Cristo.

Nel 1809 Napoleone conquistò Roma e iniziò a introdurre in Italia Xsa-89-12 Vita di S. San GASPARE del BUFALO FEDELE AL PAPA PIO VII RIFIUTA NAPOLEONEmisure severe contro la Chiesa. Nella notte dal 5 al 6 luglio 1809 Pio VII fu fatto prigioniero e deportato. A tutto il clero romano fu richiesto di sottoscrivere un giuramento di fedeltà a Napoleone, che significava abiurare quello prestato alla Santa Sede. La maggioranza, incluso Gaspare, rifiutò e fu esiliata da Roma.

Gaspare fu prima deportato a Piacenza, il 13 luglio 1810, e successivamente imprigionato a Bologna, Imola e Lugo. Sopportò la prigione per quattro anni, pensando nel frattempo con Abertini, alle possibili azioni da intraprendere una volta rilasciati, per ripristinare l’autorità della Chiesa. Quando nel 1814 Napoleone fu sconfitto. Gaspare fu trasferito in prigione in Corsica, ma poco dopo riportato in Italia e rilasciato a Firenze. Tornò a Roma e si mise al servizio del papa.

Pio VII gli affidò il compito di dedicarsi al ministero della predicazione volto a ripristinare in Italia la religione e la moralità, visto che il paese era stato privato per cinque anni di sacerdoti e sacramenti. Lasciò Roma e la famiglia per dedicare il resto della sua vita a questo grande scopo. Concentrandosi sulla devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù, si lanciò in un programma di missioni per combattere il paganesimo diffuso e riconciliare il popolo alla fede.

Nel fare ciò, esaudì la richiesta di suor Agnese del Verbo Incarnato, che nel 1810 aveva detto al direttore spirituale di Gaspare che un sacerdote zelante sarebbe riuscito a scuotere il popolo dalla sua indifferenza grazie alla sua devozione per il Preziosissimo Sangue. Ad ogni modo, nel 1814 Gaspare, al termine di un’omelia pronunciata a Giano, nella diocesi di Spoleto, decise di fondare una congregazione di missionari devoti al Preziosissimo Sangue.

Fu appoggiato attivamente dal suo amico cardinale Cristaldi e da papa Pio VII, che gli donò una casa e l’adiacente chiesa di S. Felice, dove si stablì la congregazione, formalmente approvata dal pontefice il 15 Xsa-89-16 Vita di S. San GASPARE del BUFALO ACCETTA L'INVITO DI PAPA PIO VIIagosto 1815, festa dell’Assunzione. Gaspare era molto devoto della “Madonna del Calice e durante le sue missioni portava sempre con sè una sua immagine. Il futuro papa Pio IX (1846-1878) fu uno dei primi membri della congregazione e la sua enciclica Redempti sumus, pubblicata nel 1849, diede un impulso universale alla devozione per il Preziosissimo Sangue. Il secondo convento fu fondato nel 1819 e un terzo subito dopo, ad Albano, vicino  Roma. L’ambizione di Gaspare era quella di fondare un monastero in ogni diocesi d’Italia, scegliendo le città più abbandonate o degradate. Nel 1821 il papa gli scrisse personalmente chiedendogli di istituirne sei nel regno di Napoli. Gaspare rispose energicamente a tale richiesta, ma di nuovo incontrò difficoltà e resistenze nella raccolta di fondi.

Napoli, lo Stato Pontificio e la maggior parte del resto d’Italia a quel tempo erano preda dei briganti, una volta partigiani che lottavano contro l’occupazione francese, ora fuorilegge che vivevano nascosti sulle montagne da cui partivano solo per saccheggiare le città, portare a temine le loro vendette e compiere atti di violenza e crimini di ogni genere. I papi successivi, Pio VII, Leone XII e Pio VIII, provarono invano a contrastare questo flagello, Leone XII , che inizialmente era stato molto meno zelante rispetto al suo predecessore, infine affidò a Gaspare una missione specifica presso i briganti: Xsa-89-61 Vita di S. San GASPARE del BUFALO A FORLIMPOPOLI SICARIO CON PUGNALEarmato unicamente del Vangelo, ottenne qualche risultato nel ridurre le loro scorribande nella zona circostante a Roma.

Le sue missioni ebbero un effetto favorevole un po’ in tutta l’Italia. I suoi metodi sensazionali, simili a quelli impiegati precedentemente dal B. Bartolomeo Dal Monte (24 dicembre), lo stavano esaurendo fisicamente ed emotivamente. Il passionista S. Vincenzo Strambi (25 set.), che lo accompagnò in diverse missioni, lo descrisse come un “terremoto spirituale“. Sostenne con straordinario coraggio la lotta accanita che gli mossero le società segrete, in particolare la massoneria. Ma nonostante le loro minacce e gli attentati alla sua stessa vita, non cessò mai di predicare apertamente contro tali sette, fucine di rabbioso laicismo ateo; convertí intere logge massoniche e non si stancò di mettere in guardia il popolo contro la loro propaganda satanica, guadagnandosi il titolo di “martello dei settari”.

Nel 1834, con la collaborazione della B. Maria dei Mattias (20 ago) da lui scelta personalmente per tale compito, fondò la Congregazione delle suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue. Pronunciò la sua ultima omelia nella Chiesa Nuova a Roma nel 1836, durante un’epidemia di colera.

Xsa-89-34 Vita di S. San GASPARE del BUFALO FLAGELLANDOSI DURAMENTE OTTIENE CONVERSIONE DI PECCATORELa salute, che era sempre stata carente, lo stava ormai abbandonando e l’anno successivo si ritirò per diversi mesi ad Albano; tornò a Roma dopo la festa di S. Francesco Saverio (3 dic) sapendo che ormai era giunto alla fine dei suoi giorni. Morì il 28 dicembre 1837 in una stanza di Palazzo Orsini. S. Vincenzo Pallotti (22 gen) fondatore romano dei pallottini, riferì di aver visto la sua anima, sotto forma di stella luminosa, salire in paradiso ed essere accolta da Gesù.  

Presto la sua fama si diffuse al di fuori dell’Italia, specialmente in Francia, dove Francoise De Maistre, figlia del governatore di Nizza e nipote dello scrittore Joseph De Maistre, guarì per sua intercessione; Gaston de Séjur scrisse molte opere e tenne molte conferenze su di lui, e Pietro Giuliano Eymard (1 ago), fondatore dei padri del SS. Sacramento, contribuì a diffonderne il culto ispirandosi a lui costantemente.

Gaspare del Bufalo venne beatificato da papa S. Pio X il 18 diembre 1904 e canonizzato da papa Pio XII il 12 giugno 1954 in piazza S. Pietro. Le sue reliquie sono conservate nella chiesa di S. Maria in Trivio a Roma. Nel discorso conclusivo del sinodo romano del gennaio 1960, papa Giovanni XXIII lo ha definito”gloria eccelsa del clero romano, il vero e più grande apostolo devoto al Preziosissimo san gaspare del Bufalo1Sangue di Gesù del mondo“. Originariamente veniva commemorato liturgicamente il 29 dicembre, dal 1962 il 21 ottobre, data in cui viene ricordato ancora dalla sua congregazione, ma qui lo ricordiamo nella data esatta della sua morte.

Patrono della città di Sonnino (LT), patria del Brigantaggio, che Gaspare salvò dalla completa distruzione.

Preghiera di S.Gaspare del Bufalo al Prez.mo Sangue

O Piaghe, o Sangue prezioso del mio Signore, che io vi benedica in eterno. O amore del mio Signore divenuto piagato! Quanto siamo lontani dalla conformità alla tua vita. O Sangue di Gesù Cristo, balsamo delle nostre anime, sorgente di misericordia, fà che la mia lingua imporporata di sangue nella quotidiana celebrazione della Messa, Ti benedica adesso e per sempre. O Signore, chi non Ti amerà? Chi non arderà di affetto verso di te?

Per saperne di più: www.sangasparedelbufalo.pcn.net

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler;  http://www.santiebeati.it/dettaglio/35900http://www.preghiereperlafamiglia.it/LUGLIO.htm

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VENERABILE BERNARDO CLAUSI

VENERABILE BERNARDO CLAUSI

Sacerdote (1789-1849) 20 dicembre

VENERABILE BERNARDO CLAUSI3Lo precede ovunque la fama di “frate santo che fa miracoli” e con una delle sue profezie anticiperà a Don Bosco la costituzione dell’Ordine dei Salesiani.

Nato a San Sisto dei Valdesi, frazione del Comune di San Vincenzo La Costa (Cosenza), il 26 novembre 1789, entrò giovanissimo nel noviziato dei Minimi a Paola nel 1805, uscendone nel 1808 per effetto del decreto napoleonico di soppressione degli Ordini e Congregazioni religiose. Tra il 1816 e il 1817 accede ai ministeri inferiori e agli ordini sacri ricevendo il presbiteriato in Monteleone, oggi Vibo Valentia.

Dal 1822 al 1827 esercita il suo ministero sacerdotale nella parrocchia di San Michele Arcangelo in San Sisto dei Valdesi, divenendo punto di riferimento e richiamo, per il suo zelo sacerdotale, VENERABILE BERNARDO CLAUSI2nell’intera diocesi cosentina. Nel 1827 ritorna ad abbracciare la vocazione religiosa dei Minimi di San Francesco di Paola, professando i voti il 17 aprile 1828, Nel 1830 viene trasferito al convento collegio di San Francesco di Paola ai Monti in Roma e vi giunge con la fama di “frate santo che fa miracoli”.

Le cose devono giungere al colmo, e quando la mano dell’uomo non potrà più fare nulla e che tutto sembrerà perduto, allora Iddio vi porrà la sua, e tutto si compirà in un baleno, e tale sarà la dolcezza che ognuno proverà nel cuore che gli sembrerà di gustare delizie del Paradiso… Gli empi medesimi dovranno confessare essere ciò accaduto per mano di Dio… Il flagello sarà terribile e tutto su gli empi; sarà di genere nuovo e affatto inaudito. Si uniranno il cielo e la terra e si convertiranno grandi peccatori. […] Tale flagello sarà generale per tutto il mondo, e a quelli che rimarranno sembrerà di essere rimasti soli per la terribilità del medesimo”.” (Profezia del Ven. Bernardo Clausi)

Nel 1831 reca al nuovo pontefice Gregorio XVI° un messaggio di tranquillità e vive a Roma un periodo di forte testimonianza religiosa tra i fedeli e tra gli infermi con umiltà, semplicità e spirito di carità. Le sue virtù e lo zelo sacerdotale, uniti ai segni straordinari, lo espongono all’affetto dei fedeli che accorrono sempre più numerosi ai Monti. Nel 1831 viene eletto superiore locale con rinnovi nei bienni 1837/38 e 1840/41.

Nel 1842 viene invitato da Carlo Alberto di Savoia a recarsi in Liguria e Piemonte, spargendo ovunque testimonianza esemplare, zelo di sacro ministero, manifestazioni di grazie molto spesso prodigiose, con un incontro particolare a Torino, dove incontra San Giovanni Bosco e gli profetizza la costituzione dell’Ordine dei Salesiani.

VENERABILE BERNARDO CLAUSI“Beati coloro che si troveranno in quei tempi felici perché si vivrà in vera carità fraterna. Prima che giunga questo flagello i mali del mondo si accresceranno in modo che sembreranno usciti i demoni dall’inferno e i buoni vivranno in un vero martirio per le persecuzioni dei cattivi… Non credere a chi volesse determinare le qualità del flagello, perciò che sarà cosa nuova e Iddio non l’ha rivelato ad alcuno“. (Profezia del Ven. Bernardo Clausi)

Dal 1844 al 1847 viaggia e opera nel regno di Napoli e tutti usufruiscono del suo sacro ministero e della sua parola con la manifestazione di interventi soprannaturali. Nel 1847 è a Paterno Calabro (Cosenza), per ristrutturare e riaprire al culto l’antico convento caro a San Francesco di Paola e dove si rinnova la devotissima accoglienza e il suo ministero dell’esempio, della parola e dei sacramenti. Nello stesso anno, su invito di Pio IX°, ritorna a Roma – Monti e riprende la sua attività spirituale e apostolica, confortato anche dall’amicizia di San Vincenzo Pallotti.

Nel mese di novembre del 1849 fa ritorno al Santuario di Paola, dove il 20 dicembre dello stesso anno vi esala il Suo ultimo respiro in fama di santità. L’Ordine dei Minimi si fece subito parte VENERABILE BERNARDO CLAUSI1attiva nell’avviare i processi canonici per arrivare al riconoscimento delle virtù eroiche di Padre Bernardo Maria Clausi. Il primo processo ordinario romano sulla fama di santità si tenne dal 15 dicembre 1862 al 14 marzo 1870 e ne seguirono altri quattro ordinari e quattro apostolici. Solo l’11 dicembre del 1987 Giovanni Paolo II, con proprio decreto promulga l’eroicità delle virtù del nostro padre Bernardo Maria Clausi e lo dichiara ‘Venerabile’.

Il flagello sarà tutto su gli empi e sarà grande e terribile e generale per tutto il mondo e al sopravvenire di questo flagello non si potrà fare altro che pregare… Dopo questo spaventoso caos rinascerà l’ordine, si farà giustizia a tutti e tale sarà il trionfo della Chiesa che non ne avrà mai avuto uno di simile“[…]”…e allora tutti saranno buoni e penitenti. Questo flagello sarà istantaneo, di breve durata, ma terribileVenerabile_Bernardo_Maria_Clausi

PREGHIERA

Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, vi supplichiamo umilmente di glorificare nel Venerabile Padre Bernardo Maria Claudi la vostra infinita santità, perché egli possa ottenere dalla Chiesa l’onore degli Altari e i devoti un nuovo esempio da seguire e un intercessore in più presso il Vostro trono.   Tre Gloria e un Ave Maria.

(Con approvazione Ecclesiastica)

Fonti: http://www.santiebeati.it/dettaglio/94000; http://profezie3m.altervista.org/ptm_profx_bernardoclausi.htm

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MADONNA DEL MIRACOLO

Beata Adelaide di Susa

BEATA ADELAIDE DI SUSA

Marchesa di Torino (1015-1091) 19 dicembre

Adelaide_di_Susa2

Stimata dai suoi sudditi e temuta dai suoi avversari aveva trascorso gran parte dell’adolescenza fra le armi, vedendo da vicino guerre e stragi, indossando lei pure armi e corazza; sposa a soli 16 anni, amata dagli italiani del tempo, toccata dalla precoce vedovanza, seppe tenere il potere con notevole abilità e saggezza.

È denominata in parecchie cronache benedettine, come “Beata Adelaide”, conosciuta anche come Adelaide di Torino, era figlia del marchese di Torino Olderico Manfredi II e di Prangarda di Canossa ma il suo culto non è stato mai riconosciuto.

Figlia primogenita ed erede del conte Olderico Manfredi II, Marchese di Susa e Conte di Torino e di Berta Obertagna dei Marchesi d’Este, Adelaide nacque nel castello di Susa tra il 1010 e il 1016.

La madre morì in giovane età, dopo aver dato alla luce quattro figli, Adelaide, Immilla, Berta ed un figlio morto giovanissimo nel 1034

Il marchese suo padre, rimasto vedovo, divise fra le tre figlie rimaste i suoi possedimenti, dei quali la maggior parte (tutte le terre tra Ivrea e Ventimiglia), andò alla figlia primogenita Adelaide; ma la potenza del marchese di Susa e conte di Torino, era prevalentemente di tipo militare, non trasmettibile ad una donna sola, per cui alla morte del padre, la giovane marchesa, qualificata in molti testi anche come principessa, a soli sedici anni nel 1035, andò in sposa ad Ermanno III duca di Svevia.

Ma fu un matrimonio di breve durata, perché il duca Ermanno nel luglio 1038 morì di peste, senza aver avuto un figlio; Adelaide che aveva 22 anni, allora si risposò con Arrigo I (Enrico I) marchese del Monferrato, ma nel 1044 rimase di nuovo vedova.

Beata Adelaide di susa4Per evidenti ragioni di Stato fu necessario ricorrere ad un terzo matrimonio e la giovane vedova sposò nel 1045 Oddone I (1020 ca. – 19/2/1059), conte di Savoia, Aosta, Moriana, secondogenito del capostipite sabaudo Umberto I Biancamano.

Nei 14 anni di matrimonio, nacquero cinque figli; Pietro I († 1078), Amedeo II († 1080), Berta († 1087), Adelaide († 1079), Oddone († 1102) futuro vescovo di Asti; in effetti ben quattro di essi premorirono alla madre, rimasta di nuovo vedova nel 1059.

Degna nipote di Arduino d’Ivrea, suo bisnonno, che nel 976 cacciò i saraceni dalla Valle di Susa, aveva trascorso gran parte dell’adolescenza fra le armi, vedendo da vicino guerre e stragi, indossando lei pure armi e corazza.

Pur essendo una bella persona anche nel volto, considerava la bellezza e la ricchezza come cose passeggere, valutando invece le virtù come gloria duratura. Dotata di forte temperamento, non indugiava se necessario, a castigare la corruzione in grossi personaggi della regione, compreso anche dei vescovi, nel contempo premiava magnanimamente le nobili imprese e le attività caritatevoli. Accoglieva alla sua corte trovatori e menestrelli, ma voleva che i loro canti fossero improntati ad incitare sempre alle virtù, alla religione, alla pietà.

san pier DamianiFondò nei suoi possedimenti molte chiese e monasteri, diventati poi centri di divulgazione del patrimonio di studi e di storia; fece restaurare la chiesa di S. Lorenzo ad Oulx (Torino), che come molte altre era stata distrutta dai saraceni. La sua protezione ai tanti monasteri fondati in Piemonte, Valle d’Aosta e Savoia, fu tale che s. Pier Damiani († 1072), vescovo e Dottore della Chiesa, suo contemporaneo, poté dire: “Sotto la protezione di Adelaide, vivono i monaci come pulcini sotto le ali della chioccia”.

Fu amata dagli italiani del tempo, che generalmente la chiamavano “la marchesa delle Alpi Cozie”; fu stimata dai suoi sudditi e temuta dai suoi avversari; nei lunghi anni di vedovanza, seppe tenere il potere con notevole abilità e saggezza, tanto che il già citato s. Pier Damiani le scrisse:Tu, senza l’aiuto di un re, sostieni il peso del regno, e a te ricorrono quelli che alle loro decisioni desiderano aggiungere il peso di una sentenza legale. Dio onnipotente benedica te ed i tuoi figlioli d’indole regia”.

Purtroppo dai suoi figli che amava tanto, giunsero per lei i dolori più forti, perché li vide morire ancora giovani, tranne l’ultimo, il vescovo Oddone.

1e216-adelaide252bof252bsusaInoltre la figlia Berta (1051-1087) fu protagonista suo malgrado, di uno sconvolgimento politico che investì l’impero di Germania e il Papato. Il marito Enrico IV (1050-1106), imperatore del S.R.I., re di Germania, re d’Italia e duca di Franconia, che lei aveva sposato quindicenne il 13 luglio 1066; ben presto per il suo carattere vizioso e tiranno, prese ad osteggiare la casta giovinetta, mettendo in atto, scontrosità, raggiri e agguati per screditarla e così potersene liberare.

Si scatenò un’ostilità che portò la povera Berta a rinchiudersi nell’abbazia di Lorscheim, in attesa degli eventi; Enrico IV convocò un Concilio a Magonza per discutere la sua richiesta di divorzio, nonostante il parere contrario della madre, l’imperatrice Agnese, anch’essa ritirata in un conventoIl papa inviò come suo delegato il cardinale vescovo di Ostia s. Pier Damiani, il quale nella discussione che ne seguì, argomentò brillantemente a favore della giovane Berta, convincendo tutti i convenuti.

La reazione di Enrico IV fu grande, e non temendo l’avversione dei sudditi continuò nei suoi propositi e alla fine incappò anche nella scomunica di papa s. Gregorio VII (Ildebrando di Soana, † 1085). Berta pur avendo tanto subito dallo scellerato sposo, si dimostrò di grande animo, spronandolo con l’aiuto della sua famiglia in Piemonte, a chiedere il perdono del papa.

BEATA ADELAIDE DI SUSA2Adelaide, riabbracciando la figlia Berta e vedendola tanto deperita e con evidenti tracce di patimenti, giurò odio eterno al genero infame. Non voleva neppure riconoscerlo come membro della sua famiglia, non voleva accoglierlo né aiutarlo. Eppure grazie all’intercessione della dolcissima Berta, Adelaide, acconsentì ad accompagnare l’ingrato genero dal papa, che era ospite della contessa Matilde nel suo castello di Canossa (Reggio Emilia) accompagnati anche dal figlio Amedeo II. L’umiliato imperatore, dovette a quest’energica donna, molto più che alla stessa contessa Matilde, se il papa Gregorio VII, concesse patti e condizioni dure ma fattibili, togliendogli la scomunica, che aveva comportato la disubbidienza dei sudditi; comunque l’umiliazione fu grande, tanto da passare alla storia, perché Enrico IV fu lasciato per tre giorni fuori dal castello di Canossa, nel pieno inverno del 1077 prima di essere ricevuto dal papa.

Tralasciamo qui il prosieguo delle vicende di Berta ed Enrico che tornarono in Germania e ritorniamo ad Adelaide, che in questa vicenda dolorosa della diletta figlia, seppe obbedire ed onorare il Pontefice e non s’inimicò l’imperatore, districandosi tra le due distinte autorità, l’una spirituale e l’altra temporale, allora in lotta aperta per le investiture ecclesiastiche. In seguito Adelaide si trovò a fare da mediatrice pure in una contesa fra i suoi due generi, lo stesso Enrico IV e Rodolfo duca di Svevia, marito dell’altra figlia Adelaide.

BEATA ADELAIDE DI SUSA3Negli ultimi anni della sua vita, quantunque assai vecchia, conservò sempre lucida la mente; lasciata ogni cura di governo al nipote Umberto II, si ritirò forse prima a Valperga da dove qualche volta si portava a piedi scalzi al piccolo monastero di Colberg, distante due miglia, per onorarvi la Madre di Dio, là venerata; il suddetto monastero prese poi il nome di Belmonte.

Sulla fine della marchesa Adelaide di Susa, vi sono contrastanti ipotesi di vari studiosi; quella più attendibile è che dopo Valperga, ella si spostò in un piccolo villaggio, Canischio (TO), forse per sfuggire alla peste e qui morì e fu sepolta nella chiesa di S. Pietro il 19 dicembre 1091, aveva 76 anni circa, una bella età per quell’epoca.

La testimonianza di uno studioso, dice che nel 1775, gli fu mostrato nella chiesa parrocchiale di Canischio, il suo “meschinissimo sepolcro” in uno stato d’abbandono, che rifletteva lo stato di vita modesta dei suoi ultimi anni. La suddetta chiesa è stata nel tempo distrutta e del suo sepolcro non esiste più traccia. Un’altra ipotesi degli storici è che i suoi resti mortali, furono trasportati da Canischio nella cattedrale di S. Giovanni Battista di Torino, ma anche qui non esistono tracce.

Fontihttp://www.santiebeati.it/dettaglio/92629https://it.wikipedia.org/wiki/Adelaide_di_Susa

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SAN PIER DAMIANI

 

B. M. VITTORIA DE FORNARI STRATA

B. M. Vittoria De Fornari Strata

Vedova e religiosa (1562-1617) 15 dicembre

Maria_Vittoria_De_Fornari_StrataAttratta dalla vita religiosa cedette al matrimonio a 17 anni. In attesa del sesto figlio rimase vedova a 25 anni. Caduta in depressione supera il desiderio di morire emettendo tre voti: castità, privazione di gioielli e vestiti di seta, rifuggire la mondanità.

Vittoria De Fornari nacque a Genova nel 1562, settima dei nove figli di Girolamo e Barbara Veneroso, benestanti e profondamente religiosi. La piccola dimostrò ben presto una spiccata religiosità, con risultati sorprendenti. Quando uno dei fratelli si ammalò, pregando ottenne la grazia della guarigione.

Sentì anche il desiderio di consacrarsi al Signore, ma poi con gioia, a soli 17 anni, sposò un gentiluomo genovese, Angelo Strata. Le nozze vennero celebrate il 21 marzo 1579 e nel volgere di pochi anni nacquero numerosi figli: Angela, Barbara, Giuseppe, Leonardo e Alessandro. Angelo partecipò a tutte le sue opere di carità e la difese dalle critiche che affermavano che prendeva parte anche alla vita sociale della città. Nell’estate 1587, mentre Vittoria era in attesa del sesto figlio, il marito, colpito da una grave infermità, in breve tempo morì (30 novembre 1588).

B. M. VITTORIA DE FORNARI STRATA3Nacque il bambino che fu chiamato Angelo, poi Vittoria cadde in una sorta di depressione. Dubitava di riuscire a provvedere alla famiglia da sola; un nobile desiderava sposarla e lei pensò di accettare per il bene dei figli, ma ebbe una visione della Madonna, che le promise la sua protezione se avesse vissuto semplicemente dedicando la sua vita all’amore di Dio. Scrisse ed inviò un rapporto su questa visione al suo confessore.

Iniziò così a frequentare i Gesuiti della chiesa di S. Andrea e si affidò alla Madonna, pregandola in particolare davanti ad un quadro esposto nella sua stanza. Le offrì in voto la castità perpetua, decise di abbandonare gli abiti lussuosi e i salotti della nobiltà, per dedicarsi esclusivamente all’educazione dei figli e ad aiutare il prossimo.

Conobbe padre Bernardino Zanoni che la condusse ad una vita di ascesi, in particolare con l’orazione mentale, tracciandole un programma di contrasto del “proprio io” per abbandonarsi all’amore di Gesù. Vittoria partecipava alla Santa Messa quotidiana, recitava regolarmente l’Ufficio della Madonna e il Rosario, accostandosi frequentemente ai sacramenti.

Coinvolse i figli e i domestici di casa, noncurante di alcune critiche. Spesso trascorreva anche la notte in preghiera, padre Bernardino le impose inoltre di scrivere quanto avveniva nel suo animo. La sua casa era austera e semplice, ed ella praticava l’astinenza per esempio nutrendosi solo di pane e acqua, durante i giorni di digiuno.

B. M. VITTORIA DE FORNARI STRATANel 1597, alla tenera età di dieci anni, il penultimo figlio morì. Qualche tempo dopo Vittoria accolse una nipote rimasta senza genitori e un’altra orfana, Chiara Spinola, mentre si rivelava il disegno divino sulla sua famiglia: Angela, la primogenita, vestì l’abito delle Canonichesse Lateranensi, tre anni dopo la raggiunse Barbara. Poi fu il figlio Giuseppe che entrò tra i Minimi di S. Francesco di Paola, seguito da Leonardo e da Angelo, a soli 15 anni.

Vittoria fu così più libera di dedicarsi ai poveri per i quali sovente si privò del cibo e, su ordine del confessore, si mise a chiedere l’elemosina davanti alle chiese, suscitando una comprensibile contrarietà da parte di alcuni parenti.

Anche numerosi malati furono oggetto delle sue preoccupazioni, procurò loro l’assistenza medica e i farmaci e, se necessario, un sacerdote per ricevere i sacramenti. Presso le chiese di S. Andrea e S. Fede, Vittoria fece catechismo alle bambine, ma anche alle adulte, che volle ricevessero almeno un minimo di istruzione. Trasse dalla strada alcune povere e ignoranti prostitute.

Nel 1600, guidata da padre Zanoni, la Fornari decise di fondare una famiglia religiosa per l’adorazione del Verbo Incarnato e B. M. VITTORIA DE FORNARI STRATA2dell’Eucaristia con devozione alla B.V. Maria. Sottopose il progetto di un monastero di stretta clausura all’arcivescovo Orazio Spinola, ma i tempi non erano maturi e mancavano i fondi. Solo due anni più tardi, quando era ormai vicina la professione dell’ultimogenito, la fondazione si concretizzò.

Agli inizi del 1603 lo Zanoni le presentò i coniugi genovesi Vincenzina Lomellino e Stefano Centurione, di ritorno da Napoli. Il progetto piacque anche ad essi che in realtà speravano di far aderire in seguito la comunità alla regola carmelitana. Si aggregarono tre giovani penitenti dello Zanoni: Maria Tacchini, Chiara Spinola e Cecilia Pastori, mentre erano contrarie le figlie monache e i figli frati, impauriti dai problemi che potevano derivare.

Vittoria andò avanti: comprò una casa e iniziò i lavori per adattarla a monastero, affittò un edificio attiguo per dare inizio alla comunità. Padre Zanoni scrisse le Costituzioni che vennero approvate il 15 marzo 1604 da papa Clemente VIII. Il 5 agosto l’arcivescovo Spinola diede l’abito alle prime cinque monache: la Fornari, eletta priora, mantenne il proprio nome, facendolo precedere da quello di Maria, come fecero poi tutte le monache.

B. M. VITTORIA DE FORNARI STRATA1L’abito era bianco, scapolare, manto e sandali di color turchino. Per tale motivo vennero ben presto conosciute come le Turchine o Celesti. Nacque così l’Ordine della SS.ma Annunziata, soggetto alla stretta clausura e all’ordinario del luogo, seguendo la Regola di S. Agostino per onorare la vergine nel mistero della sua Annunciazione e della sua vita nascosta a Nazareth.

Mentre i coniugi Centurione volevano far passare il monastero alla regola del Carmelo, agli inizi del 1605 una grave malattia colpì la Fornari. L’8 aprile morì però la Centurione (suor Maria Maddalena), da tempo malata. Stefano Centurione tentò nuovamente di mutare l’osservanza delle Annunziate e ne sortì una divisione: la Fornari intercettò casualmente, il 16 giugno, una lettera segreta delle consorelle di sostegno al Centurione. Queste poi si pentirono e anche l’uomo le rese pubbliche scuse.

Il 7 settembre, finalmente, si celebrò la professione solenne delle prime monache. Si decise che i voti dovevano essere rinnovati ogni 25 marzo, nella solennità dell’Annunciazione. I Somaschi divennero confessori ordinari del nuovo istituto, mentre nel mese di beatamariavittoriadefornarinovembre Stefano Centurione, ordinato sacerdote, divenne cappellano del monastero. Il 28 giugno 1608 le Annunziate presero possesso del nuovo monastero del Castelletto, in ottobre la Fornari fu rieletta priora.

L’Ordine conobbe una rapida espansione: da Portalier, cittadina della Borgogna, giunse la richiesta di adesione da parte di 14 giovani donne. Fu la prima di numerose fondazioni promosse e sostenute dai gesuiti, in altre città della Francia, del Belgio oltre che in Italia.

Nel 1611 Madre Maria Vittoria non fu rieletta priora per le condizioni di salute. Accettò con umiltà. Conservò però un inalterato carisma: leggeva nei cuori e Dio la gratificò con “poteri taumaturgici”. «Me ne andrò quando le monache del nostro monastero saranno 40», disse un giorno, e così fu. Il 6 agosto 1613 le Celesti ottennero da Roma la conferma del nuovo istituto. Nello stesso anno morì, in fama di santo, frate Giovanni Angelo (Giuseppe), il figlio primogenito. Appena la quarantesima monaca arrivò, nel 1617, madre Maria Vittoria, colpita da una grave affezione polmonare, annunciò che la morte sarebbe giunta il 15 dicembre. Così avvenne e tutta Genova pianse la sua benefattrice.

B. M. VITTORIA DE FORNARI STRATA4Maria Vittoria Fornari Strata fu beatificata da Leone XII il 21 settembre 1828. Possediamo alcuni suoi scritti, parzialmente inediti: una memoria autobiografica (fino al 1605), scritta in forma di confessione; tre lettere, dirette ai figli. Vennero pubblicate alcune biografie: una “Vita” scritta da suor Maria Geltrude, un’altra da F. Melzio nel 1631, tradotta anche in francese, una edita nel 1649 e poi un’altra stampata a Parigi nel 1777. Il suo corpo incorrotto si conserva nel monastero genovese di Serra Ricò.

In occasione della sua beatificazione fu pubblicata una biografia: vita della B. M. Vittoria Fornari Strata. Fondatrice dell’ordine della SS Annunziata detto le Turchine (Roma 1828); F. Dumortier, compendio della vita della B. M. Vittoria de Fornari Strata. (Genova 1918).

Fonte: http://www.santiebeati.it/dettaglio/81550; Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler

SERVA DI DIO MADRE FRANCESCA FORESTI

SERVA DI DIO MADRE FRANCESCA FORESTI

Fond. delle Suore Francescane Adoratrici ( 1878-1953) 12 novembre

madre francesca foresti1Difficile riassumere in poche parole la vita di questa anima vittima divenuta figlia spirituale di Padre Pio, tutta votata alla riparazione e all’adorazione della SS. Eucarestia.

Madre Francesca nacque a Bologna il 17 febbraio 1878 da Pietro Foresti, discendente dei Conti Foresti di origine svizzera, e da Isotta Thilbourg, figlia del Vicegovernatore della città di Imola. Al battesimo le vennero dati i nomi di Eleonora, Laura e Maria Pia.

Crebbe sana e robusta, a contatto con l’aria buona della campagna. Eleonora (Norina, come era chiamata in famiglia) era dotata di un grande spirito di osservazione e una spiccata sensibilità: le piaceva la natura, gli animali, soprattutto i cani e i gatti con i quali giocava ricorrendoli con agilità. La sua sensibilità l’aveva colta dal padre che faceva fare due “cotte” di pane ogni settimana per i poveri che bussavano numerosi alla sua casa, e dava loro anche delle elemosine perché voleva che i figli imparassero fin da piccoli la solidarietà.

Verso gli undici anni viene mandata nel collegio Emiliani di Fognano, uno dei più famosi d’Italia, gestito dalle Claustrali Domenicane vive la vita comune con le monache senza mai uscire: non tornavano a casa neppure durante le vacanze estive. Per Eleonora la partenza da Bologna fu un colpo durissimo, ma trovò nella preghiera e nell’unione con Dio il rimedio alla sua tristezza. Sui dodici anni, madre francesca foresti4insieme a una dozzina di compagne, cominciò addirittura a impegnarsi in 3 particolari penitenze e mortificazioni, ad accettare rimproveri e castighi in silenzio, senza reagire, ad imitazione di Gesù durante la Passione.

A dodici anni fa voto di verginità e senza rendersene conto nel 1895, si fa spazio in lei l’idea gioiosa di farsi suora, nello stesso anno rinnovò il suo voto di verginità, offrendosi alla Madonna. Terminata la scuola torna in famiglia. Al contrario di quello che pensava avverte la nostalgia della solitudine e del silenzio, nonché il bisogno dell’Eucarestia.

Ottenne così il permesso di avere Gesù Sacramentato nella cappellina di famiglia: «Così», leggiamo nel suo diario autobiografico, «passavo l’intera giornata con lui. In città stavo in chiesa 4 o 5 ore… I genitori, per accontentarmi, mi permisero di passare l’intera giornata innanzi al SS. Sacramento… e mi confortavo, facendo grate sorprese a Gesù. Nella notte, mi alzavo più volte andando alla finestra a salutare Gesù… Spesso incaricavo la luna di fare le mie veci presso il tabernacolo entrando furtiva con i suoi tenui raggi attraverso la finestra. Incaricavo il sole, il vento, le stelle. Mettevo fiori sul davanzale della finestra offrendoli a Gesù che adoravo in ogni chiesa».

Ma non è tutto: insieme ad altre ragazze, ogni mercoledì nella cappellina di proprietà della famiglia insegnava il catechismo ai bambini e alle bambine dei dintorni; e poiché tra di loro ce n’erano alcuni di famiglia povera, dava loro dei soldi e provvedeva ciò che cui avevano bisogno. Aveva imparato anche a confezionare dei vestitini per i più grandicelli, con gli scampoli che le dava una signora amica di famiglia. Con l’approvazione dei genitori accolse in madre francesca foresti2casa anche una ragazza cieca, che diventò la sua migliore amica.

I parenti tentarono di farle prendere marito, ma ella manifestò la sua intenzione di farsi religiosa. Tentarono così di dissuaderla in ogni maniera anche secondo le indicazioni del confessore, per testare la sua reale vocazione, ma la futura Madre Francesca rimase ferma nel suo proposito e nel dicembre 1899 partì per Firenze dove fu accolta come postulante. Tuttavia, dopo due o tre mesi si ammalò e il padre andò a riprenderla.

Il 31 dicembre 1900, nella chiesa di S. Caterina, emise i voti di povertà, castità e obbedienza in perpetuo.

In quel periodo i giornali parlavano di sacrileghe profanazioni sulle ostie consacrate ad opera della massoneria e lei, dopo aver reagito con slanci di amore e di fede, si offrì vittima di espiazione per i peccati degli uomini. Fu di ispirazione per alcune giovani che si unirono a lei nello stile di vita formando il gruppo denominato “Le Consolatrici dell’Uomo-Dio”, i cui membri si proponevano di vivere in compagnia di Gesù secondo il Vangelo e di agire in spirito di riparazione, ma l’associazione ebbe vita breve.

san francesco povertàNel settembre 1906, le era capitata in mano una biografia del Poverello d’Assisi e ne era rimasta entusiasta. Scioltosi il gruppo delle “Consolatrici”, il desiderio di farsi religiosa si accentuò in Eleonora, e nonostante l’opposizione della famiglia entra nel 1910 nelle Suore della Sacra Famiglia di Brisighella, fondate dalla Ven. Maria Teresa Lega, una monaca proveniente dalle Domenicane di Fognano.

A un certo punto le venne l’idea di mettere per iscritto le meditazioni che faceva e le suore, avendone lette alcune, se ne entusiasmarono trovandole molto belle. Lei, per modestia, diceva che quei sentimenti erano presi dal Didon, un autore di libri spirituali allora in voga: «Faccio il sacrificio di farli leggere», così in una lettera del 18 febbraio 1914 al canonico Valli, «mentre mi ero prefissa di scriverli per me sola…».

Madre Francesca dopo aver assistito il padre moribondo giorno e notte, nell’ottobre 1919 si reca a San Giovanni Rotondo per parlare con Padre Pio, il quale la ascoltò più volte e si disse favorevole allo spirito di riparazione della progettata istituzione, aiutandola anche a redigere un abbozzo di regole e promettendole che le avrebbe mandato delle vocazioni. Madre Francesca, con le penitenti di Padre Pio, in casa Gisolfi teneva conferenze, faceva conversazioni religiose, esortandole alla riparazione, alla devozione eucaristica e alla vita interiore.

A padre Raffaele fu dato l’incarico di curare le Regole della nuova istituzione e al momento di approvarle, quando venne letto padre piol’articolo in cui si diceva che l’Istituto avrebbe dovuto curare anche l’educazione della gioventù, Madre Francesca disse: «Ma io volevo la clausura…». Padre Pio, che era presente con alcuni confratelli, disse: «Figlia mia, una volta il focolare domestico era anche scuola di una santa formazione, ma oggi che non si fa più, sono gli istituti religiosi che devono fare quanto non si fa in famiglia».

Gli imprevisti però non mancarono e si dovette trasferire. Le scrisse il prof. Ribola incoraggiandola così: « … Anima di Dio, coraggio, Gesù la prova per renderla più degna del suo amore. Non si è lei offerta vittima del Divin Cuore? E chi non le può dire che Gesù vuole provarla così, in compenso dei tanti oltraggi che riceve nell’augustissima Eucarestia?… Le consigliai e le consiglio, anzi le dico, faccia una fervorosa novena a S. Francesco di Paola e tutto scomparirà». In una seconda lettera, il Ribola aggiunse: «Per la centesima volta l’assicuro che il Padre Pio si interessa vivamente dell’Opera che gli sta tanto a cuore… Basta con tutte queste fisime. Bisogna abbandonarsi nelle mani di Gesù e lasciare a lui il pensiero di ogni cosa».

In febbraio arrivò una seconda vocazione e nel giugno luglio altre due. Non c’erano però ancora i permessi, che tuttavia furono concessi dopo alcuni mesi, quando le aspiranti erano già cinque. Il 19 novembre 1921, dopo un corso di esercizi spirituali, il Vicario episcopale di Reggio Emilia, mons. Mamoli, dava l’abito religioso a quelle che furono chiamate “Suore Adoratrici Vittime del eucarestiaDivin Cuore”: un abito nero, modesto, con una semplice cintura ai fianchi, senza velo in testa come le altre suore. Eleonora diventava a tutti gli effetti Madre Maria Francesca del SS. Sacramento.

Dopo alcuni trasferimenti per svariati motivi arrivarono a Pisa. Il canonico Valli l’incoraggiò, per lettera, dicendole: «Creda, speri, ami, operi; con Gesù agonizzi, con lui e per lui viva, con lui e per lui si sacrifichi e muoia. Mi comprende? Lo spero! Intanto lei e le sue figlie partano, e partano con la mia benedizione. Anche gli apostoli andarono da un luogo ad un altro per far conoscere Gesù, per evangelizzare le genti. Iddio vuole che ella faccia altrettanto e parta volentieri».

Il gruppo si sistemò in una piccola casa alla periferia cittadina, acquistata da Madre Francesca attingendo ai suoi beni patrimoniali. Tuttavia, sorsero altre complicazioni e il canonico Valli esortò nuovamente Madre Francesca a sopportare «in pace come Gesù…» aggiungendo: «… non sono i cattivi che sono calunniati, sono i buoni che Satana fa calunniare per togliere ad essi l’aureola della virtù».

E’ a questo punto che Madre Francesca viene gratificata da elevatissime esperienze mistiche. Nella notte fra il 3 e il 4 agosto 1927 il Signore le si mostra in un fuoco ardentissimo e le dice: «Ecco è venuta l’ora che da oltre quattro anni tu aspiravi. Aprimi il cuore, o mia diletta. Ecco che ti do il mio cuore… La tua vita è finita… Il mio cuore vivendo in te riprende la mia vita che fu cuore2stroncata sulla croce… tu in tal maniera diventi la mia carne e parte di me. Sono io che vivo realmente in te». Altre volte mentre sta pregando si sente dire: «Sono io che vivo in te… Io ancora mi offro al Padre come vittima, ma per mezzo tuo… Sei una vittima del mio amore disprezzato e calpestato… ma allora perché ti turbi?… vieni con me sul calvario… Resta con me sulla Croce».

Nel 1928 viene mandata a Riccione per curarsi da un forte esaurimento per diversi lutti e vicissitudini.  Dopo un anno ancora persisteva l’esaurimento, e col permesso del cardinale Maffi e del vescovo di Rimini mons. Vincenzo Scozzoli, decise di trasferire presso di sé il noviziato, ingrandendo il locale, dando vita così a una seconda casa dell’Istituto. Anche lì tutto era all’insegna della povertà.

La gente del posto si interessava poco della religione, anche perché la chiesa più vicina si trovava a circa due chilometri di distanza. Madre Francesca allora prese in affitto una camera in un villino vicino e vi iniziò una scuola di lavoro per le bimbe che poi portò alla Prima Comunione. Successivamente ne fece aprire una seconda. La gente ricominciò a frequentare la chiesa, apprezzando grandemente quelle suorine che non chiedevano nulla ma si prestavano per ogni bisogno, assistendo i malati, confortando le famiglie in difficoltà, sfamando i poveri e salvando delle giovani in pericolo.

madre francesca forestiNel 1930 Madre Francesca si ammalò gravemente: a strapparla dalla morte che pareva certa furono le preghiere delle suore che, pur di ottenere la grazia della sua guarigione, quel giorno rimasero in cappella a pregare fino alle 15, saltando anche il pranzo. Ben presto si dovette ampliare la casa e le suore vennero richieste anche dai paesi vicini. Così Alba di Riccione divenne la Casa-madre della congregazione.

Madre Francesca compose una sorta di coroncina riferita alle dodici principali piaghe che si rilevano sulla Sindone. In particolare, di questa singolare reliquia lei aveva un culto speciale per le mani di Gesù, che fece riprodurre separatamente, imitandole poi con disegni e ricami su carta e su tela. Aveva anche composto una specie di litania intitolata “Invocazioni alle Mani Santissime di Gesù” per ottenere soccorso dal cielo. Eccole:

«O mani santissime tremanti un giorno sulla paglia… incallite nella fatica del lavoro… che guariste i malati… che salvaste S. Pietro dalle onde… che vi alzaste a calmare la tempesta… che accarezzaste e benediceste i fanciulli… che benediceste il pane e lo moltiplicaste… che lavaste e asciugaste i piedi degli apostoli… che alzando il pane e il calice li tramutaste nel vostro Corpo e nel vostro Sangue… che portaste la croce e foste Sindone_uomoinchiodate in essa. O mani stampate nella Sacra Sindone noi vi adoriamo e voi innalziamo al cielo per ottenere misericordia e perdono».

Crescevano intanto le vocazioni e le richieste da vari paesi vicini. La congregazione cresceva, tuttavia non aveva ancora una Regola canonicamente approvata, per cui era considerata semplicemente una Pia Associazione di anime generose. Era scoppiata la Seconda guerra mondiale e Madre Francesca nel 1940 si trovava a Maggio, ospite del fratello Alberto.

La Regola, nuovamente riveduta e corretta, fu inviata a Roma e finalmente il 26 ottobre 1943 fu approvata: a Rimini fu emesso il decreto vescovile di erezione canonica di quelle che furono chiamate “Suore Francescane Adoratrici”.

La guerra era ormai arrivata anche a Bologna e i tedeschi avevano occupato il piano terreno della villa di Maggio; in più si erano intensificati i bombardamenti degli alleati, che avevano bloccato anche il servizio postale: Madre Francesca raggiungeva come poteva le consorelle delle altre case, esortandole alla preghiera.

Incolumi sotto le bombe Il 4 ottobre 1944, mentre la Madre si trovava nella villa di Maggio con alcune suore, un furioso bombardamento seguito da un mitragliamento colpì la villa. La comunità stava pregando nella cappellina allestita al piano superiore, dove era stato concesso di tenere il SS. Sacramento esposto giorno e notte. Erano le 9 del mattino, e ad un certo punto cominciarono a cadere calcinacci, telai, imposte delle finestre e vetri infranti, mentre alcuni mobili prendevano fuoco.

Mentre cercavano di scendere, suor Cecilia disse: «Noi scendiamo e Gesù lo lasciamo solo? Non sia mai». Tornarono tutte indietro e alzando gli occhi videro che l’ostensorio era rimasto intatto sul tronetto come se nulla fosse accaduto. Suor Cecilia lo prese ricoprendolo col suo velo, poi recuperarono anche il tabernacolo, posandolo su una poltrona da giardino ricoperta con una tovaglia guerranell’unica camera rimasta intatta. Nessun ferito, nessun morto. La gente, impressionata dal fumo che usciva dalla villa dopo lo scoppio delle sedici bombe che avevano visto sganciare su di essa, era subito accorsa per prestare aiuto e quasi non credeva ai propri occhi: erano tutti incolumi nonostante le macerie.

«In questi mesi Gesù mi ha fatto capire che per avere molti Sacerdoti, si contenta che il voto di vittima deve consistere nell’accettare tutto ciò che a loro capita di piacevole e di spiacevole in spirito di riparazione, raccogliendo tutto l’amore di Dio rigettato dall’uomo, fino al punto di morirne bruciati».

Sette anni dopo l’approvazione della congregazione c’erano da rifare i quadri organizzativi e Madre Francesca Superiora, sebbene malata, convocò in Capitolo le religiose nella casa di Maggio, chiarificando i punti che potevano essere controversi: soprattutto pregò e scongiurò che non si toccasse lo spirito di vittima da lei ritenuto essenziale per la congregazione.

Da Maggio di Ozzano, dove si trovava dall’ottobre 1949, non si mosse più, anche perché la sua salute peggiorava inesorabilmente, costringendola quasi sempre a letto per le frequenti crisi di madre francesca foresti1cuore. Nei momenti di tregua del male, però, la Madre non stava in ozio: scriveva, leggeva, sbrigava la corrispondenza, sempre serena e raccolta, sopportando con pazienza esemplare la malattia e i problemi legati al governo della Congregazione.

Nel giorno dell’Epifania del 1953, a suor Cecilia che l’assisteva, disse di far esporre il SS.mo Sacramento, poi aggiunse: «Secondo le Costituzioni la Congregazione deve avere l’Adorazione perpetua… non vorrei morire prima di vederla adempiuta questa prescrizione, che darà tanta gloria a Gesù… Fate la richiesta formale per l’autorizzazione».

Il 14 gennaio, sempre a suor Cecilia indicò le preghiere da farsi per tutto il rimanente tempo della sua malattia. Il 2 febbraio Madre Francesca ricevette l’Olio degli infermi e il 10 dello stesso mese arrivò da Bologna il permesso per l’Adorazione perpetua, che la riempì di gioia. «Non morirò», aveva detto più volte, «se prima nella Congregazione non vi sarà la casa dell’Adorazione perpetua».

L’11 novembre 1953 da S. Giovanni Rotondo le giunse un messaggio di padre Pio: «Dite alla Madre Francesca che si distenda bene sulla croce, perché da quella ascenderà in paradiso». E il frate rivelò all’inferma che padre Pio voleva una casa della sua congregazione a S. Giovanni Rotondo. La Madre sorrise e ringraziò, poi entrò in agonia, finché rese l’anima a Dio alle 4.25 del giorno dopo. Lei aveva prescritto che quando moriva una delle religiose vittime, si cantasse il Te Deum per ringraziare il Signore. Lo si fece anche per lei la mattina stessa.

croce1Il padre Giustino, tornando a S. Giovanni Rotondo, disse che padre Pio aveva baciato e ribaciato il Crocifisso, da lui stesso benedetto, che aveva raccolto l’ultimo respiro della Madre. I funerali si svolsero il 14 novembre e la salma venne sepolta nel cimitero di S. Maria della Quaderna ad Ozzano. Da lì, il 14 settembre 1960, fu traslata nell’Oratorio di Maggio. Il 21 maggio 1989 ha avuto inizio il processo canonico per la beatificazione di Madre Francesca che dal cielo si fa sentire con abbondanti grazie a chi si rivolge alla sua intercessione.

Fontehttp://www.suorefrancescaneadoratrici.it/documenti/MADRE%20FRANCESCA%20FORESTI.pdf

NATUZZA EVOLO

SERVA DI DIO NATUZZA EVOLO

FORTUNATA EVOLO DETTA NATUZZA

mistica (1924-2009) 1 novembre

Natuzza Evolo (1)Questa mattina, in tanti si sono recati a Paravati, un chilometro a sud di Mileto in Calabria in provincia di Vibo Valentia per rendere omaggio alla cara Natuzza nel settimo anniversario della sua morte.

Natuzza Evolo è salita al cielo il primo novembre 2009 all’età di 85 anni e come di consueto ogni anno si celebra una Santa Messa in suo ricordo nel paesino di Paraveti dove è nata il 23 agosto 1924. L’anno scorso ha avuto inizio l’iter di canonizzazione.

NATUZZA EVOLO 8I responsabili della Fondazione Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime, ente religioso e assistenziale ispirato proprio dalla stessa Natuzza Evolo, hanno aperto le porte della cappella della Fondazione ospitando al suo interno quante più persone possibili mentre il resto dei devoti si sistemava all’esterno per ascoltare la messa officiata dal vescovo Renzo che ricordando Natuzza ha detto: «ha messo se stessa nella mani di Dio e del Crocifisso che non l’ha lasciata sola ma l’ha portata con lui. Natuzza con il suo materno sorriso e con le braccia aperte ci aspetta per accoglierci come sapeva fare quando era tra noi e per accompagnarci da Gesù e dal Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime»

Il padre, di Natuzza, Fortunato, qualche mese prima che lei nascesse, nella speranza di poter contribuire economicamente al sostegno familiare, era emigrato in Argentina, da dove non sarebbe tornato mai più, formando una nuova famiglia. La NATUZZA EVOLO5madre, Maria Angela Valente, rimasta sola con numerosi figli da accudire, si adattò ai lavori più umili per sfamare la famiglia; spesso in casa non c’era nulla da mangiare, neppure un pezzo di pane.

La bambina non ricevette una particolare formazione religiosa, anche perché la condotta di sua madre era particolarmente chiacchierata in paese, la gente mormorava: “Come può la madre di Natuzza, da sola, crescere tutti quei figli nati dopo la partenza del marito?“.Natuzza (un diminutivo di Fortunata molto diffuso in Calabria) cercò di aiutarla accudendo gli altri fratelli, non potendo frequentare regolarmente la scuola e restando quindi con un livello di istruzione molto limitato, quasi analfabeta.

All’età di 5-6 anni iniziarono per lei una serie di visioni e altri inspiegabili fenomeni come i primi contatti con quella realtà soprannaturale che ne avrebbe pervaso l’intera esistenza, anche se, NATUZZA EVOLO7come molti anni dopo spiegherà lei stessa ai suoi padri spirituali, non aveva capito che quella bella ragazza che le appariva era la Madonna, mentre aveva sempre sospettato che quel bambino bellissimo che giocava con lei e con i suoi fratellini fosse Gesù.
Quando riceve il Sacramento dell’Eucarestia, la bocca le si riempie di sangue; è il primo segno di quelle sofferenze mistiche che cominceranno a manifestarsi di lì a poco sul suo corpo.

A 14 anni, per aiutare la famiglia andò a lavorare come domestica in casa dell’avvocato Silvio Colloca, guadagnandosi subito la fiducia di quella famiglia. Natuzza avrebbe avuto vitto e alloggio, più una modesta paga con cui poter aiutare i familiari. Ed è in questa casa che si accentueranno i fenomeni della visione dei defunti, della bilocazione e dei dialoghi con l’Angelo Custode al punto che Natuzza comunica “messaggi” inauditi e impossibili per un’analfabeta.

Il suo Angelo Custode, è un bambino di otto/nove anni, che la guida e la consiglia nel rispondere in lingue straniere, nel diagnosticare malattie con una terminologia medica che solo una persona colta poteva dare. Fin da ragazza Natuzza capì che la sua natuzza-evolo1missione sarebbe stata quella di dare una parola di conforto alla gente.

La Madonna dice a Natuzza che il 26 luglio farà la “morte apparente”. Era il 26 luglio del 1938. Natuzza non comprende il significato della parola “apparente” e avvisa la signora Alba che finalmente raggiungerà il suo Gesù. Cadrà in un lungo sonno che durerà sette ore, attorniata da tanti medici, che erano là ad aspettare la morte… Racconterà, al suo risveglio, che si è trovata in Paradiso, al cospetto di Gesù che le chiese di dividersi i compiti: portare a Lui le anime. Amare e compatire. Amare e soffrire.

Il 29 giugno 1940, giorno della Cresima, avverte un brivido profondo in tutto il corpo e qualcosa di gelido scorrerle dietro: sulla natuzza EVOLO6sua camicia si era disegnata una grande croce di sangue. Le autorità religiose invitano alla prudenza, mentre la questione viene sottoposta all’attenzione dei medici e dal vescovado di Mileto viene inviata una lettera ad Agostino Gemelli che liquida sbrigativamente la questione consigliando l’isolamento in una casa di cura. Andrà a Reggio Calabria, dove resterà sott’osservazione del Professore Puca per due mesi.

Nel 1941 Natuzza si ritirò da quel lavoro, andò a vivere presso la nonna materna e pensò di farsi suora, ma venne sconsigliata, proprio perché protagonista di tutti quegli episodi considerati “inquietanti”. La madre decise allora un matrimonio combinato, con un giovane, figlio di amici, di professione falegname, che in quel momento prestava servizio nell’esercito. Trovandosi lo sposo in guerra, il matrimonio (officiato con rito civile), avvenne per procura il 14 agosto 1943. La coppia ebbe cinque figli.

Ha il dono della bilocazione. Vede Gesù, la Madonna, San Francesco di Paola, Padre Pio e altri santi. Vede i defunti e conversa con loro. Ma è la Settimana Santa il periodo in cui le manifestazioni si fanno più intense. Nei giorni che precedono la Pasqua, infatti, la mistica Natuzza rivive sul proprio corpo la Passione del Signore; cade in uno stato di estasi e le stimmate si trasformano a NATUZZA EVOLO4contatto con bende e fazzoletti in testi di preghiere in lingue diverse, ostie ed ostensori, corone di spine e cuori.

Riceve per anni centinaia di persone al giorno. Da lei sono passati tutti: colti, ignoranti, potenti, poveri, religiosi e laici, affidandole sofferenze, angustie, invocando conforto e luce. E lei, facendosi carico delle loro sofferenze, ha dato a tutti una parola di conforto, di speranza e di pace, una risposta certa, il sorriso e la gioia. In passato l’atteggiamento della Chiesa non era favorevole a Natuzza. Svanirà invece la prudente diffidenza delle autorità ecclesiastiche, di fronte all’ottima impressione ricevuta dalla sua vita umile, povera e obbediente. La tomba di Natuzza è meta di pellegrinaggio. Segno che le sue parole si realizzano quotidianamente: “Quando sarò dall’altra parte farò più rumore“.

Su sua ispirazione si costituì nel 1987 un’associazione (poi diventata fondazione, presso cui Natuzza ha trascorso il resto della sua vita) con l’obiettivo di creare a Paravati un complesso che comprendesse un santuario mariano, strutture per l’assistenza medica e centri per giovani, anziani, disabili, tra cui, già realizzati, il centro anziani “Pasquale Colloca” e quello per i servizi alla persona “San Francesco di Paola“. Ispirati da Natuzza e Natuzza-EVOLO3dalla sua testimonianza di fede sorsero inoltre, dal 1994, dei “Cenacoli di preghiera“.

Il 9 aprile 2007 Rai International trasmise da Paravati di Mileto lo spettacolo “Notte degli angeli“, a lei dedicato, organizzato dal promoter musicale Ruggero Pegna, e condotto da Lorena Bianchetti, ispirato al libro Miracolo d’amore (Rubbettino Editore), storia della guarigione dello stesso Pegna dalla leucemia.

Il 7 giugno 2008, l‘Unione Cattolica Stampa Italiana l’ha insignita del premio, Affabulatore d’oro per la sua straordinaria dote di “comunicatrice di Verità”.

Morì a causa di un blocco renale alle 5 di mattina del 1º novembre 2009 nel centro per anziani che lei stessa aveva fondato grazie alle cospicue offerte dei fedeli.

Fonti: http://www.ilquotidianoweb.it/news/societa-cultura/741961/La-pioggia-non-ferma-i-devoti.html ; http://www.santiebeati.it/dettaglio/96484;  https://it.wikipedia.org/wiki/Natuzza_Evolo

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VENERABILE PLACIDO BACCHER

VENERABILE PLACIDO BACCHER

Sacerdote (1781-1851) 19 ottobre

ven placido baccherLa Madonna apparve a don Placido Baccher nella chiesa del Gesù Vecchio e disse: “Ai pellegrini che verranno a messa il primo sabato dopo il 30 dicembre io assicuro grazie per tutto l’anno.” Infatti viene chiamato sabato privilegiato.

E’ stato denominato l’”Apostolo dell’Immacolata“, per il culto diffusissimo a Napoli, che seppe propagare con la sua ‘Madonnina’ nella Basilica Pontificia del Gesù Vecchio, nel centro antico della città.

Placido Baccher nacque a Napoli il 5 aprile 1781, ultimo dei sette figli di Vincenzo De Gasaro e di Cherubina Cinque, il cognome con cui è conosciuto il venerabile, viene dal padre il quale avendo ricevuto per discendenza, una vistosa eredità dal primo marito della madre Girolamo Baccher, la quale in seconde nozze aveva sposato poi Madonna di Placido BaccherGerardo De Gasaro, volle per riconoscenza aggiungere al suo cognome anche quello di Baccher; quindi il padre di don Placido si chiamò Vincenzo De Gasaro-Baccher; ma poi nella sua numerosa famiglia prevalse l’uso del cognome Baccher.

I suoi iniziali studi furono fatti in casa, poi ebbe come maestri dotti sacerdoti che lo fecero poi ammettere nel collegio domenicano di S. Tommaso d’Aquino come esterno. Diventò Terziario Domenicano, nutrì sin da ragazzo una tenera devozione all’Immacolata, di cui la madre era devotissima e che lo portava con sé ogni sabato alla chiesa dell’Immacolata, che la venerabile suor Orsola Benincasa aveva edificata alle falde del Castel S. Elmo, quasi a proteggere dall’alto la città.

Durante la rivoluzione napoletana del 1799, che portò all’instaurazione della Repubblica Partenopea, Placido Baccher venne coinvolto pesantemente; venivano perseguiti tutti coloro che fossero sospettati di fedeltà al re, suo padre Vincenzo fu esiliato, i fratelli Gennaro e Gerardo furono fucilati in Castel Capuano e Placido, giovane buono e ingenuo, che non si occupava di politica o moti rivoluzionari, di appena 18 anni, venne rinchiuso nelle carceri del tribunale di Castel Capuano insieme a molti altri, in attesa della sentenza di morte anche per lui.

ven. placido baccherMa la notte precedente il giudizio, ebbe in sogno la Madonna, che lo rassicurò sulla sua liberazione, chiedendogli di consacrarsi a Lei; condotto l’indomani davanti al tribunale straordinario, nel Palazzo Reale, i giudici nel guardarlo, si meravigliarono dell’arresto di quel giovane così inoffensivo e incapace di far del male e quindi ne ordinarono la scarcerazione.

La Madonna lo aveva salvato e lo salvò ancora, quando fu spiccato un altro ordine di cattura, perché il Presidente del Tribunale riscontrò che erano stati giustiziati 16 realisti invece dei 17 della lista; per sfuggire alla cattura, Placido fu calato con una corda in un pozzo, ma per errata manovra finì sul parapetto di una loggia, spaccandosi la testa.

Mentre si rimarginava la ferita, la Repubblica Partenopea volgeva al termine (durò sei mesi), con l’esercito del cardinale Ruffo che assediava Napoli e la flotta inglese di Nelson che presidiava e attaccava dal mare.

Nel 1802 Placido vestì l’abito talare frequentando e studiando come chierico esterno, il convento di S. Tommaso. Completati gli studi venne ordinato sacerdote il 31 maggio del 1806, celebrando la prima Messa nella chiesa di S. Lucia al Monte, ai piedi del Santuario di suor Orsola Benincasa.

immacolata di don placido baccherPrese a fare apostolato in alcune chiese napoletane, instaurando con i fedeli già allora, i raduni del sabato per recarsi alla chiesa dell’Immacolata, ai piedi del castello, finché i superiori lo nominarono, nel 1811, rettore della Chiesa del S.mo Salvatore, già antica chiesa del Gesù, fondata nel 1557 dai gesuiti, i quali furono cacciati nel 1767, per ritornare poi in città nel 1821 con Casa, collegio e chiesa propria, attuale Gesù Nuovo. Per questo la chiesa del S.mo Salvatore era detta anche del Gesù Vecchio e così poi è stata maggiormente conosciuta, l’edificio abbandonato da molto tempo, rischiò di diventare un teatro o l’Aula Magna della vecchia Università.

Don Placido profuse tutte le sue sostanze, adoperandosi per il ripristino e l’apertura del tempio. Devotissimo alla Madonna trasformò la sua chiesa in un fervido centro di devozione mariana, fedele al suo mottoA Gesù per Maria”; fu ardente zelatore del Rosario, da lui considerato arma validissima di apostolato, promosse il culto eucaristico, esortando i fedeli alla Comunione, fece costruire l’organo per rendere più solenni le funzioni religiose, riportò al loro splendore i marmi, i bronzi, suppellettili, arredi sacri e panche.

ven placido baccherFavorì il culto dei santi gesuiti, primi fondatori della chiesa, in particolare di s. Luigi Gonzaga, che aveva abitato lì dal 1586 al 1587; malgrado tutto però a don Placido Baccher, la chiesa sembrava una reggia senza regina, allora si fece costruire, dall’artista napoletano Nicola Ingaldi, una statua dell’Immacolata, così come l’aveva sognata la notte della sua prigionia in Castel Capuano; la rappresentazione dell’immagine è complessa e piena di significati mariani e liturgici.

Il culto che si instaurò nel Gesù Vecchio per la Madonna, si diffuse per tutta Napoli e folle di fedeli vi si recavano per le cerimonie del sabato e in particolare nella Novena e festa dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre, che a Napoli è stata sempre particolarmente celebrata.

Il 30 dicembre 1826 avvenne la solenne incoronazione della piccola ‘Madonnina’ concessa dal papa Leone XII, con la partecipazione del re, della corte, Autorità cittadine, magistrati; con i soldati schierati nelle strade adiacenti e con gli spari a festa dei cannoni di Castel S. Elmo e Castel Nuovo.

Sabato_PrivilegiatoLa basilica divenuta poi pontificia, del Gesù Vecchio, divenne da allora un centro mariano ed eucaristico importantissimo, lo stesso papa da Roma si compiaceva dell’elevata partecipazione dei fedeli al Sabato privilegiato’ dedicato a Maria e del gran numero di Comunioni distribuite; basti pensare, giusto per dare un dato, che il 1° gennaio 1966 si distribuirono circa 20.000 Comunioni. Questo per far capire che ancora ai nostri tempi, il culto istituito dal venerabile Placido Baccher è vivo e fervoroso.

https://www.youtube.com/watch?v=fGRj0tZAUr0

Don Placido ricevette varie onorificenze; Cavaliere di Malta, mise le sue insegne al collo della Madonnina del suo Oratorio privato, rifiutò un vescovado nel Regno delle Due Sicilie, rifiutò la nomina a canonico della cattedrale; prete umile e penitente non beveva mai liquori o vini, digiunava tutti i sabati con solo pane e acqua, quando il confessore l’obbligò a cibarsi, il suo pasto si componeva di dodici fagioli o 15 ceci; portava sotto la veste talare, il cilicio e spesso si flagellava.

don_placido_baccherNei dodici giorni precedenti l’Immacolata, faceva pubblica penitenza con fune al collo e in ginocchio si trascinava dalla porta della chiesa, fin sopra l’altare della Madonna. Santo lui stesso e amico di santi, tante anime elette napoletane ebbero relazione con lui, in uno scambio di spiritualità interiore; fu in primo piano nell’organizzare i soccorsi durante il colera del 1836, correndo da un capo all’altro della città.

Morì dopo breve malattia, il 19 ottobre 1851 e come da suo desiderio, venne tumulato dietro l’altare maggiore della basilica del Gesù Vecchio, sotto il trono della Madonna, di cui per 40 anni era stato attivissimo rettore. La causa per la sua beatificazione fu introdotta il 12 maggio 1909 e il 27 febbraio 1944 si ebbe il decreto sull’eroicità delle virtù e il titolo di venerabile.

preghiera don placido

Autore: Antonio Borrelli

Fonte: Santi e Beati

PREGHIERA ALLA SS. TRINITÀ

per la glorificazione del Servo di Dio Ven. D. Placido Baccher

O Augustissima e Santissima Trinità Padre, Figliuolo e Spirito Santo, vi adoriamo profondamente e vi supplichiamo voler accogliere le nostre umili voci di ringraziamento per tutte le grazie concesse a Don Placido. Vi preghiamo poi di glorificare il vostro Servo, innalzandolo a l’onore degli altari.

Speriamo questa grazia per l’intercessione potentissima di Maria, la cui devozione Egli ha tanto profondamente inculcata nel cuore dei napoletani, specialmente col far ripetere spesso: Sia sempre benedetta la santa, purissima Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria, Madre di Dio.

3 Gloria al Padre e 3 Ave Maria

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SABATO PRIVILEGIATO

S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe di Gesù Cristo

S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe di Gesù Cristo

religiosa e stigmatizzata(1715 – 1791) 6 ottobre

santa maria francescaLa Santa dei quartieri Spagnoli è Compatrona della città di Napoli dal 1901. Unica donna napoletana e dell’Italia meridionale elevata alla Santità. A sedici anni si consacrò al Signore con la regola del terz’Ordine Francescano. Ricordata dalla gente come la ” Santa Vergine delle stimmate” è invocata particolarmente dalle donne sterili e dalle future mamme.

Santa Maria Francesca delle cinque piaghe, al secolo Anna Maria Rosa Nicoletta Gallo, nacque a Napoli il 25 marzo del 1715, in una casa del popoloso quartiere Montecalvario, dai coniugi Francesco Gallo e Barbara Basinsi, una semplice famiglia di commercianti di mercerie.

La sua casa era situata nei cosiddetti “Quartieri Spagnoli”, una zona nata per ospitare le truppe militari spagnole, divenuta poi un rione molto popolare. Trattasi di tanti vicoletti intersecati a scacchiera ove le truppe spagnole vicereali del ‘600 venivano ‘accquartierati’ in casette di 1-2 stanze, alte massimo 1 piano a poca distanza dal Palazzo santa maria francesca.1Reale, pronti ad intervenire alla prima chiamata. In seguito quasi finita l’occupazione spagnola, queste case furono sopraelevate di altri piani, visto che era proibito costruire fuori le mura della città e tolte le truppe entrarono i cittadini per abitarci. Il nome di questo rione, a ridosso della strada principale di Napoli, via Toledo, formato da un reticolato di alti palazzi ma in vicoli stretti e senza luce viene ancora chiamato “sopra i Quartieri”, la popolazione abita praticamente a brevissima distanza dalle finestre e balconi del muro di fronte; aldilà dell’origine storica, c’è il reale problema del soccorso in caso di pericolo, soprattutto d’incendio, perché le autobotti dei Vigili del fuoco non passano.

All’epoca della nostra Santa non c’era solo un pericolo per la promiscuità e la violenza sviluppatosi, ma vi era anche un fervore di opere religiose con conventi e chiese i cui Ordini si stabilivano lì, per poter dare concreto aiuto spirituale e materiale ai fedeli.

La piccola Anna Maria ricevette la Prima Comunione all’età di sette anni e man mano che cresceva mostrò una pratica religiosa delle virtù santa maria francesca.3cristiane tale da essere soprannominata la “santarella”. Frequentava assiduamente la chiesa di S. Lucia al Monte dove conobbe e si fece guidare dal futuro santo Fra Giovanni Giuseppe della Croce. Ben presto palesò la volontà di consacrarsi al Signore contrastando il progetto paterno, che la voleva sposa di un ricco giovane napoletano. Anna Maria subì maltrattamenti e privazioni, ma non cedette.

L’8 Settembre 1731, infatti, all’età di sedici anni, si consacrò al Signore nel terz’Ordine Francescano Alcantarino, assumendo il nome di Maria Francesca delle Cinque Paghe di Gesù Cristo. Il nuovo nome, oltre ad esprimere la sua devozione per le sofferenze di Cristo, si poteva considerare il suo programma spirituale.

Tra i molti carismi di Suor Maria Francesca c’era il dono della profezia. Secondo le testimonianze a noi pervenute ella predisse molti eventi a persone di fede e sacerdoti che si rivolgevano a lei come guida e consigliera, come san Francesco Saverio Maria Bianchi, di cui avrebbe predetto la santità. Predisse molti anni prima anche l’evento della Rivoluzione francese.

santa maria francescaCome San Francesco d’Assisi, ricevette le stimmate e ogni venerdì e per tutta la durata della Quaresima avvertiva i dolori della Passione di Cristo.

Per S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe, la Comunione spirituale era l’unico sollievo al dolore acuto che provava nello stare chiusa in casa, lontana dal suo Amore, specialmente quando non le era concesso di fare la Comunione sacramentale. Allora saliva sul terrazzo della casa e guardando la Chiesa sospirava: «Beati coloro che oggi ti hanno ricevuto nel Sacramento, mio Gesù. Fortunate le mura della Chiesa che custodiscono il mio Gesù. Beati i Sacerdoti che sono sempre vicini a Gesù amabilissimo». Solo nella Comunione spirituale si placava il suo desiderio.

A 38 anni, insieme ad un’altra terziaria, suor Maria Felice, si trasferì in vico Tre Re a Toledo nella casa del suo direttore spirituale, santa maria francesca.2padre Giovanni Pessiri, per accudirlo. L’edificio prese in seguito il nome di convento per la dimora delle suore, ma esso non era stato costruito per questo uso e quindi ha ancora oggi tutte le caratteristiche di un’abitazione comoda per famiglia di tre stanze tramutate in cappella e opere annesse.

Morì a 76 anni il 6 ottobre 1791. Fu sepolta nella chiesa di Santa Lucia al Monte a Napoli. Proclamata beata il 12 novembre 1843 da papa Gregorio XVI, fu canonizzata il 29 giugno 1867 da Papa Pio IX. E’ la prima santa napoletana della Chiesa.

La sedia di S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe di Gesù Cristo sulla quale si accomodano le donne che desiderano avere un figlio

La sedia di S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe di Gesù Cristo sulla quale si accomodano le donne che desiderano avere un figlio

Viene comunemente ricordata dalla gente come la ” Santa Vergine delle stimmate”.  Ancora oggi a distanza di oltre due secoli, il popolo accorre a chiedere grazie come è attestato da due lapidi all’esterno della casa-cappella, la seconda è per lo scampato disastro della II guerra mondiale che con i suoi 105 bombardamenti su Napoli, risparmiò i ‘Quartieri’ e il suo denso popolo. Invocata particolarmente dalle donne sterili e dalle future mamme: nella cappella vi è ancora la sua sedia di dolore su cui, specie le donne desiderose di avere un figlio devotamente si siedono ad impetrare la grazia.

PREGHIERA A SANTA MARIA FRANCESCA DELLE CINQUE PIAGHE

674457_ARIDP6LI8WLZGDCWI1WJSVF5TGYWDJ_santa-maria-francesca0012_H151816_LMi congratulo con Voi, o prima Vergine Santa della città di Napoli, gloriosa S. Maria Francesca, per i copiosi favori dal cielo a Voi compartiti; e vi prego a moltiplicare su di me gli effetti della vostra carità e protezione, con l’ottenermi dal Signore quella grazia, che tanto io desidero (qui si chiede la grazia). Ed acciochè vi impegnate con le vostre preghiere innanzi a Dio ad ottenermela, io adoro, benedico e ringrazio la SS. Trinità per le tante grazie che vi fece, specialmente con l’avervi, non ancora uscita alla luce, fatta preannunciare con due distinte profezie, qual poi foste una Santa; inoltre adorare Gesù Sacramento fin dal seno materno, adornata di doni e virtù sovrumane, ed onorata dalla sua familiarità e compagnia quasi per tutta la vostra vita, decorandovi di tutti i tratti, della sua Passione, fregiando il vostro cuore di quella somma carità Santa Maria francesca4serafica verso Dio ed il prossimo. Deh adunque o diletta Sposa di Gesù Cristo, se il vostro Sposo tanto vi amò, fatemi sperimentare gli effetti della vostra protezione ora che state alla sua presenza, per trovare la pace del mio cuore nel conseguimento della grazia richiesta.

 3 Gloria al Padre

Prega per noi, Santa Maria Francesca

Affinchè diventiamo degni delle promesse di Cristo

PREGHIAMO

O Dio tu volesti che la Santa Vergine Maria Francesa diventasse conforme all’immagine del tuo Figlio crocifisso, per i suoi meriti e la sua intercessione concedi a noi che, trasformati nella stessa immagine del Crocifisso mentre siamo sulla terra, meritiamo di essere glorificati con lei in cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen

FONTI: http://www.santuariosantamariafrancesca.it/s-maria-francesca/http://www.preghiereperlafamiglia.it/per-ottenere-un-figlio.htm

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SAN BARTOLOMEO APOSTOLO

SAN BARTOLOMEO APOSTOLO

martire (I sec.) 24 agosto

san bartolomeo apostoloTra i dodici apostoli, forse il più misterioso, è quello del quale sappiamo meno, ma attorno alla sua figura si sono create molte leggende e miti popolari. Viene identificato come Natanaele solo nel Vangelo di Giovanni.

Bartolomeo, uno dei dodici apostoli, è menzionato solo nei Vangeli sinottici (Mc 3,18; Lc 6,14; Mt 10,3) e negli Atti (1,13). Probabilmente questo non era il suo nome proprio, visto che significa ” figlio di Tolomeo“. Non si hanno altre notizie sulla sua vita. Alcuni commentatori lo identificano con Natanaele (Gv 1,45-51; 21,12), originario dii Cana di Galilea, al quale Gesù aveva detto: “Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità“. La spiegazione è da ricercare nel fatto che, mentre Giovanni non menziona mai Bartolomeo tra gli apostoli, gli altri evangelisti non indicano mai il nome di Natanaele. Essi affiancano sempre Filippo e Bartolomeo, così come Giovanni dice che Filippo e Natanaele si recarono insieme da Gesù. Solo il numero degli apostoli, dodici, rimane costante.

Leggende e racconti popolari narrano che Bartolomeo predicò il Vangelo in India e poi in Armenia. Dopo aver operato diverse conversioni, venne scorticato vivo dai barbari, oppure decapitato ad Albanopolis (l’odierna Derbend, sulla costa occidentale del mar Caspio) secondo l’ordine di re Astyges. La storia dello scorticamento è stata quasi sicuramente tratta da quella di Marsia, scorticato da Apollo per gelosia.

san bartolomeo ap1Si dice anche che Bartolomeo abbia predicato in Mesopotamia, in Persia, in Egitto e altrove. All’inizio del IV secolo Eusebio fornisce le prime informazioni sull’ “India” veniva usato dagli scrittori latini e greci per indicare senza distinzioni l’Arabia, l’Etiopia, la Libia, il regno dei Parti e dei medi, e che Pantaneo probabilmente era arrivato in Etiopia o in Arabia Felice. Un’altra leggenda orientale narra che Bartolomeo incontrò Filippo (3 mag.) a Gerapoli in Frigia; da lì raggiunse Licaonia e S. Giovanni Crisostomo (13 set.) riferisce che l’apostolo insegnò a molte persone. La leggenda di san Bartolomeo è ricordata anche nel Giudizio Universale della Sistina: il santo mostra la pelle di cui lo hanno “svestito” gli aguzzini, e nei lineamenti del viso, deformati dalla sofferenza, Michelangelo ha voluto darci il proprio autoritratto.

san bartolomeo cappella sistina

Michelangelo – San Bartolomeo, Cappella Sistina

I viaggi delle presunte reliquie di San Bartolomeo sono ancora più incredibili di quelli che secondo le leggende compì da vivo. L’itinerario principale fu, a quanto pare, Lipari, nel 264,quando era vescovo sant’Agatone, fino a quando vennero parzialmente disperse dagli arabi nel IX secolo; nel 410 le spoglie vennero portate a Maypherkat, che a causa del gran numero di reliquie che il vescovo Maruta vi radunò, venne chiamata Martiropoli.

Nel 507 l’Imperatore Anastasio I le portò a Darae, in Mesopotamia. Nel 546 ricomparvero a Lipari e nell’838 a Benevento, dove il deposito delle reliquie del santo fu sempre conservato con devota e gelosa vigilanza anche in situazioni di grande pericolo, come quando l’imperatore Ottone III, nel 983, pretese la consegna delle sacre reliquie. In quell’occasione gli fu consegnato il corpo di san Paolino, vescovo di Nola. Accortosi dell’imbroglio l’imperatore cinse la città d’assedio, ma non riuscendo a espugnarla fece ritorno a Roma, dove peraltro fece edificare una basilica dedicata a San Bartolomeo sull’Isola Tiberina.

san bartolomeo apostolo1La regina Emma donò un braccio di Bartolomeo a Canterbury nel XI secolo. La leggendaria morte per scorticamento lo ha fatto eleggere patrono dei conciatori di pelle.

Le ricognizioni fatte sulle reliquie a Benevento sono state quattro. La prima ricognizione delle reliquie originali, conservate quindi a Benevento, fu fatta nel 1338 dall’arcivescovo Arnaldo da Brusacco durante un concilio provinciale. Le ossa, dopo essere state mostrate singolarmente ai vescovi ed al popolo accorso, furono riposte in una pregiata cassa di bronzo dorato che, seppur rovinata dai bombardamenti del II conflitto mondiale, ancora si conserva nel museo diocesano.

Le seconda ricognizione fu fatta da papa Benedetto XIII (Papa Orsini, già Arcivescovo di Benevento) il 13 maggio 1698. Dopo il controllo innanzi a 23 vescovi, magistrati ed al popolo ammesso, le reliquie furono riposte in nove ampolle, otto delle quali furono racchiuse nell’urna di porfido ed una, contenente l’intero osso del metacarpo, fu destinata alla venerazione pubblica.s.-bartolomeo1

La terza ricognizione fu fatta il 24 agosto 1990, dall’arcivescovo metropolita Carlo Minchiatti con la seguente bolla arcivescovile:

«Attestiamo con la massima garanzia a tutti coloro che esamineranno il presente documento, che noi, per la maggior gloria di Dio onnipotente e la venerazione dei suoi santi, abbiamo proceduto ad una ricognizione di sacri frammenti delle ossa di San Bartolomeo apostolo. Li abbiamo prelevati dal luogo autentico che li custodiva nella basilica dedicata allo stesso santo in Benevento il 24 agosto 1990 e con devozione li abbiamo collocati in una teca di ottone argentato, protetta da un contenitore di cristallo di forma ovale, perfettamente chiusa e legata con un cordoncino di colore rosso e sigillata con il nostro sigillo impresso in cera spagnola e li abbiamo consegnati con facoltà di esporli alla venerazione dei fedeli.

san-_bartolomeoInformiamo che per nessuna ragione è consentito di vendere le reliquie o di barattarle con altre merci. A garanzia di ciò abbiamo sottoscritto di nostro pugno questo documento testimoniale e lo abbiamo confermato col nostro sigillo.

Benevento, dalla sede arcivescovile il 24 agosto 1990.

Il Segretario (Sac. Antonio Raviele) ( + Carlo Minchiatti Arcivescovo metropolita)».

Nel 2001, prima dell’inizio dei restauri della Basilica, l’Arcivescovo di Benevento Serafino Sprovieri indisse la quarta ricognizione canonica delle reliquie. Dall’ampolla vitrea n. 4 furono prelevati alcuni frammenti ossei destinati alla chiesa cattedrale di Lipari e alle sei parrocchie dell’Arcidiocesi di Benevento intitolate all’apostolo

È invocato: – come protettore di conciatori, macellai, lavoranti e commercianti di pelli, rilegatori di libri, sarti e fabbricanti di guanti – contro convulsioni, ernia, nervi

Fonti: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler ; https://it.wikipedia.org/wiki/Bartolomeo_apostolo http://www.santiebeati.it/dettaglio/21400

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SAN ROCCO DA MONTPELLIER

SAN ROCCO DA MONTPELLIER

Pellegrino e taumaturgo francese (secolo XIV) 16 agosto

Bernardo_Strozzi_-SAN ROCCOIn tutti i posti dove San Rocco passava, con un segno di croce guariva dalla peste e grazie anche al ritrovamento della tavoletta che porta incisa la frase “Chi invocherà il mio servo sarà guarito“, in molte città italiane ed europee vennero costruite chiese proprio in ringraziamento per la sua potente intercessione.

Il Santo è nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera fra il 1376 ed il 1379 molto giovane a non più di trentadue anni di età. Secondo tutte le biografie i genitori Jean e Libère De La Croix erano una coppia di esemplari virtù cristiane, ricchi e benestanti ma dediti ad opere di carità. Rattristati dalla mancanza di un figlio rivolsero continue preghiere alla Vergine Maria dell’antica Chiesa di Notre-Dame des Tables fino ad ottenere la grazia richiesta. Secondo la pia devozione il neonato, a cui fu dato il nome di Rocco (da Rog o Rotch), nacque con una croce vermiglia impressa sul petto.

Intorno ai vent’anni di età perse entrambi i genitori e lasciati gli studi, decise di seguire Cristo fino in fondo: vendette tutti i suoi beni, si affiliò al Terz’ordine francescano e, indossato l’abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono i suoi ornamenti; la preghiera e la carità la sua forza; Gesù Cristo il suo gaudio e la sua santità.

San-Rocco-Pellegrino-e-Taumaturgo2Non è possibile ricostruire il percorso prescelto per arrivare dalla Francia nel nostro Paese, certo è però che nel luglio 1367 era ad Acquapendente, una cittadina in provincia di Viterbo, dove ignorando i consigli della gente in fuga per la peste, il nostro Santo chiese di prestare servizio nel locale ospedale mettendosi al servizio di tutti. Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, San Rocco diventò lo strumento di Dio per operare miracolose guarigioni. Ad Acquapendente San Rocco si fermò per circa tre mesi fino al diradarsi dell’epidemia, per poi dirigersi verso l’Emilia Romagna dove il morbo infuriava con maggiore violenza, al fine di poter prestare il proprio soccorso alle sventurate vittime della peste.

L’arrivo a Roma è databile fra il 1367 e l’inizio del 1368, quando Papa Urbano V è da poco ritornato da Avignone. E’ del tutto probabile che il nostro Santo si sia recato all’ospedale del Santo Spirito, ed è qui che sarebbe avvenuto il più famoso miracolo di San Rocco: la guarigione di un cardinale, liberato dalla peste dopo aver tracciato sulla sua fronte il segno di Croce. Fu proprio questo cardinale a presentare San Rocco al pontefice: l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano di San Rocco. La partenza da Roma avvenne tra il 1370 ed il 1371.

Jacques-Louis David - San Rocco chiede la grazia contro la pesteVarie tradizioni segnalano la presenza del Santo a Rimini, Forlì, Cesena, Parma, Bologna. Certo è che nel luglio 1371 è a Piacenza presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme. Qui proseguì la sua opera di conforto e di assistenza ai malati, finché scoprì di essere stato colpito dalla peste. Di sua iniziativa o forse scacciato dalla gente si allontana dalla città e si rifugia in un bosco vicino Sarmato, in una capanna vicino al fiume Trebbia. Nella grotta al Santo appare un angelo che gli annuncia la guarigione e la facoltà di chiedere una grazia al Signore. Infatti un cane lo trova e lo salva dalla morte per fame portandogli ogni giorno un tozzo di pane, finché il suo ricco padrone, il Signore di Sarmato, Gottardo Pollastrelli, seguendolo scopre il rifugio del Santo. Cura il giovane che si rifiuta di seguirlo a palazzo. Gottardo cerca vanamente di seguire Rocco che lo induce a desistere dal proposito. Ne diffonde la vita e la fama dei miracoli; si ritiene sia stato il primo agiografo del Santo nonché il primo ad averlo raffigurato in una immagine e seguendo gli insegnamenti del maestro avrebbe conseguito anch’egli la santità.

dipinto_SanRoccoIn tutti i posti dove Rocco era passato e aveva guarito col segno di croce, il suo nome diventava famoso. Tutti raccontano del giovane pellegrino che porta la carità di Cristo e la potenza miracolosa di Dio. Dopo la guarigione San Rocco riprende il viaggio per tornare in patria.

San Rocco è arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore. Interrogato, per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Gettato in prigione, vi trascorse cinque anni, vivendo questa nuova dura prova come un “purgatorio” per l’espiazione dei peccati. Qui riceve ancora una volta l’apparizione dell’Angelo che gli annuncia la morte ormai prossima, chiese dunque al carceriere di condurgli un sacerdote; si verificarono allora alcuni eventi prodigiosi, che indussero i presenti ad avvisare il Governatore. Le voci si sparsero in fretta, ma quando la porta della cella venne riaperta, San Rocco era già morto: era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 ed il 1379.

Prima di spirare, il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome, nome che venne scoperto dall’anziana madre del Governatore o dalla sua nutrice, che dal particolare della croce vermiglia sul petto, riconobbe in lui il Rocco di Montpellier. Al momento della sepoltura la grazia che Rocco aveva chiesto al Signore si SAN ROCCO1manifesterà con il ritrovamento della tavoletta che porta incisa la frase “Chi invocherà il mio servo sarà guarito“, e che compare in numerose rappresentazioni del Santo.

Sulla sua tomba a Voghera cominciò subito a fiorire il culto al giovane Rocco, pellegrino di Montpellier, amico degli ultimi, degli appestati e dei poveri. Il Concilio di Costanza nel 1414 lo invocò santo per la liberazione dall’epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari. Il corpo di S. Rocco resterà a Voghera fino al 1483 quando sarà trasferito a Venezia ove è eretta una chiesa dedicata al Santo con un altare che ne conserva i principali resti. La chiesa è officiata dalla celebre “Arciconfraternita della Scuola Grande di S. Rocco” che ancora oggi costituisce il fulcro della diffusione del culto di S. Rocco in tutto il mondo.

SANTUARI IN FESTA

SANTUARIO DI SAN ROCCO IN TOLVE

Nella duplice ricorrenza della festa, 16 agosto e 16 settembre, decine di migliaia di pellegrini da tutta la regione e dalle regioni vicine giungono a Tolve, come testimoniano le migliaia di ex voto conservati nella “Casa del pellegrino”, sede dell’Associazione amici del pellegrino i cui locali si trovano ai piedi della scalinata del santuario. In entrambe le occasioni, a mezzogiorno, si svolge una solenne processione per le vie del paese.

CHIESA DI SAN ROCCO ALL’AUGUSTEO IN ROMA

braccio destro di san rocco reliquiaSi custodisce una reliquia di una porzione d’osso del braccio destro del santo, giunta a Roma per volere di papa Clemente VIII nel 1575. In questa chiesa è eretta l’Arciconfraternita di san Rocco, “casa-madre” per tutte le altre confraternite omonime che vi siano aggregate. Presso di essa ha inoltre sede l’Associazione europea amici di san Rocco, fondata, presieduta e animata spiritualmente da fratel Costantino De Bellis, con lo scopo di diffondere il culto e la devozione verso il Santo della carità attraverso l’esempio concreto di amore verso i malati ed i bisognosi.

SANTUARIO DI SAN ROCCO IN SARMATO

Luogo della malattia e dell’incontro col cane. Qui ha sede l’Associazione nazionale san Rocco Italia, fondata, presieduta e diretta da Gian Paolo Vigo.

Chiesa parrocchiale di San Rocco’ in Voghera

Luogo dell’arresto e della morte del santo. Vi è custodita «l’insigne reliquia di una porzione d’osso del braccio».

Arciconfraternita Scuola Grande di San Rocco in Venezia

s.roccoFondata appositamente nel 1480, custodisce il corpo del santo, dopo la traslazione da Voghera. Questa Arciconfraternita costituisce il “polo di riferimento confraternale” per i rapporti, iniziative e sinergie, tra ed a favore delle confraternite ed altre associazioni rocchiane sparse praticamente un po’ in ogni dove del mondo cattolico.

Processione in onore di san Rocco a Nocera Inferiore

Creata nel 1887 circa al Casale del Pozzo, rione di Nocera Inferiore in provincia di Salerno. La cappella nata alla fine dell’XIX secolo, tra 1887 e 1888. La statua del santo donata alla fede alla fine degli anni trenta è portata in processione ogni anno dopo il 16 agosto. C’è anche “L’associazione san Rocco“, associazione culturale e religiosa che oltre ad organizzare la processione del santo, fino al 2011 copriva l’ambito dei tamburini e sbandieratori con un gruppo in procinto di partecipare ai tornei nazionali. L’associazione fa parte dell’Associazione europea amici di san Rocco.

Chiesa di San Rocco, costruita sulle bestemmie in Pietramelara (Caserta)

SAN ROCCO2Antica chiesa fondata dagli abitanti di Pietramelara, nel XVI secolo, dopo essere stati protetti dal santo contro i malanni e le pestilenze indotte dalla guerra ed in particolare contro il feroce sacco operato dagli Aragonesi nel 1496. Ai fini dell’edificazione della chiesa, considerato il periodo di grave povertà e carestie che investì la popolazione, il popolo adottò un codice che prevedeva, come pena per i bestemmiatori, il pagamento di somme finanziarie, con conseguente riduzione della pena; se i bestemmiatori non avevano denaro offrivano il proprio lavoro per evitare l’impiccagione davanti alla porta della chiesa.

Chiesa di San Rocco, in Cagliari

La costruzione del tempio si fa risalire al XVII secolo: si ipotizza che l’intitolazione al santo sia riconducibile allo scioglimento di un voto, espresso forse quando la città venne colpita dalla peste, tra il 1652 e il 1656.

Chiesa di San Rocco in Frattamaggiore (NA)

Particolare ed originaria manifestazione devozionale a Frattamaggiore x San Rocco il culto risale alla fine del ‘400, all’epoca di un’epidemia pestilenziale. Oggi essa rappresenta un santuario luminoso della culto di san rocco a frattamaggioredevozione al santo pellegrino, ricco di storia e di spiritualità. La chiesa di San Rocco di Fratta è anche uno dei centri più rilevanti della Caritas diocesana.

Numerose sono ancora le chiese dedicate a san Rocco e con esse le confraternite e associazioni, vi è anche un museo iconografico europeo dedicato al santo e istituito nel 2006 in Capriati a Volturno in provincia di Caserta dall’Associazione europea amici di san Rocco: raccoglie immagini, statue, dipinti, arredi e paramenti sacri legati al santo, provenienti da comunità italiane ed europee.

Fonti: http://www.santiebeati.it/dettaglio/34150; http://www.sanrocco.montescaglioso.net/san-rocco/la-vita-di-san-rocco.html; https://it.wikipedia.org/wiki/San_Rocco#cite_note-Ferraiuolo110-51

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SAN SISTO II E COMPAGNI MARTIRI

SAN SISTO II E COMPAGNI MARTIRI

martiri (258) 7 agosto

SAN-SISTO IIPapa Sisto (Xystus) succedette nel 257 a S. Stefano I (2 ago). di lui si hanno informazioni abbastanza precise perchè morì in un’epoca durante la quale nell’impero romano si stavano verificando importanti cambiamenti, preludio di ulteriori sconvolgimenti delle sua tradizioni e sicurezze. È anche divenuto famoso quale figura principale di una delle opere più celebrate della storia occidentale.

Si conoscono tre lettere scritte da S. Dionigi di Alessandria a Sisto: in esse Dionigi chiede informazioni riguardo la disputa iniziata sotto Stefano ed esorta Sisto a usare clemenza verso le Chiese africane e alcune Chiese asiatiche, le quali sostenevano che il battesimo conferito da eretici non fosse valido. Sisto seguì il suo consiglio: riallacciò i rapporti con S. Cipriano e con quelle Chiese e ignorò con tatto la pratica asiatica di battezzare i convertiti. Non a caso il biografo di S. Cipriano, Ponzio, definisce Sisto “un sacerdote buono e pacifico“.

Nel 257 durante il quarto anno del suo regno, l’imperatore Valeriano, fino ad allora favorevole ai cristiani, emise il primo decreto contro di essi. Probabilmente Valeraino fu consigliato dal suo ministro Macriano, che mirava a confiscare le ricche proprietà cristiane per sanare la situazione economica delll’impero, ma è anche possibile che Valeriano credesse veramente che gli dei fossero adirati a causa dei cristiani e della sua tolleranza nei loro confronti. Forse riteneva anche che questo fosse il motivo delle minacce esterne da parte dei persiani e di altri pericolosi nemici e dei contrasti finanziari, sociali ed ideologici interni all’impero. O forse era ritornato alla vecchia idea che i cristiani fossero politicamente pericolosi.

SAN SISTO II - LA PERSECUZIONEI cristiani erano ritenuti indovini e maghi, cospiratori contro il governo, politicanti disperati, nemici della religione ufficiale, diffusori di dicerie false e responsabili di avvelenamenti e altri crimini“: queste sono le memorabili parole di Newman.

Oppure dal momento che ai tempi di Valeriano la religione tra i capi dell’impero era più che altro una questione formale, è anche possibile che, come in altre epoche, egli stesse tentando di evitare la minaccia di un colpo di stato deviando il malcontento su un capro espiatorio facilmente identificabile. Infatti, l’imperatore e i suoi consiglieri sapevano perfettamente che molti e influenti uomini al governo erano cristiani, tanto che l’editto di Valeriano era indirizzato espressamente agli egregii viri ed equites romani: senatori, cavalieri e alti ufficiali. Non veniva chiesto loro di rinnegare la fede, ma Sandro_Botticelli_SAN_SiSTO_IIsemplicemente di dimostrare la loro fedeltà con un pubblico sacrificio agli dei dell’impero. Pochissimi laici accettarono il compromesso: la maggior parte di essi, guidata dal clero, fu irremovibile.

A motivo della loro resistenza la persecuzione ben presto si tramutò in un tentativo di sopprimere il cristianesimo eliminandone i capi e i centri di potere e di influenza. I bersagli principali furono gli alti ecclesiastici che risiedevano in centri importanti quali il Nord Africa e, naturalmente, Roma: nel 257 le celebrazioni liturgiche e l’uso dei cimiteri vennero proibiti; vescovi, presbiteri e diaconi dovevano accettare di offrire sacrifici agli dei per non essere esiliati, e Sisto venne eletto papa di nascosto. Vi furono numerosi martiri nell’alto e basso clero, e il loro numero aumentò l’anno successivo, quando fu concessa l’autorizzazione a giustiziare i membri del clero senza processo e i laici più influenti furono soggetti alla pena di morte.

In Africa, Cipriano (16 sett), che sarebbe poi morto durante la medesima persecuzione, annunciò ai suoi compagni vescovi che Sisto, insieme a quattro diaconi, era morto il 6 agosto. Durante la persecuzione i cristiani si riunivano in grotte sotterranee per Papa Sisto MARTIREcelebrare di nascosto la Messa: Sisto fu catturato mentre predicava nel cimitero di Pretestato e si dice che abbia rifiutato di fuggire per evitare un massacro di massa. Non è chiaro se venne decapitato sul posto o se prima fu portato in tribunale per il giudizio e poi riportato indietro e giustiziato. Fu sepolto lungo la strada del cimitero di S. Callisto sulla Via Appia. Un secolo più tardi papa S. Damaso (11 dic) compose un’iscrizione per la sua tomba.

Insieme a lui vennero catturati e giustiziati quattro diaconi: i santi Gennaro, Vincenzo, Magno e Stefano. Altri due, i santi Felicissimo ed Agapito, furono probabilmente martirizzati lo stesso giorno e sepolti nel cimitero di Pretestato. Il settimo diacono della città, S. Lorenzo (10 ago), fu ucciso quattro giorni dopo. La persecuzione cessò nel 259 con la morte di Valeriano nelle prigioni persiane e con l’editto del figlio Gallieno a favore dei cristiani.

SAN SISTO II-1Sisto fu il papa martire più venerato dopo S. Pietro. Si ritiene che le sue reliquie siano state conservate insieme a quelle di S. Barbara nella chiesa dei domenicani a lui dedicata a Piacenza, per tradizione suo luogo di nascita.

Il famoso mosaico del VI sec. nella chiesa di S. Apollinare Nuovo a Ravenna lo ritrae insieme a S. Lorenzo. Appare anche in uno dei quadri più famosi, la Madonna di S. Sisto o Nostra Signora con Bambino e i santi Sisto II e Barbara di Raffaello (1483-1520), oggi nella galleria nazionale di Dresda. Il lavoro fu commissionato da papa Giulio II o dal cardinale Grassi per ricordare l’annessione di Piacenza allo Stato pontificio dopo la vittoria di Giulio sui francesi nel 1512 (la chiesa di S. Sisto lo vendette nel 1754 ad Augusto III, principe elettore di Sassonia e re di Polonia).

Nostra Signora con Bambino e i santi Sisto II e Barbara di Raffaello

Nostra Signora con Bambino e i santi Sisto II e Barbara di Raffaello

Come segno di rispetto per il suo mecenate, Raffaello ritrasse Sisto nelle fattezze dell’anziano papa, dipingendo una ghianda sulla tiara e la quercia dello stemma di famiglia del papa sul manto. Il santo indica gli astanti come per raccomandarli alla protezione della Beata Vergine Maria. Il gesto può essere riferito alla strenua difesa da parte di Giulio del potere temporale del papa. Le tende tirate (e agitate da un vento divino) sullo sfondo del dipinto vogliono dare l’idea di una finestra nel corridoio attraverso la quale si possono vedere Maria e Gesù assisi nella gloria su un bacino di nuvole che sovrastano la realtà mondana. La figura centrale dell’altrimenti statico dipinto (che potrebbe essere intitolato anche La visione di S. Sisto) è la Beata Vergine Maria Regina del Paradiso che discende dal Cielo. La fama del quadro, insieme a pochi altri quali la Madonna della Sedia di Raffaello e l’ultima cena e Monna Lisa di Leonardo, risale solo al XVIII sec., quando ne furono realizzate numerose copie e cominciò a diffondersi l’uso di xilografie.

FonteIl primo grande dizionario dei santi di Alban Butler

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BEATO GIOVANNI COLOMBINI

BEATO GIOVANNI COLOMBINI

fondatore dei gesuati (1305-1367) 31 luglio

Giovanni ColombiniMercante di successo, con il solo interesse di guadagnare e prosperare finanziariamente, è sempre di corsa, eppure grazie ad un acquisto singolare della moglie si converteanche troppo per lei, che finirà per lamentarsi più di prima. E’ proprio vero allora, che non siamo mai contente…

Giovanni Colombini è nato a Siena, nel 1305. Potrebbe essere, a buon diritto, il protettore della nostra epoca, dominata dalla fretta ed in preda ad una perpetua agitazione. Anche lui va sempre di fretta ed è continuamente agitato, anche se è nato 700 anni fa: segno che la fretta è vecchia quanto il mondo e che l’agitazione fa parte del patrimonio genetico dell’uomo. Il beato Giovanni Colombini, un giorno, smette di aver fretta per colpa della fretta e vediamo subito come.

Banchiere, titolare in Siena di una florida azienda per la vendita all’ingrosso di tessuti di lana con addirittura una filiale a Perugia, si sposa a 40 anni, perché prima, per la fretta, non ne ha mai trovato il tempo e prende in moglie, naturalmente, una nobile ereditiera, Beato Giovanni ColombiniBiagia Cerretani, che gli dà due figli, un maschietto e una femminuccia. Ha ritmi frenetici, un’attività intensa, gli piacciono i pasti raffinati innaffiati da vino generoso. Tutto questo fino ai 50 anni e, precisamente, al giorno in cui, tornando a casa, trova il pranzo non ancora pronto, come succede nelle migliori famiglie.

Lui, che ha sempre fretta, quel giorno ha più fretta del solito e ci scappa una bella litigata con la moglie. Sbuffa, si agita, protesta, elenca tutti gli impegni che quel pomeriggio lo attendono e che la moglie gli fa ritardare, mentre questa, per calmarlo un po’, gli mette tra le mani un libro preso a caso nella libreria, una Vita dei Santi, che Giovanni, quel giorno davvero furente e più agitato che mai, scaglia in mezzo alla cucina.

Perché lui vuole mangiare, non leggere. Si pente però quasi subito di quel gesto, va a raccogliere il libro e, quasi senza accorgersi, comincia a leggere dalla pagina rimasta aperta. E’ la vita di Santa Maria Egiziaca, la prostituta diventata penitente, che gli fa passare di colpo la fretta e la voglia di mangiare. A lettura ultimata, Giovanni è un altro uomo, che vuole solo più imitare quella santità eroica e quella rinunzia totale: un cambiamento completo del suo stile di vita che, come suo solito, vuole fare in fretta. Perché il tempo stringe, ed è urgente dare a Dio quello che finora per la fretta gli ha negato.

giovannicolombiniComincia a disfarsi della sua florida azienda, dalla cui vendita ricava la bellezza di diecimila fiorini, che utilizza in beneficenza e per sistemare economicamente moglie e figli. Perché anche di loro deve “disfarsi”, anche se il distacco è più duro di quanto potesse immaginare. Povertà, preghiera, penitenza, costante imitazione di Gesù sono il nuovo indirizzo che vuole dare alla sua vita.

Accolse poveri e infermi nella sua casa, che diventò più simile ad un ospedale che ad un’abitazione privata: la moglie protestò per il suo nuovo comportamento, in misura persino maggiore di quanto aveva fatto riguardo alla sua precedente trascuratezza ed egoismo.

A piedi nudi, con una tonaca malconcia, comincia a predicare e ad impegnarsi in opere di carità. Il gesto di Giovanni Colombini fa scandalo o fa ridere. Soprattutto preoccupa le autorità della ricca Siena, che hanno paura diventi contagiosa quella ventata di rinunzia e povertà che egli si porta dietro. Non mancano, infatti, suoi ferventi imitatori, a cominciare dalla di lui cugina Caterina: tutti “pazzi” per Cristo, in nome del quale Giovanni e Caterina operano anche cose prodigiose se non veri e propri miracoli. Meglio, molto meglio, mandarli in esilio e farli oggetto di scherno, prima che sia troppo tardi.

Nel 1317 le autorità cittadine bandirono quindi Giovanni, che lasciò Siena con alcuni suoi compagni e si spostò in varie città della regione. A Viterbo furono soprannominati “Gesuati” per a loro devozione al S. Nome di Gesù e perchè gridavano frequentemente “Sia lodato Gesù Cristo!Giovanni Colombini.1Il Vescovo di Città di Castello, un’altra città che visitarono diede loro la sua benedizione, affermando che erano “poveri, semplici e onesti, senza interessi materiali, e perciò avrebbe potuto lasciar tutto nelle mani di Dio“.

Quando papa Urbano V visitò Viterbo nel 1367, diede udienza a Giovanni e ai suoi compagni e alla fine li riconobbe come nuova congregazione, con il titolo formale di Chierici Apostolici di S. Girolamo. Si trattava di una congregazione di fratelli laici che conducevano una vita di grande austerità, dediti all’assistenza dei malati e alla sepoltura dei defunti, che vivevano in piccoli gruppi nelle città e nei paesi.

 

Giovanni percorre le città e le campagne della Toscana, mendicando, cantando laudi, recitando preghiere, parlando della bontà di Dio e raccogliendo insulti e derisioni “per amor di Dio”. E’ solito dire: “Pregovi che non vi facciate male per la troppa penitenza, ma datevi più alla carità di Dio e del prossimo e alle mortificazioni”.

 

Alcuni giorni dopo aver ricevuto l’approvazione del papa, Giovanni si ammalò, e i suoi compagni tentarono di farlo tornare a Siena, ma egli morì mentre era in viaggio, il 31 luglio 1367.

Beato-Giovanni-ColombiniFu sepolto nel convento di S. Bonda, dove era morta la figlia. Giovanni non fu mai beatificato ufficialmente, ma papa Gregorio XIII (1572-1585) inserì il suo nome nel Martirologio Romano.

La congregazione prosperò nella prima metà del XVI secolo, ma poi cominciò a decadere; fu fatto un tentativo per rinvigorirla nel 1606, permettendo che i suoi membri fossero ordinati sacerdoti, ma alla fine fu soppressa nel 1688. Le monache continuarono a svolgere la loro attività fino al 18972, e si fecero conoscere per l’estremo rigore del loro stile dio vita.

Giovanni lasciò centoquattordici lettere e molti inni, sebbene questi ultimi non siano tutti attribuibili a lui; una Vita del XV secolo contiene brani tratti da alcune sue omelie. Tutte le opere sono colme di fervore apostolico e mostrano una originaria influenza francescana. San Giovanni di Tossignano (24 lugl.), membro della congregazione scrisse una breve biografia.

Oggi la Chiesa fa memoria di lui e della cugina Caterina, fondatrice dellePovere Gesuate” , perché anche se i loro Ordini sono stati soppressi da tempo il loro esempio continua a scuotere e ad interpellare la nostra debole fede.

Fonti: Il primo grande Dizionario dei Santi di Alban Butler;  http://www.santiebeati.it/dettaglio/90610

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