Padre Alberto Pierobon

PADRE ALBERTO PIEROBON

Missionario saveriano (14 dicembre 1927 – Brasile, 1976)

Padre Alberto Pierobon

Padre Alberto Pierobon, 48 anni, e’ stato ritrovato in un bosco, ad oltre un mese dalla sua scomparsa: cadavere in decomposizione, testa e braccia staccate dal corpo, vittima del suo amore per i poveri del Brasile.

Il padre Giuseppe e la madre Maria Simeoni avevano otto figli. Ariginari di Cittadella, in provincia di Padova, Veneto profondo. Alberto, il terzogenito, nasce il 14 dicembre 1927. Pare che in famiglia lo chiamassero “il grillo”, tanto era vivace, veloce, irrequieto. Dopo la quinta elementare desiderava andare dai Francescani di Lonigo, ma i genitori gli suggerirono di aspettare. Bel carattere, tanti amici, generosita’ concreta, animatore dei ragazzi all’oratorio, si iscrive ad un Istituto tecnico, per diventare perito meccanico.

Ma un fatto gli cambiera’ la vita. Il 17 agosto 1944 i nazisti fucilano a Padova uno dei suoi fratelli, Luigi, ventiduenne, dirigente d’Azione Cattolica, comandante partigiano. Gli daranno la medaglia d’oro alla memoria.

Luigi Pierobon

Luigi Pierobon partigiano

Alberto, non ancora diciassettenne, decide che lo imitera’: per lui il sacrificio del fratello e’ all’origine della sua vocazione missionaria. Infatti il 18 agosto 1946, a diciott’anni, chiede di diventare saveriano. E il ricordo di Luigi lo accompagna, vivo e struggente. Scrive in una lettera: “Mai l’ho sentito vicino come adesso, e perche’ in un certo qual modo possa unire e incarnare in me la sua personalita’, nella formula della professione aggiungero’ al mio nome anche il suo. Da oggi mi firmero’ Alberto Luigi” (3 settembre 1947).

Non ha una grande salute, Alberto Pierobon, nonostante il fisico robusto. Negli anni di liceo lo operano di appendicite e di ulcera. E per tutta la vita sara’ perseguitato da disturbi dell’apparato digerente. Ma non si arrendera’ mai. Anche se i guai fisici gli procureranno molti problemi e molte pause forzate nella sua attivita’.

Supera tutte le crisi fisiche e spirituali. Studia a Vicenza, Piacenza, fa la professione perpetua e infine riceve ordinazione sacerdotale il 4 giugno 1955. “Domani sono otto giorni che sono sacerdote – scrive al superiore – otto giorni nei quali non sono ancora riuscito a convincermi pienamente. Mi sembra un sogno questa realta’. Le lacrime versate lungo il cammino di questi anni, quando mi vedevo sbarrata la via da mille ostacoli si sono trasformate in lacrime di gioia… Il sacerdozio ha gettato la sua luce anche sul passato, rendendo le mie difficolta’ a proporzioni cosi’ misere che arrossisco di me stesso“.

Va in diverse case dell’Istituto Saveriano, ma sempre in Italia, occupandosi per lo piu’ di questioni economiche e amministrative. Finche’, arriva il giorno della partenza: 29 maggio 1961. La sua sede e’ nello stato del Parana’, Brasile del sud, diocesi di Londrina. Spiega Pier Michele Girola su Famiglia Cristiana: “Oltre che un buon sacerdote e’ un ottimo tecnico. La missione ha bisogno di tutto, a lui vengono affidati i compiti di organizzazione dei lavori. In due anni tante opere sono completate, ma soprattutto e’ finito il seminario per le vocazioni adulte, che stava a cuore ai missionari“.

Lo nominano economo del nuovo seminario. Finalmente nell’agosto del ’64 padre Alberto Pierobon va in prima linea. Il vescovo saveriano monsignor Giovanni Gazza, che lo ha gia’ apprezzato nei suoi primi anni brasiliani, nominato prelato di Abaete’, stato del Para’, Amazzonia, nord del Brasile, lo chiama con se’. “C’era tutto da fare – dira’ monsignor Gazza – e padre Pierobon si impegno’ a fondo nella organizzazione. Era un uomo silenzioso, ma irruente, pieno di iniziative e di slanci“.

L’amore di Dio lo spinge, anche nella sconfinata Amazzonia. Anche nei nuovi compiti che gli vengono affidati: costruire scuole, chiese, ospedale, casa per i missionari, cappelle lungo il gigantesco Rio delle Amazzoni. Scrive a casa: “Durante la settimana sono motorista, caricatore di travi di legno in mezzo al bosco, controllore, idraulico, muratore ecc. La domenica prete“.

Fiducioso va avanti per la strada che il Signore gli apre dinanzi fin quando gli viene affidata la parrocchia di Acara’: 12.000 chilometri quadrati, quasi come l’intero Veneto. Qui si sente davvero in missione, anche se non potra’ posare mattoni e cemento, perche’ c’e’ bisogno di costruire ancora. C’e’ abituato e non si spaventa. Intanto monsignor Gazza torna in Italia perche’ e’ stato eletto Superiore generale dei Saveriani. Lui resta li’ nella giungla, tra quei poveri che ormai sono la sua famiglia, la sua missione, la sua Chiesa. Il clima e’ pessimo, e ogni tanto deve cambiare aria, tornare al sud, dove si sta meglio, per curare i soliti malanni.

Per motivi di salute nel 1968 il missionario deve tornare a casa, in Italia. Ha bisogno di riposo e di aria buona. Racconta il fratello Giorgio:Arrivo’ a Cittadella senza nemmeno una valigia ne’ un oggetto personale. Aveva impegnato tutto per i suoi poveri; gli rimaneva l’abito che indossava”. E’ l’ultimo incontro con il suo papa’. Tornato in Brasile, qualche mese dopo riceve la notizia della sua morte.

Una notte l’amaca su cui dorme si rompe, lui cade a terra battendo la schiena, la colonna vertebrale si incrina. Viene quindi a farsi operare. Ma torna presto in Brasile. E in quell’estate riceve laggiu’ la visita del fratello Giorgio e della sorella Sandra.

Giorgio ritorna presto in Italia, mentre la sorella Sandra muore lì ad Acarà per un incidente stradale. Un nuovo dolore per padre Alberto. Ancora una volta deve rialzarsi e riprendere la strada, piu’ solo, piu’ stanco, piu’ malato. Ha soltanto 46 anni ma fatiche e dolori si fanno sentire.

Resta nel sud del Brasile, dove gli affidano la vastissima parrocchia di Moreira Salles, nello stato del Parana’. Si rimette al lavoro, e’ di nuovo a fianco dei poveri che gli vogliono subito bene. Preghiera e azione, fede e opere. Continua a sporcarsi le mani con quella gente,  “non c’e’ uomo piu’ felice di me, quando mi metto per quelle strade tutte buche e polvere; ma si va e la felicita’ che porta il mio arrivo mi paga bene delle difficolta’ superate“.

Nel luglio 1976, il suo fisico è stremato e la notte del 29 e’ tormentato da incubi, i confratelli vicini di camera accorrono, spiega loro che ha sognato “persone sconosciute che mi vogliono fare del male e altre mi deridono e io non riesco a difendermi“. Sente un presagio di morte. Il mattino dopo si fa portare nella casa saveriana di Vista Alegre. Chiama padre Coruzzi: vuole fare una confessione pubblica davanti ai confratelli per spiegare quel sogno terribile.

Il provinciale lo dissuade, poi tornano a Curitiba con altri padri, superando pure un piccolo incidente automobilistico. Finita l’assemblea, gli chiedono di restare ancora un po’ per riposare e attendere l’esito degli esami medici. Lui accetta: tornera’ a Moreira Salles qualche giorno dopo sull’automobile di un suo parrocchiano. La notte del 30 luglio tornano gli incubi, alcuni padri gli fanno compagnia fino al mattino. Verso le 14 del 31 luglio esce dalla sua camera, lo vedono passeggiare tranquillo su una strada di campagna, in maniche di camicia e senza i suoi occhiali, come se fosse uscito a prendere un po’ d’aria.

Da quel momento scompare. I confratelli lo cercano, avvisano la polizia, interrogano il medico che lo ha curato, avvertono i superiori e i familiari, chiedono anche l’aiuto di una radio molto ascoltata in quella parte del Brasile. Non riescono a capire perche’ padre Alberto se ne sia andato via cosi’: senza occhiali, giubbotto (fa molto freddo in quel periodo), borsa.

Passano giorni, settimane, mesi. Finche’ – racconta padre Coruzzi – “il 9 settembre 1976 la polizia di Almirante Tamandare’, Municipio distante 15 chilometri da Curitiba, viene informata da un cacciatore che sul colle conosciuto come Morro dos Maristas c’e’ il corpo di una persona, in avanzato stato di decomposizione. Il giorno dopo verso le 7,30 un parrocchiano di Vista Alegre avvisa i Saveriani che padre Alberto e’ stato ritrovato. Ha sentito la notizia dalla radio. I padri sul momento trovano la notizia molto strana, in quanto la polizia non si era ancora fatta viva. Tuttavia si recano all’obitorio e solo in quel momento vengono informati del ritrovamento. Il corpo e’ irriconoscibile. Solo i documenti attestano che si tratta di un padre. Due studenti chiedono di poterlo vedere, gli viene concesso, ma non lo riconoscono. Alle 13,30 arrivo in aereo da San Paolo. Chiedo ai medici di poter vedere il corpo. Esaminiamo gli indumenti e non rimane piu’ alcun dubbio. Pantaloni, calze, camicia, scarpe sono di padre Alberto. Il resto e’ realmente impossibile riconoscerlo. Il cranio poi appare stranamente pulito. Il medico piu’ tardi ci informa della mancanza delle mani e di molti altri particolari. Cerchiamo di contestare tutte le ipotesi assurde che gli esperti avanzano, ma le prove dei fatti ci inducono ad accettare la tesi dell’assassinio“.

E’ stata affacciata anche l’ipotesi di un despacho (sacrificio) di macumbeiros (aderenti a una setta di magia nera), perche’ il luogo in cui e’ stato trovato il corpo mutilato di padre Alberto e’ tristemente famoso per questo genere di cose. Ma questa tesi, sempre ammissibile, non ha molti indizi probanti.

Tutti cercano una ragione per spiegarsi, almeno in parte, i moventi che hanno spinto a tanta efferatezza, ma non si intravvede. Tra il suo popolo padre Alberto non aveva nemici. E, realmente, l’abbiamo potuto constatare: tutti lo hanno pianto come la persona piu’ cara della famiglia. Le testimonianze che abbiamo potuto raccogliere durante il funerale e nei giorni seguenti fra tutti gli strati della popolazione sono cose preziose, degne di un santo che e’ passato fra la gente facendo solo del bene.

Fonte: http://www.santiebeati.it/dettaglio/93688