Mons. Aldo Forzoni

MONS. ALDO FORZONI

Vescovo (1912-1991) 7 dicembre

Uomo eccezionale ricevette molti doni dal cielo, doni che poi vide togliersi a causa di un ictus pur senza mai perdere forza e coraggio. In una lenta salita al calvario con Maria SS, esalò l’ultimo respiro in ospedale dove un incidente gli procurò la lenta bruciatura della parte destra del corpo.

Aldo Forzoni nacque a Montevarchi, in diocesi di Fiesole e provincia di Arezzo, il 18 agosto 1912 da una famiglia di modeste condizioni: il padre Pasquale era salariato artigiano e la madre Igina Mirri sarta. Entrò in seminario nel 1930 a diciotto anni, a dire il vero, piuttosto tardi per le usanze dell’epoca, in quanto nel 1924, alla sopravvenuta disoccupazione del padre, dovette sopperire alle necessità della famiglia con il proprio lavoro presso la distilleria Borghini dove, per la sua intelligenza e fedeltà passò presto ad essere l’uomo di fiducia del proprietario.

Forte di questa esperienza che aveva accolto con cristiana accettazione, parlando da Vescovo agli operai diceva loro: “La vostra vita la conosco. Sette paia di scarpe ho consumato. Sette fiaschi di lacrime ho colmato. Soffrite solo quello che si deve e non più. La fatica e il sacrificio della vita non vanno inquinati con il desiderio smodato di ciò che non si può raggiungere o con l’odio per i fratelli che appaiono in condizioni privilegiate”.

Nel frattempo, inoltre, si preparava al radioso futuro studiando la sera sotto la guida del parroco che in lui già scorgeva la santa vocazione sacerdotale. E così, a conclusione di un brillante corso di studi, venne ordinato il 31 maggio 1940, all’età di ventotto anni. Le meditazioni degli ultimi tre anni di preparazione al sacerdozio furono da lui stesso raccolte in un appassionante libretto, “Quaderni ingialliti”, da cui emerge tutto il suo desiderio di essere sacerdote secondo il Cuore di Maria.

Dopo un breve ministero quale Cappellano della Cattedrale di Fiesole, venne trasferito come Vicario cooperatore in aiuto del vecchio parroco di Gaville e di qui quale vice Parroco a S. Giovanni Valdarno. Nell’immediato dopoguerra, il Vescovo Giovanni Giorgis con grande coraggio lo nominò, seppur giovanissimo per età ed esperienza pastorale, Preposto dell’importante parrocchia di S. Lorenzo in Montevarchi. Qui, circa quindici anni prima del Concilio Vaticano II, don Aldo dette vita a forme alquanto nuove di apostolato, facendo della parrocchia un centro propulsore di vita cristiana, una casa di preghiera, di carità, un luogo di formazione alla preghiera e alla comunione.

E sono proprio queste le note caratteristiche della comunità cristiana come ne parlerà l’enciclica di Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte. Anche dopo il Concilio, da Vescovo, si adoperò per portare a tutti i fedeli i suoi dettati, cominciando col tradurre in forma di domande e risposte la costituzione sulla Sacra Liturgia.

Dopo soli otto anni di ministero nella città natia, fu eletto Vescovo di Gravina e Irsina, nel Barese, oggi diocesi di Altamura – Gravina – Acquaviva delle Fonti, il 14 maggio 1953. Vescovo a quarantadue anni, veniva così ad essere il più giovane presule d’Italia, volutamente scelto dal Santo Padre Pio XII per la sua fama di predicatore e di parroco amato dalla gente che viveva una vera povertà evangelica.

Ricevuta la consacrazione episcopale nella sua stessa parrocchia, approdò a Gravina il 13 settembre 1953. Venne poi trasferito alla sede episcopale di Diano – Teggiano, nel Salernitano, oggi diocesi di Teggiano – Policastro, il 30 novembre 1961, e dal 23 aprile 1970 divenne Vescovo di Apuania, oggi diocesi di Massa Carrara – Pontremoli, incarico che ricoprì fino alla rinuncia emessa il 23 febbraio 1988.

Amato dalla maggior parte dei suoi preti, dovette però spesso sopportare anche le umiliazioni infertegli da chi contava solo sui titoli di studio e non guardava alla sostanza perché la sua sapienza non gli derivava dai libri ma aveva un’origine superiore. Egli non era certo un dotto in senso accademico, eppure più d’uno gli chiese, raccontano i testimoni, se fosse laureato addirittura in matematica per la straordinaria capacità che aveva di organizzare in schemi i pensieri per i discorsi in brevissimo tempo. Ma egli, anche di fronte alle umiliazioni, rimase sempre ancorato a quanto scritto nel libro della Sapienza: “Le anime dei giusti, in cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé, li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto”.

Nella breve testimonianza sulla vita quotidiana di mons. Forzoni, redatta a Roma nel 2004 da suor Diletta Foladori delle figlie di Gesù, che lo servì dal 1972 sino alla morte, la domestica lo descrive come una persona sensibile, anche le piccole cose lo facevano soffrire, e, anche se soffriva in silenzio, s’intravedeva dal suo viso la sofferenza. Alle comprensibili premure della religiosa per il suo stato, egli soleva rispondere: “Solo Dio deve bastare. Abbiamo scelto una vita bella, ma non priva di difficoltà. La preghiera però è la nostra forza: dalla preghiera ci deriva la forza di affrontare quello che il buon Dio ci manda”.

Mons. Forzoni corrispondeva assiduamente con sacerdoti, religiose e laici di tutta Italia ticchettando agilmente sulla sua “Olivetti Lexicon 80” sempre pronto a dare un consiglio e un aiuto spirituale e materiale a chiunque si rivolgesse a lui. E soprattutto predicava molto, non solo nelle parrocchie e diocesi che ebbero la grazia di averlo come Pastore ma anche in molte chiese dalla Lombardia alla Sicilia e anche d’oltralpe: fu infatti invitato alla grande Missione popolare che negli anni Cinquanta indisse a Milano l’Arcivescovo Giovanni Battista Montini, partecipò alla predicazione preparatoria del Congresso eucaristico nazionale di Catania e a quella del Congresso internazionale di mariologia a Lourdes, dettò gli Esercizi spirituali al Pontificio Seminario Romano.

Spesso visitava le parrocchie anche senza preavviso e molte volte, racconta ancora suor Diletta, ritornava a casa spoglio del suo completo per la celebrazione perché lo lasciava nelle parrocchie in cui riscontrava una certa povertà. Per quanto riguarda le chiese, infatti, voleva che tutto fosse lindo e ordinato, dal pavimento alle suppellettili. Sempre puntuale lui, esigeva che lo fossero anche i suoi sacerdoti. E quando qualcuno di loro, per qualche motivo, tardava a scendere per la messa del primo mattino, se era già tra i banchi con i fedeli, non si scomponeva ma si parava e saliva all’altare, con la felicità degli astanti che avrebbero così potuto godere della sua omelia.

“…  Non vi porto nulla di mio perché nulla ho. Ho solo la capacità di mettermi a disposizione di Dio come strumento delle sue misericordie e della sua grazia. Come un sottile filo di rame attraverso il quale passerà, spero, molta energia, che sarà luce, calore e forza a tanti cuori. Che bellezza e quale onore per me essere un tale veicolo! Quale ricchezza per voi, oggetto e termine di tale Amore!”.

Come S. Francesco, attingeva da Cristo per diventare il più possibile una sua icona. Come S. Francesco fu semplice, umile e povero. Non sapeva però che il suo impegno di configurarsi a Cristo negli ultimi anni e alla fine dei suoi giorni sarebbe stato coronato dall’esperienza di un vero calvario. S. Francesco fu segnato dalle stigmate, mons. Forzoni, nel 1982, sarebbe stato colpito da un ictus cerebrale che avrebbe imposto alla sua vita una tanto penosa Via crucis.

Lui, così dinamico, sarebbe stato privato dell’autonomia motoria. Lui, dalla parola così fluente e vivace per la grande padronanza di linguaggio che possedeva, tanto che era anche poeta, egli stesso a Gravina diceva di essere “venuto dalla terra dei poeti”, sarebbe stato condannato a balbettare. Fiaccato nel fisico proprio nei doni più preziosi che il Signore gli aveva fatto, conservò però la lucidità della mente fino alla fine.

A lode della paternità di Dio così scrisse in una lettera: “Non deve essere piacevole per il Padre celeste vederci muti e tetri con i gomiti puntati sul desco della vita e gli occhi accusatori fissi in lui quasi a domandargli: perché ci hai messi al mondo? Né deve essere molto carezzevole al suo orecchio e al suo cuore la nostra preghiera, quasi esclusivamente di petizione e quasi mai di ringraziamento”.

In seguito all’ictus, gli venne affiancato un Vescovo ausiliare con diritto di successione nella persona di mons. Bruno Tommasi, che in seguito diverrà Arcivescovo di Lucca; ma l’aiuto più grande, seppur meno evidente, è quello prestatogli quotidianamente dai suoi seminaristi e dalle altre persone che in vari modi lo assistevano nelle indigenze della malattia.

Mons. Forzoni racconta: “Una volta, andando a trovarlo, mi fece capire, additandomi il crocifisso, che nel momento in cui Gesù [era] inchiodato alla croce incapace di parlare e di insegnare, senza segni miracolosi, si compì la redenzione”.

La sua vita si concluse con il sigillo, il marchio del fuoco: l’oro fu purificato. Mons. Aldo Forzoni morì all’ospedale di Massa nella tarda serata del 7 dicembre 1991, in seguito ad un incidente dovuto ad un cortocircuito che lo bruciò lentamente riducendo tutta la parte destra del suo corpo un’unica grande piaga. Stando al racconto del diacono che lo assisteva in quelle ultime ore di agonia, si spense dolcissimamente: “Ad un tratto ha dato un lungo respiro poi ha aperto gli occhi e sorriso, ha reclinato il capo ed è spirato”.

 

FONTE: http://www.santiebeati.it/dettaglio/95508