Luigi Calabresi

Luigi Calabresi

Martire della giustizia (1937-1972) 17 maggio

In un suo quaderno di note dello spirito, scrisse: “Appartengo a un gruppo di giovani che vuol andare contro-corrente. In questo mondo neopagano, il cristiano continua a dare un’enorme fastidio, perché il fine che persegue, lo scopo che dà alla vita, non coincide con quello dei più…

Presso la sua casa a Roma, c’era un’Associazione Cattolica molto viva: Luigi, frequentandola, vi incontrò buoni sacerdoti e crebbe nella conoscenza e nell’amore a Cristo e nella fedeltà alla Chiesa; adolescente limpido, leale e diritto, che non tollerava volgarità, pieno di dignità e di gioia.

Al Liceo S. Leone Magno, studiava con profitto, maturando un’ottima cultura con principi forti e luminosi ideali di donazione a Dio e al prossimo. Ne uscì a 18 anni, giovane cattolico che, dovunque si fosse buttato, si sarebbe distinto. Ormai vedeva la vita, il mondo e ogni scelta solo alla luce della fede – la luce di Cristo – e ne faceva propria la mentalità in ogni momento.

Così scelse “giurisprudenza”, con l’intento di fare della professione di domani un servizio alla società, con lo stile di Gesù.

Durante gli studi universitari entrò nel movimento Oasi, fondato il I° novembre 1950 dal gesuita P. Virginio Rotondi, impegnandosi con la meravigliosa promessa di consacrazione che trascriviamo intera:

O Gesù, Re divino Salvatore del mondo, io ti rendo grazie per avermi scelto e chiamato a offrire a Te, per le mani di Maria Immacolata, tutta la mia giovinezza. Assumo l’impegno di conservare in essa immacolato il mio candore e di questo faccio voto oggi. Voglio meditare, visitarti e nutrirmi di Te ogni giorno. Voglio onorare Maria, tua e mia Madre con il Rosario quotidiano. Metto a servizio della Chiesa il mio tempo e le mie energie. Accetta in odore soavità questo mio olocausto e dammi la grazia di saper affrontare anche la morte per rimanere fedele a Te, o Re divino, Gesù Salvatore del mondo“.

Così la vita diventò, ancora di più per Gigi, un continuo esaltante “sì” a Cristo e alla Chiesa, in intimità con Lui, nell’apostolato nella società, con disinvoltura e fierezza. Visse con generosità estrema questo stile di vita, entusiasmante, con “Gesù solo” al centro, con Gesù solo come vera passione d’amore.

In un suo quaderno di note dello spirito, scrisse: “Appartengo a un gruppo di giovani che vuol andare contro-corrente. In questo mondo neopagano, il cristiano continua a dare un’enorme fastidio, perché il fine che persegue, lo scopo che dà alla vita, non coincide con quello dei più… Sentiamo di vivere, tutto sommato, in un mondo non nostro, che tende a escluderci e a sopprimerci. Il mondo, così com’è, lo sentiamo ostile“.

Gigi amava tutti con il cuore di Gesù, ma come Gesù sentiva di essere un esule, anzi un continuo tormento per il mondo del peccato e del rifiuto di Dio. Si laureò brillantemente con una tesi sulla lotta alla mafia. Pensando e pregando, capì che la sua strada sarebbe stata quella del matrimonio cristiano e di un servizio disinteressato al bene comune, da laico cristiano, cattolico vero.

Continuò pertanto a approfondire la sua cultura teologica, partecipando attivamente a incontri con altri giovani a studiare la Sacra Scrittura e a pregare insieme. Poi, la decisione per la carriera in Polizia, per essere in questa struttura, luce e fermento di Vangelo.[…]

Incontra Gemma, la ragazza che sposerà, e sente che matrimonio e famiglia non sono ricerca di se stessi, ma una grande missione: “Si impara a essere buoni sposi, quando ancora non si è sposati. Prima, molto prima ci si prepara“. Lui lo fa nel rispetto gioioso della Legge di Dio, nella purezza che ha consacrato a Dio nel movimento Oasi!

Nel 1969, si sposa con Gemma: è felice assai, ma proprio in quell’anno, il suo lavoro diventa durissimo. Nel ’70, il primo figlio, poi, negli anni che verranno, gli altri due. Sono la sua gioia più grande.

Quanti ragazzi – si domanda – hanno il modo di sentire davvero la famiglia? Il genitore deve fare il padre o la madre; quando vuol fare troppo l’amico o il fratello maggiore, sbaglia. Il figlio deve avere un padre, cioè ben più di un amico. Vuole avere una guida che sappia dire anche dei no, quando sono motivati“.

Nel 1970, Luigi Calabresi diventa commissario-capo. In Italia, a Milano avvengono fatti gravissimi. Lui è in prima linea e non si arrende, va sino in fondo nel suo compito, senza compromessi. È attaccato ingiustamente da molti per la sua fermezza: “Io non posso fuggire – spiega – non voglio che domani qualcuno dei miei figli possa dire: tuo padre è fuggito“.

Sperimenta amarezza e solitudine, ma dice: “Se non fossi cristiano, non so come resistere“, ma confida anche: “Ho trovato risorse morali di cui ignoravo l’esistenza“. Come ha imparato da Gesù, esclude sempre l’odio, anzi coltiva la carità, anche per chi l’offende, pregando Dio di saper vivere il Vangelo sino alle ultime conseguenze. A un amico dice: “L’importante è il poter dire di aver sempre fatto il proprio dovere, tutto intero“.

Ama rileggersi e meditare un pensiero di uno scrittore, che ha fatto suo come condotta di vita: “Io ho fiducia nel Signore e nei suoi vasti disegni (anche se stiamo passando e scontando un periodo di sbandamento morale), e perciò penso che per quanto pochi ci si riduca, bisogna resistere a ogni costo sulle posizioni non ancora sommerse; e su queste attendere a dar mano a quanti, a poco a poco, approderanno, sfuggendo al gran naufragio“.

Gigi, che ora (siamo nel 1972), è noto in tutta Italia e altrove come “il commissario Calabresi”, resiste con coraggio, con audacia, rifiutando anche la scorta, per non mettere altri in pericolo, e confidando a qualcuno: “Forse sono un idealista… Ma io credo in Dio, cerco di servirlo fedelmente. Ma oggi a fare un discorso così, non sei capito. È meglio proseguire per la propria strada con coerenza al Vangelo“.

Trova energie nella fede, nella preghiera quotidiana, nel suo intenso rapporto con Gesù.

Mercoledì 17 maggio 1972, proprio sotto casa sua, è freddato da terribili spari alla nuca e alla schiena. Muore all’istante. L’ideologia non accetta un cattolico coerente nella società!

Il suo volto giovane e maschio – aveva 35 anni non ancora compiuti – parve a tutti i puri di cuore come “un Adamo senza peccato, un eroe antico senza macchia e senza paura, caduto per la Verità e la libertà”. Vennero parole di altissimo riconoscimento alle sue qualità cristiane; da Papa Paolo VI e presuli e credenti illustri. Qualcuno affermò: “Ci sono in lui i lineamenti del santo“. P. Rotondi, il fondatore dell’Oasi, scrisse: “Gigi visse da santo e morì da martire”.

Oggi si parla di avviare la sua causa di beatificazione… È certo comunque che, come Gigi Calabresi, dobbiamo trovare il coraggio di andare contro-corrente, di passare all’opposizione di questo mondo di peccato, per proclamare, anche se dà fastidio a troppi, anche sedicenti cristiani, con la vita e con parola: “GESÚ SOLO”

Fonte: http://www.santiebeati.it/dettaglio/94632