Venerabile Genoveffa de Troia

Venerabile Genoveffa de Troia

Terziaria francescana (1887 –  1949) 11 dicembre

venerabile-genoveffa-de-troiaColpita fin da bambina, da una rara patologia che attacca prima i polmoni e le ossa fino a costringerla a letto mentre il corpo si deteriora di giorno in giorno, impara a vivere quella condizione come volere di Dio, esercitando nel frattempo la carità verso chi era ancora più nel bisogno di lei..

Nacque a Lucera, in provincia di Foggia, il 21 dicembre 1887, primogenita dei cinque figli di Pasquale de Troia e Vincenza Terlizzi. La sua esistenza aveva da poco preso il via e già appariva segnata: non avrebbe vissuto per più di ventiquattr’ore, a detta di chi aveva assistito al parto. Di conseguenza, venne battezzata subito e, a cinquanta giorni, ricevette anche la Cresima.
Contrariamente a quelle fosche previsioni, Genoveffa sopravvisse perfino a due fratelli venuti dopo di lei, morti di polmonite. A quattro anni ebbe problemi di salute: tutto il suo corpo fu percorso da strani dolori e sulla gamba destra le si aprì una piaga infetta, che non guarì mai.
Ogni anno la mamma la portava, su un carretto, al santuario della Vergine Incoronata di Apricena per implorare la guarigione. Fu durante l’ultimo pellegrinaggio che, mentre era raccolta in preghiera, la bambina sentì una voce che le diceva: «Non guarirai», al che lei rispose prontamente, inginocchiandosi sul carretto: «Sia fatta la volontà di Dio».
Visse nella povertà della famiglia, segnata dal lavoro incerto del padre, che era guardia campestre e non sempre riusciva a pagare regolarmente l’affitto. Nel 1901, a quattordici anni, venne inviata a scuola dalle Suore di Carità, a Lucera, per imparare il ricamo e il cucito. La sua maggior cura, però, era nell’ornamento degli altari della cappella. Iniziò a pensare di consacrarsi a Dio, ma una nuova voce interiore dapprima e i consigli di una religiosa, suor Teresa, la portarono a desistere.

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Per rimpinguare le finanze familiari, già provate dalla morte del fratello Vittorino, andò a servizio presso una famiglia di Trani e, dopo un mese, presso un avvocato di Lucera.
Fu durante quel lavoro che la malattia che covava da anni si rivelò in tutta la sua drammaticità: dopo pochi mesi dall’inizio, si mise a letto, da dove non alzò più. Si trattava della lipoidosi o granulomatosi, detta anche malattia di Hand-Schüller Christian, progressiva e peggiorativa, caratterizzata da alterazione e deformazione delle ossa craniche, a volte aumento della testa e atrofia genitale.

Genoveffa si sentiva come flagellata dalla testa ai piedi, mentre il suo corpo si rimpiccioliva a poco a poco, vittima di un nanismo ipofisario. La permanenza a letto le procurò inoltre piaghe da decubito putrescenti in varie parti del corpo. Per tutte queste ragioni, nei suoi ritratti e nelle fotografie che ci rimangono, è raffigurata come interamente coperta di bende. Ma tutto questo era da lei accettato come volontà di Dio.

venerabile-genoveffa-de-troia2Nel 1913, seguendo l’occasionalità di un lavoro trovato dal padre, la famiglia si trasferì a Foggia, in varie abitazioni. Genoveffa rimase sola con la madre, a seguito della morte del fratello Attilio, di quella del padre e del matrimonio di Annita, l’unica sorella superstite.
Al suo capezzale si alternavano persone di ogni ceto a chiedere consigli, preghiere, conforti; ormai la sua angusta stanzetta era diventata come una piccola cappella, il cui altare era il lettino su cui Genoveffa si immolava per i peccati del mondo. Diceva: «Il giorno sono a disposizione delle anime che mi manda Gesù. La notte, tutta per Gesù a pregare e soffrire con Gesù».

L’incontro con padre Angelico da Sarno, cappuccino e commissario del Terz’Ordine Francescano, nel 1925, fu determinante per la vita  spirituale della giovane sofferente: egli ne divenne confessore e direttore spirituale, seguendola fino alla morte.
Dopo vari spostamenti dovuti all’incomprensione dei proprietari di casa, timorosi della malattia di Genoveffa, il religioso fu costretto dalla volontà di Genoveffa a sistemarla in una casetta in via Briglia 3 (oggi via Genoveffa de Troia) a Foggia. La strada era posta in un quartiere non proprio esemplare, affollato di case di povere prostitute. Il debole commento della donna fu: «Padre, dove mi avete mandata?».

venerabile-genoveffa-de-troia1Ma la sua presenza divenne opera di “bonifica” della zona: man mano aumentava il numero delle persone che si recavano a visitarla. Alcune famiglie le inviavano ogni giorno il cibo della propria tavola, ma lei, che non mangiava quasi niente, lo dirottava alle famiglie dei dintorni che soffrivano la fame. Il 2 gennaio 1931 Genoveffa compì la sua professione nel Terz’Ordine Francescano. La sua celletta, come definiva la sua stanza, si trasformò in cenacolo di preghiera. Benché praticamente analfabeta, dettava lettere che inviava dovunque, portatrici del messaggio della perfetta letizia.

Dalla sua cattedra di dolore, lei insegnava quella spiritualità operosa che fu concretizzata poco lontano da Foggia, a San Giovanni Rotondo, dal cappuccino, nonché futuro santo, padre Pio da Pietrelcina. Non lo conobbe mai direttamente, però fra loro ci fu grande consonanza, tanto che nella cella di lui è ancora visibile una piccola biografia di Genoveffa.

Nel tempo dell’affermazione delle ideologie razziali, una vita che altri avrebbero scartato diventava quindi guida spirituale, aiuto effettivo nei bisogni, conforto nelle immancabili difficoltà della vita sia fisiche che morali. Nel 1943, a causa dei bombardamenti sulla città di Foggia, Genoveffa si trasferì a Troia, ma tornò nel 1945; nel frattempo, perse anche la madre. In quell’anno venne a trovarla un altro Cappuccino, fra Daniele Natale da San Giovanni Rotondo, che la beneficò largamente e venne a sua volta beneficato nello spirito. Anche per lui è in corso la causa di beatificazione. Nei primi giorni di dicembre del 1949 sembrava che Genoveffa fosse al limite: «Perdonami, Gesù! Chiamami a te! Dammi ancora la forza di soffrire!».

I resti mortali e i il vestiario di Genoveffa durante la visita dell’arcivescovo

Padre Angelico, a causa di alcuni impegni, il 9 dicembre poté portarle solo la Comunione e non, come le aveva promesso, celebrare la Messa in camera sua. Alla preoccupazione della sua assistita, che temeva di non arrivare all’indomani, lui rispose chiedendole l’“obbedienza” di aspettare ad andarsene solo dopo che avrebbe avuto la celebrazione in casa, e così avvenne.

Al termine della Messa, Genoveffa parve come trasfigurata, ma le sofferenze ripresero. Dopo aver ricevuto l’Unzione degli infermi, morì alle 10.30 dell’11 dicembre 1949, a 62 anni non ancora compiuti. Tra le mani aveva la corona del Rosario e il crocifisso. Il suo corpo fu inumato nella cappella di Santa Monica del cimitero di Foggia.

Già durante la sua vita, Genoveffa aveva espresso il desiderio che i suoi amici si costituissero in una vera e propria “Famiglia Spirituale”, che dal 1985 ha dato vita all’Associazione Genoveffa De Troia. Quest’organismo costituisce il prolungamento della sua azione caritativa, in particolare nell’ambito dell’assistenza nelle carceri e nell’accoglienza di minori a rischio. L’Associazione e la Famiglia Spirituale promuovono inoltre la diffusione della sua fama di santità. Al riscontrare che non era mai venuta meno, si decise di procedere all’apertura della sua causa di beatificazione.

Fontehttp://www.santiebeati.it/dettaglio/91018