San Filippo Neri

SAN FILIPPO NERI

fondatore (1515-1535) 26 maggio

Definito l'”apostolo di Roma”, ecco alcune delle sue più famose San_Filippo_Neri_ritratto_Concamassime:«È più semplice guidare nella vita spirituale persone allegre piuttosto che tristi»; oppure: «Non si deve pretendere di diventare santi in quattro giorni, ma passo dopo passo». Era solito dire ai suoi ragazzi dell’oratorio: «State buoni, se potete», «L’uomo che non prega è come un animale muto», e, toccandosi la fronte, «La santità sta nello spazio di tre dita». Il suo sagace spirito disarmò le critiche più accese.

Filippo è probabilmente uno dei santi più affascinanti del suo e di tutti i tempi. I naturali talenti di perspicacia, sensibilità e sano realismo erano in lui accompagnati sempre dalla gioia, che gli derivava soprattutto dalla costante consapevolezza della presenza di Dio. Chiamato “l’apostolo di Roma”, diede un esempio di santità cristiana in un momento difficile sia per le forme di neo-paganesimo presenti in alcuni aspetti del Rinascimento, sia per il tipo di reazione messo in atto dall’autorità ecclesiastica con istituti quali l’Inquisizione e l’Indice. In questi tempi critici Filippo visse secondo l’amore di Dio, adattando la fede all’uomo, diffondendo gioia e fiducia, combinando la solitudine e il silenzio con un profondo amore per i fratelli dell’Oratorio e per tutti coloro che entravano in contatto con loro.

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Filippo_NeriNon era romano, ma fiorentino di nascita. Suo padre era un notaio che coltivava la passione per l’alchimia; sua madre diede alla luce quattro figli, ma morì quando Filippo aveva solo cinque anni. Fu battezzato nel famoso battistero della cattedrale e ricevette una prima educazione religiosa presso il convento dei domenicani di S. Marco, reso famoso dai numerosi dipinti di Beato Angelico. Padre e figlio consideravano favorevolmente la causa del Savonarola e Filippo conservò per tutta la vita un’alta stima per i domenicani.

Nel convento di S. Marco potè vedere il ritratto, la cella e la Bibbia del Savonarola, il cui programma di riforma auspicava appunto il ritorno alle Scritture; qui, ancora, prese parte a processioni religiose e a cori popolari che si contrapponevano ai cortei e ai divertimenti del tempo. Quando nel 1532 i Medici fecero ritorno a Firenze, Filippo la lasciò per sempre (suo padre si trovava in difficoltà finanziarie e in precedenza si era opposto ai Medici).

Filippo si recò quindi a sud per vivere con uno zio che svolgeva la professione di mercante e abitava a S. Germano (Cassino). Da qui egli visitava spesso Montecassino, dove imparò ad amare la liturgia, i Padri del deserto, la stabilità e la vita comunitaria. A quel tempo avvertiva anche un gran desiderio di solitudine, in parte soddisfatto dalle visite frequenti a una chiesetta di montagna, dove poteva vivere uni sorta di “esperienza mistica”. Rimase a S. Germano circa un anno, poi partì per Roma, ben sapendo che la vita di mercante non era fatta per lui. Era il 1533.

A quel tempo Roma si trovava in una condizione piuttosto critica. Quando i mercenari
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di Carlo V nel 1527 avevano saccheggiato la città avevano lasciato dietro di sé un gran numero di chiese profanate e opere d’arte e manoscritti distrutti. Clemente VII, della famiglia de Medici, fu papa fino al 1545; gli succedette Paolo III, il cui pontificato coincise quasi esattamente con il periodo che Filippo trascorse a Roma da laico. Egli prese alloggio vicino al Pantheon presso un funzionario di dogana proveniente da Firenze, e divenne precettore dei suoi due figli. Il suo stile di vita era veramente semplice; l’arredamento della camera da letto era ridotto all’indispensabile; la dieta era costituita da pane, olive, vino e acqua.

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Intraprese uno studio intenso della filosofia e della teologia, partendo dalle opere di S. Tommaso d’Aquino; visse in modo quasi eremitico, trascorrendo notti di preghiera nell’una o nell’altra delle Sette Chiese, e concluse questo periodo con la vendita dei suoi libri per dedicarsi interamente alla preghiera e alla vita solitaria. Frequentava anche le catacombe, dove nel 1544 ebbe un’esperienza mistica con conseguenze fisiche che lo accompagnarono per il resto della vita. 

san filippo neri (1)Il suo primo biografo la descrive con queste parole: «Egli si sentì all’improvviso riempito della potenza dello Spirito Santo con tale forza che il suo cuore cominciò a palpitare insieme al corpo e ad essere infiammato di un tale amore che, non essendo la sua natura abituata a tali sollecitazioni, comprese di non poterle sopportare a lungo».

Anni dopo Filippo confidò che vide un globo di fuoco entrargli in bocca e che sentì il suo petto dilatarsi sopra il cuore. Egli si gettò a terra e gridò: «Basta, Signore, basta! Non posso resistere oltre». A lungo avvertì un calore fisico interno e un violento tremito dovuto al battito del cuore. Filippo fece sempre del suo meglio per nascondere questi fenomeni ed era estremamente riservato riguardo a qualsiasi avvenimento straordinario. Un altro fenomeno fisico che lo ha caratterizzato fu un rigonfiamento sopra al cuore, delle dimensioni di un pugno d’uomo: dall’autopsia fu possibile constatare che c’erano alcune costole rotte che permettevano al cuore di espandersi e di contrarsi e forse fu segno di un fenomeno soprannaturale proprio il fatto che, nonostante questa singolare malattia, potè vivere a lungo.

Nel 1551 fu ordinato prete. La sua esperienza di Dio lo condusse sempre più verso gli uomini. La Riforma era già nell’aria. S. Ignazio di Loyola (31 lug.) e S. Francesco Saverio (3 dic.) erano tra i suoi amici, come anche molti dei pazienti dell’ospedale S. Giacomo, dove prestava servizio ai malati. S. Camillo de’ Lellis (14 lug.) cercava di essere da lui guidato e diretto.

L’altra istituzione che esercitò un’influenza duratura sulla vita di Filippo fu quella di S. Girolamo: era questa un’associazione di preti secolari “volontari” che forniva guercino_002_san_filippo_neri_1656gratuitamente cibo ai suoi assistiti. La libertà di questo stile di vita ben si adattava a Filippo: diceva Messa alla fine della mattinata, trascorreva gran parte del tempo in confessionale, pregava e praticava le Quarant’Ore di adorazione. Conversione e  sottomissione a Cristo erano al centro della sua spiritualità, così come lo furono per i contemporanei ordini riformati, quali i gesuiti e i teatini. La confessione era vista come il mezzo per condurre le persone a Cristo: a quest’opera di apostolato dedicava molte ore della sua giornata e la conservò fino alla fine della sua vita. Egli riteneva che, durante la confessione, l’amore e la misericordia di Cristo potevano trasformare la vita delle persone, strappandola da quella ignavia e quell’incredulità così comuni nella Roma rinascimentale. In quest’incontro con le anime era soprattutto la traboccante generosità di Filippo che attirava, anche se non devono essere trascurati gli episodi di chiaroveggenza.

Tutti coloro che erano guidati da lui formarono un gruppo per la celebrazione dei vespri o per le “visite” a una o all’altra delle Sette Chiese di Roma. Fu così che ebbe inizio l’Oratorio. Filippo aveva da tempo deciso di non entrare a far parte di un ordine esistente. In linea con il suo carattere, egli cercava di trovare la propria particolare strada concretamente: «Signore, fa’ di me secondo la tua sapienza e la tua volontà». C’erano già state in precedenza persone che avevano avuto l’idea di un oratorio, ma la formula di Filippo fu quella più efficace, resistendo anche alla prova del tempo. Gli incontri cominciavano sempre con la lettura e la discussione di un libro, o della Scrittura o di mistici. Il libro diventava così «lo strumento dello Spirito». Dopo aver letto, il gruppo si dedicava alla preghiera, poi a un breve pellegrinaggio nelle chiese oppure alla musica.

san_filippo_10 piccDurante gli eccessi del carnevale romano Filippo non pronunciava esortazioni che minacciavano le fiamme dell’inferno, ma portava il suo gruppo (passato dalla trentina di persone iniziali a varie centinaia) a “visitare” le antiche basiliche di Roma. L’Oratorio stesso non fu mai riservato ad un’elite, attirando persone di ogni tipo: artigiani e calzolai, studiosi e artisti, dottori e nobili. Tutti erano affascinati dalla santità gioiosa di Filippo, anche se alcuni rimasero sconcertati dai suoi scherzi. Egli poi chiedeva a tutti, anche ricchi e ben vestiti, di prestare servizio negli ospedali e di chiedere l’elemosina per e con i poveri. Egli stesso faceva la carità con generosità, ma di nascosto, tanto che se ne venne a conoscenza solo successivamente.

Con l’elezione di Paolo IV, papa riformatore energico ma autoritario, Filippo fu chiamato alla presenza del cardinale vicario di Roma, rappresentante dell’Inquisizione: venne sospeso per due settimane dalla possibilità di ascoltare confessioni e fu accusato di essere ambizioso, orgoglioso e d’introdurre novità. Un misterioso frate visitò gli oratoriani dicendo che, in seguito alle successive Quarant’Ore di adorazione, l’ostilità si sarebbe attenuata, e così avvenne. Nei 1567, al tempo di S. Pio V (30 apr.) riprese però vigore, alimentandosi di sotterfugi.

Fu perfino decisa la chiusura dell’Oratorio, ma S. Carlo Borromeo (4 nov.) la impedì. Le chiacchiere, il sospetto e l’invidia procurarono a Filippo una profonda sofferenza, ma la sua pazienza e la sua umiltà gli garantirono sempre una totale trasparenza. Trascorso questo periodo difficile, iniziò a spirare un vento nuovo durante il papato di Gregorio XIII (1572-1585). I costumi migliorarono; il potere della ricchezza parve spezzarsi; l’istruzione, grazie alla fondazione di collegi nazionali per il clero, fece entrare la riforma tridentina in molti paesi; non a caso fu questo papa ad San_Filippo_Neriapprovare sia l’Oratorio di S. Filippo che la riforma del Carmelo propugnata da S. Teresa (15 ott.). Al momento dell’approvazione ufficiale dell’Oratorio nel 1575, gli oratoriani possedevano una chiesetta modesta, che ricostruirono con il nome di Chiesa Nuova grazie alle donazioni di ricchi e poveri e al contributo di ottomila corone donate dal papa. La chiesa, per quanto incompleta, fu utilizzata già dal 1577.

La costruzione dei transetti e del coro richiesero la demolizione della casa degli oratoriani, ma il cardinale Cesi offrì loro un convento abbandonato nelle vicinanze. Folle numerosissime confluivano nella loro chiesa, e Filippo, trasferendosi nella nuova casa, occupò una soffitta molto isolata che ben si adattava a ricevere i numerosi visitatori. Gli aspiranti novizi erano così numerosi che se ne dovettero rifiutare alcuni; gli ideali di Filippo e la loro attuazione si stavano mostrando davvero affascinanti e vennero fondati altri oratori in Italia, soprattutto a Bologna e a Napoli.

Anche se non cercò mai direttamente di riformare la Chiesa o la Curia, la sua influenza si fece sentire con forza in questa pur necessaria impresa. Il cardinale Newman confrontò l’opera di apostolato di Filippo con le vocazioni missionarie e la descrisse come un rimanere a casa non per evangelizzare, ma per recuperare: «Il confessionale era la sede e il sigillo del suo specifico apostolato. Mentre S. Francesco Saverio battezzò decine di migliaia di persone, Filippo per quarantacinque anni trascorse ogni giorno e quasi ogni ora risollevando, ammaestrando, incoraggiando e guidando i penitenti lungo la stretta strada della salvezza ». Il desiderio di ritorno alla vita apostolica che lo ispirava gli ha procurato l’appellativo di “Secondo Apostolo di Roma”.

S._Filippo_24Il quotidiano uso della Parola di Dio, non solo letta ma predicata, unito alla partecipazione frequente ai sacramenti, ottenne il rinnovamento da molti desiderato. Fu questo che lo accomunò a Savonarola, anche se Filippo fu più compassionevole e più paziente, e il suo atteggiamento di reverente sottomissione alle autorità ecclesiastiche differì dalle infiammate diatribe del famoso domenicano. Così descrive il metodo di Filippo un suo contemporaneo: «Con la parola di Dio accendeva miracolosamente in molti cuori un sacro amore per Cristo. Egli non aveva in animo nient’altro se non di infiammarli con il desiderio della preghiera, della partecipazione ai sacramenti e delle opere di carità».

Si sa che lo spirito di un santo è sempre inafferrabile; quello di Filippo può comprendersi meglio attraverso le sue massime. Ne riportiamo alcune: «È più semplice guidare nella vita spirituale persone allegre piuttosto che tristi»; oppure: «Non si deve pretendere di diventare santi in quattro giorni, ma passo dopo passo». Egli conosceva anche l’importanza dell’aria fresca e di una sana dieta per coloro che si trovavano in cattive condizioni di salute. Era solito dire: «State buoni, se potete», «L’uomo che non prega è come un animale muto», e, toccandosi la fronte, «La santità sta nello spazio di tre dita». Più e più volte il sagace spirito di Filippo disarmò le critiche.46-S-Filippo-Neri-1

Gli ultimi anni della sua lunga vita trascorsero nella stessa attività, instancabile, ma anche nella medesima ricerca di solitudine. Spesso aveva visioni durante la Messa, continuò le sue passeggiate romane e pare che niente gli piacesse di più che essere considerato un pazzo eccentrico. Previde la sua morte e la preparò con cura. Trascorse l’ultimo giorno celebrando l’eucarestia e ascoltando confessioni: morì nella prima mattinata del 26 maggio 1595. Immediatamente acclamato santo dalla gente, fu canonizzato nel 1622.

Alla sua morte l’Oratorio contava sette case, tutte in Italia, ma oggi è sparso in molti paesi, nel Nuovo e nel Vecchio continente. Tra i suoi membri più illustri ci sono lo studioso italiano Baronio, lo scrittore spirituale francese Bérulle, e John Henry Newman, uno dei più preparati seguaci di Filippo ordinato santo ad ottobre del 2019. La recente fondazione di un Oratorio a Oxford, dopo più di cent’anni di progettazione, ha realizzato uno dei suoi progetti più cari.

E’ INVOCATO: – contro i reumatismi e i terremoti – come protettore dei giovani

Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler

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