Santi Giona e Barakiso

Santi Giona e Barakiso

 monaci martiri (326/327) 29 marzo

Mentre i cristiani dell’impero romano trovarono pace sotto Costantino, quelli in Persia  continuarono a essere soggetti a una crudele persecuzione nella quale diciottomila fedeli trovarono la morte, tra questi due monaci: Giona e Barakiso.

Costantino stesso, scrivendo a re Sapore II, chiede clemenza verso i cristiani. Il racconto della passione e del martirio di Giona e Barakiso fu scritto da un testimone oculare, Isaia, un cavaliere al servizio del re. Nel corso del diciottesimo anno del regno di Sapore le persecuzioni contro i cristiani erano ancora brutali: fu dato ordine di distruggere chiese e monasteri e di obbligare i fedeli a offrire sacrifici agli dèi pagani, torturando senza pietà coloro che si rifiutavano.

Giona e Barakiso, due monaci cristiani del villaggio di Iasa, furono informati del pericolo e partirono per Bardiaboc, dove alcuni fedeli erano tenuti prigionieri. Arrivati, scoprirono che nove di essi erano già stati condannati a morte e li incoraggiarono a perseverare fino alla fine. Queste nove persone furono giustiziate, e anche Giona e Barakiso vennero
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 presso lo stesso giudice che aveva emesso la sentenza perché non avevano acconsentito a offrire sacrifici, ad adorare il sole, il fuoco o l’acqua, e soprattutto perché avevano incoraggiato i cristiani a disobbedire al re. Il giudice chiese loro se erano disposti a obbedire al re e ad adorare gli elementi, ed essi risposero:

«Come principe e giudice nominato dal re dei persiani, è giusto che tu ci dia ascolto: dal momento che possiedi il dono di giudicare giustamente, non devi forse onorare colui che ti ha data la sapienza e il discernimento piuttosto che un re terreno? Non devi forse riconoscere Dio che è il reggitore della terra e del cielo e di tutti gli esseri viventi, che ha fissato le stagioni, che governa tutte le cose e ti ha donato la saggezza con cui tu puoi giudicare gli esseri di carne simili a te? Ti scongiuriamo di dirci con franchezza quale Dio dobbiamo rinnegare, il Dio dei cieli o un dio sulla terra, il Dio eterno o un dio mortale? Noi crediamo nel Dio che ha fatto il cielo e la terra e non in un essere mortale, non è giusto che si debba credere in un essere che vive per un breve periodo, muore ed è seppellito come noi».

Questo discorso rese furioso il giudice, che ordinò di portare fruste e verghe, poi separò i due uomini, facendo restare solo Giona: promise a quest’ultimo grandi onori se avesse obbedito a ciò che gli veniva ordinato, ma pesanti punizioni se non lo avesse fatto. Giona rispose: «Non rinnegherò mai il mio Signore, Gesù Cristo, che vive in eterno».

2Sapore Gordiano e Filippo

A queste parole fu fatto stendere faccia a terra con un paletto appuntito conficcato sullo stomaco e frustato senza pietà. Durante la punizione Giona pregò in silenzio e, non appena terminate le frustate, lanciò una sfida ai giudici: «Io credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, nel Dio trino e unico, che regge tutto il mondo, che ha creato tutte le cose, tra cui anche i vostri dèi che voi credete di costringerci ad adorare con la forza». Fu legato e gettato fuori dalla porta nella fredda notte invernale.

Anche a Barakiso furono presentate le due possibilità, con l’aggiunta della falsa notizia del rinnegamento di Giona. Egli rispose serenamente che era una menzogna e parlò con tale fervore di Dio, il creatore di tutte le cose, che i giudici temettero che potesse influenzare i presenti. Decisero allora di interrogarlo quella notte, quando nessuno avrebbe potuto sentire i suoi discorsi ispirati e, infuriati per non essere riusciti a ridurlo all’obbedienza, lo torturarono con delle lance roventi e poi lo fecero riportare in cella, dove rimase tutta la notte appeso per un solo piede.

Il mattino seguente Giona fu riportato dentro e gli fu chiesto come aveva passato la notte. «Non ho mai dormito così bene», fu la risposta «ho tratto conforto dalla croce alla quale è stato inchiodato il mio Signore Gesù Cristo.» I giudici gli dissero allora che Barakiso aveva rinnegato la sua fede, ma egli li interruppe dicendo: «Ha abbandonato il diavolo e i suoi angeli da molto tempo e da allora è sempre stato fedele con tutto il suo cuore a Gesù». Gli chiesero: «Non è meglio che tu rinunci al tuo Dio per salvarti?», ma egli replicò: «Se il grano viene accumulato, diminuisce e non si moltiplica; così se una persona perde la sua vita in questo mondo a causa di Cristo, credendo in lui e compiendo la sua volontà, verrà rinnovato da una luce eterna quando Dio verrà per fare nuove tutte le cose».

Gli tagliarono allora le dita delle mani e dei piedi, dicendo che le avrebbe riavute indietro al tempo della mietitura, poi lo gettarono in un calderone di pece bollente e infine gli frantumarono le ossa sotto una pressa.

I giudici rivolsero quindi la loro attenzione a Barakiso, esortandolo a salvare le proprie membra, ma egli rispose: «Non le ho create io e non soffrirò per la loro perdita. Dio che mi ha creato mi rinnoverà con la sua potenza». Fu prima impalato e poi pressato come GionaUn loro amico, non appena avuta notizia della loro morte, comprò i resti di tutti gli undici martiri, promettendo di non parlare con nessuno dell’acquisto. 

Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler

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