Sante Perpetua e Felicita

Sante PERPETUA e FELICITA

martiri (203) 07 marzo

perpetuaIl racconto della cattura, della prigionia e della morte di queste due martiri più gli altri cinque compagni scritto direttamente dalle mani di Perpetua madre di un bambino appena nato e di Felicita all’ottavo mese di gravidanza che partorirà in carcere è qualcosa di veramente sconvolgente.

Il racconto della passione di Perpetua e Felicita, e dei loro compagni di martirio è uno dei più grandi tesori di agiografia che siano arrivati ai giorni nostri. Nel 203 d.C. cinque catecumeni vennero arrestati a Cartagine, in Africa del nord, durante le persecuzioni iniziate da Severo: i due schiavi Revocato e Felicita, che si trovava negli ultimi giorni di gravidanza, e poi Saturnino, Secondulo e la ventiduenne Vivia Perpetua, moglie di un uomo dell’alta società e madre di un bambino di pochi giorni.

Il padre di Perpetua, di cui essa era la figlia prediletta, era pagano, un suo fratello si era già convertito al cristianesimo, un altro era un catecumeno come lei e un altro ancora era morto quando aveva appena sette anni. Ai cinque catecumeni arrestati bisogna aggiungere Saturo che si era consegnato spontaneamente; egli era il loro catechista e non se la sentì di lasciarli soli al loro destino. Dopo essere stati arrestati, i cinque vennero tenuti in prigionia in una casa privata.

Perpetua racconta:

perpetua e felicitaQuando ci trovavamo ancora agli arresti e quando mio padre, spinto dal suo grande amore per me, cercava di allontanarmi dalla fede con le sue discussioni, gli dissi: «Padre, vedi questo vaso?» «» mi rispose. «Potrebbe essere chiamato con un altro nome?» «No» disse. «Nemmeno io potrei essere chiamata diversamente da quello che sono, una cristiana». Mio padre si adirò talmente per le mie parole che si scagliò contro di me con una tale veemenza da sembrare pronto a strapparmi gli occhi; poi però, sentendosi sconfitto, non fece altro che scuotermi e interruppe i suoi discorsi diabolici. Io ringraziai Dio per quei pochi giorni in cui non vidi mio padre, lontano dal quale riuscii a riconquistare la padronanza di me. Proprio in quei giorni fummo battezzati e lo Spirito mi suggerì di non chiedere altro per il mio battesimo se non la capacità fisica di resistere. Pochi giorni dopo fummo condotti in prigione; io non avevo mai conosciuto un buio simile ed ero terrorizzata. Fu un giorno di orrore, con un caldo terribile reso ancor più insopportabile dalla calca di persone e dai maltrattamenti dei soldati.

Come se tutto ciò non fosse bastato, io ero preoccupatissima al pensiero che anche mio figlio si trovasse in quel posto. Terzio e Pomponio, quei benedetti diaconi che si occupavano di noi, corruppero alcuni soldati perché ci lasciassero andare in una parte migliore della prigione dove avremmo potuto riprenderci per qualche ora. Io allattai il mio bimbo che stava svenendo per la fame; essendo preoccupata per lui, parlai con mia madre e consolai mio fratello, poi affidai il bambino alle loro cure. Vedendo come essi si preoccupavano per me mi sentivo venir meno, ma poi ottenni il permesso di tenere il bambino in prigione e di colpo, non essendo più agitata e preoccupata per lui, ritrovai il mio spirito. Improvvisamente la prigione divenne una reggia che non avrei lasciato per nessun posto al mondo [ . . . ]. Dopo qualche giorno si diffuse una voce secondo la quale avremmo avuto un’udienza; mio padre arrivò dalla città affranto dal dolore e mi disse:

«Figlia, abbi pietà dei miei capelli bianchi! Abbi pietà di tuo padre, se mi consideri degno di essere tuo padre: non ti ho forse portata io con le mie mani allo splendore della vita? Non ti ho forse preferita a tutti i tuoi fratelli? Non permettere che questa disgrazia ricada su di me. Pensa ai tuoi fratelli, a tua madre e a tua zia, a tuo figlio che senza di te non potrà sopravvivere. Rinuncia a questa tua decisione oppure ci farai morire tutti. Se ti dovesse succedere qualcosa, non saremo più in grado nemmeno di parlare di te».

Pronunciò quelle frasi con tutto il suo amore di padre, baciandomi le mani e santa Perpetuagettandosi ai miei piedi, non chiamandomi più “figlia”, ma “signora”. Mi rattristai per mio padre perché era l’unico di tutta la mia famiglia che non avrebbe provato gioia per il mio martirio. Lo consolai dicendo: «Tutto quello che mi accadrà quando sarò sul banco degli imputati sarà quello che Dio vuole. Noi siamo nelle sue mani, non nelle nostre». Se ne andò piangendo. Un giorno, mentre stavamo mangiando, ci vennero a prendere per l’udienza. Non appena arrivammo al foro la notizia si diffuse nei dintorni e si raccolse una folla enorme. Salimmo sul banco degli imputati. Gli altri furono interrogati e confessarono la fede, poi arrivò il mio turno. C’era anche mio padre con il mio bambino ed egli mi tirò giù e mi disse: «Fai il sacrificio, abbi pietà di tuo figlio». Ilariano, procuratore della provincia che era appena succeduto al proconsole defunto Minuzie Timiano, disse la stessa cosa: «Risparmia i capelli bianchi di tuo padre, risparmia il tuo bambino. Offri il sacrificio per il bene dell’imperatore». Io risposi: «Non lo farò». «Sei una cristiana?» mi chiese Ilariano. «Sì lo sono» risposi.

Poiché mio padre, che ancora stava cercando di convincermi, non si spostava, Ilariano ordinò che venisse scacciato e lo fece bastonare. Mi sentii come se avessi ricevuto io quei colpi e mi misi a piangere per l’infelicità della sua vecchiaia. Venne poi emesso il giudizio: fummo tutti condannati alle belvetornammo in prigione in uno stato di esultanza. Siccome il bambino era stato affidato a me perché lo accudissi, senza esitare mandai il diacono Pomponio a prenderlo da mio padre. Mio padre rifiutò di cederlo, ma siccome Dio provvede, il bambino non ebbe più bisogno del seno materno e nemmeno io ebbi disagi, così mi sentii sollevata sotto entrambi gli aspetti.

Ilariano, prima di emettere la sentenza, fece fustigare Saturo, Saturnino e Revocato e fece bastonare sul viso Perpetua e Felicita. Secondulo morì in prigione prima dell’interrogatorio; tutti gli altri vennero destinati ai giochi organizzati per intrattenere i soldati del campo militare per la festa di Geta, che l’imperatore Severo aveva nominato Cesare circa quattro anni prima.

Perpetua prosegue il suo racconto:

santa-felicita-7-marzoPudente, l’aiutante di campo che era guardiano della prigione, cominciò a tenerci in grande considerazione perché c’era una grande forza che operava in noi; permise a molte persone di venirci a trovare, in modo che potessimo consolarci a vicenda. Quando il giorno fissato per i giochi si fece più vicino, mio padre, pieno di dolore, venne a farmi visita; cominciò a strapparsi la barba e a gettarsi per terra, ad inveire contro se stesso e a maledire la sua vecchiaia, pronunciando cose che era impossibile ascoltare senza rimanere scossi. Mi sentivo male per le pene che doveva sopportare nella sua vecchiaia[…].

Perpetua conclude:

Ho scritto tutto questo fino al giorno prima dei giochi. Lascio scrivere quello che succederà durante i giochi a chiunque abbia la capacità di farlo.

Il resto degli atti fu dunque scritto da un’altra persona che probabilmente era stata testimone oculare:

Per quanto riguarda Felicita, anch’essa venne aiutata dal Signore. Quando fu arrestata era già all’ottavo mese di gravidanza e siccome si avvicinava il giorno dei giochi, era preoccupata che venisse posticipato il giorno del suo martirio (era illegale sottoporre alla pena le donne incinte) e di dover poi mescolare il proprio sangue santo e innocente a quello dei criminali comuni. Anche i suoi compagni erano terrorizzati all’idea di lasciarla proseguire da sola il suo viaggio di speranza. Due giorni prima del martirio essi pregarono tutti assieme per lei ed essa ebbe subito le doghe; il travaglio fu naturalmente molto duro visto che si trovava solo all’ottavo mese. Uno degli assistenti che lavoravano nella prigione le disse: «Se soffri così adesso, cosa farai quando sarai gettata in pasto allo belve? Come mai ti importava così poco di loro quando hai rifiutato di fare il sacrificio?»

Felicita rispose: «Io soffro ora, ma poi un altro dentro me soffrirà per me, perché io possa soffrire per Lui». Partorì una bambina che una sorella allevò come se fosse la propria figlia[…]. Il tribuno era stato informato da qualche stupido amico che i prigionieri avrebbero potuto essere fatti fuggire con la magia, così, durante gli ultimi giorni, fece sì che fossero trattati ancora peggio di prima. Perpetua era la persona giusta per confrontarsi con lui: «Perché non permetti a noi, i prigionieri preferiti da Cesare, di avere un po’ di cibo? Non dobbiamo combattere nel giorno del suo compleanno? Non credi che dobbiamo essere ben curati per quel giorno?». Il colpo andò a segno e il tribuno arrossì. Ordinò che i prigionieri venissero trattati in modo più umano e permise loro di ricevere visite da parenti e da altre persone. Pudente, il ss. perpetua e felicita4carceriere, intanto si era convertito.

Il giorno prima dei giochi essi ebbero l’ultima cena, conosciuta come la “festa libera” ed essi la trasformarono per quanto possibile in un’agape. Alle persone che avevano attorno parlavano con compostezza dei giudizi divini e della gioia della sofferenza. Saturo addirittura si beffava della loro curiosità:«Non vi basta divertirvi domani? Perché vi affannate tanto per vedere della gente che odiate? Amici oggi, nemici domani. Cercate però di ricordarvi le nostre facce, così forse nel giorno del Giudizio ci riconoscerete». Tutti lasciarono la prigione pieni di meraviglia e non furono pochi quelli che si convertirono.

L’intercessione di Perpetua per il fratellino Dinocrate   

Sorse quindi il giorno del loro trionfo e i martiri si avviarono verso l’anfiteatro rallegrandosi, come a sottolineare la loro partenza per il paradiso. I loro volti erano sereni e se tremavano era per la gioia e non per la paura. Perpetua, l’amata di Dio e matrona cristiana, seguiva gli altri con passo sicuro e col volto raggiante, mentre con gli occhi scintillanti sfidava gli spettatori attoniti. Anche Felicita era là con loro, felice di aver portato a termine la gravidanza in tempo per poter affrontare le belve, felice di poter versare il proprio sangue per il martirio dopo averne versato per il parto, di poter affrontare il gladiatore dopo aver affrontato l’ostetrica, di andare incontro a un secondo battesimo dopo il lavaggio postnatale. Quando i condannati arrivarono ai cancelli furono costretti a cambiarsi i vestiti: gli uomini a mettersi quelli dei sacerdoti di Saturno e le donne quelli delle sacerdotesse di Cerere. La nobile Perpetua si oppose fino all’ultimo: «Siamo venuti qui senza opporre resistenza, perché in cambio voi rispettaste la nostra libertà; abbiamo consegnato le nostre vite per impedire questo e anche voi vi siete impegnati dando il vostro consenso». L’ingiusto riconobbe la giustizia della richiesta, il tribuno cedette ed essi vennero condotti nell’arena coi loro vestiti.

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Perpetua cantava un salmo; Revocato, Saturnino e Saturo minacciavano gli spettatori ricordando il giorno del Giudizio e giunti sotto gli occhi di Ilariano gli dissero a gesti: «Tu hai condannato noi, ma Dio condannerà te». La folla si infuriò e pretese che essi venissero fustigati dai guardiani delle belve.

I martiri dal canto loro erano felici di poter condividere la passione del Signore; colui che aveva detto «Chiedete e vi sarà dato [Mt 7,7]», aveva concesso a ognuno di loro la morte desiderata. Quando parlavano tra loro e si chiedevano di che morte avrebbero voluto morire. Saturnino era solito dire che avrebbe voluto affrontare tutte le fiere per potersi guadagnare una corona più gloriosa. Quando i combattimenti iniziarono lui e Saturo ebbero subito uno scontro con un leopardo e sulla piattaforma gli venne aizzato contro anche un orso. Non c’era però nessun animale che Saturo temesse più dell’orso ed egli si augurò di morire a causa del morso del leopardo. Quando venne poi posto di fronte a un cinghialefu proprio il domatore che lo aveva frustato per farlo correre verso l’animale a essere azzannato e morire qualche giorno dopo i giochi, mentre Saturo venne appena sfioratoSaturo venne poi legato a dei ceppi, ma l’orso seguitò a rimanere nella sua tana e così lo schiavo venne richiamato dall’arena perché ancora illeso.

Il diavolo aveva preparato per le donne una giovenca estremamente selvaggia, un animale che di solito non veniva usato nelle arene, ma che era stato appositamente scelto perché di sesso femminile come le vittime designate. Esse vennero spogliate e spinte nell’arena, ma la folla, vedendo che una era perpetua (1)poco più che una ragazzina e che l’altra aveva appena partorito e che dai suoi seni spillava latte, ebbe un sussulto di disgusto; le due donne vennero così richiamate e rivestite con larghe tuniche.

Perpetua fu la prima a essere colpita; cadde sulla schiena e rialzandosi ricompose la tunica che era stata strappata all’altezza delle cosce, preoccupata più per il proprio pudore che per le ferite, perché una martire non doveva soffrire con i capelli scompigliati e dare l’impressione di  compiangere il momento della propria glorificazione. Vedendo poi che Felicita era stata incornatacorse ad aiutarla e rimase al suo fianco; la folla aveva ormai appagato il desiderio di crudeltà, così i martiri vennero condotti a Porta Sanavivaria. Là Perpetua venne aiutata dall’allora catecumeno Rustico che la accudiva. Come se si fosse svegliata da un sogno (tanto era infatti assorta nello spirito e nell’estasi) cominciò a guardarsi intorno e, tra lo stupore di tutti i presenti, disse: «Quando dovremo affrontare quella giovenca o quello che è?». Quando le venne detto che era già stato fatto non volle credervi, finché non si rese conto delle ferite e dei vestiti stracciati. Essa a quel punto mandò a chiamare il proprio fratello e disse a lui e al catecumeno: «Rimanete saldi nella fede, amatevi reciprocamente e non fatevi spaventare dalle nostre sofferenze».

Vicino a un’altra porta Saturo stava incoraggiando l’ufficiale Pudente: «Ecco, è proprio come avevo previsto e predetto, fino a ora non sono stato sfiorato da nessun animale, e adesso, affinché tu possa credere con tutto il tuo cuore, sarò richiamato nell’arena e finito con un solo morso da un leopardo». Lo spettacolo stava ormai giungendo alla fine quando Saturo dovette fronteggiare un leopardo; dopo il primo morso della belva egli fu inondato dal sangue al punto che la folla urlò a testimoniare il suo secondo battesimo: «Ben lavato! Ben lavato!».

E infatti venne veramente lavato lui che era stato lavato in quella maniera. Saturo poi si rivolse a Pudente: «Abbi fede e ricordati di me; non permettere che questeSante_Perpetua_e_Felicita_B[1] cose ti spaventino, ma fa sì che ti rafforzino». Dopo aver detto ciò chiese all’ufficiale l’anello che portava al dito, lo infilò nella propria ferita e glielo restituì a simbolo e ricordo del proprio martirio. Poi, quando era ancora semicosciente, venne gettato nel posto dove solitamente veniva tagliata la testa alle vittime dei giochi; la folla però pretese che i martiri venissero riportati all’aperto per poter vedere di persona la spada trafiggere i loro corpi e rendersi così complici del crimine. I martiri si alzarono in piedi e dopo essersi abbracciati e scambiati il bacio della pace si diressero spontaneamente dove la folla voleva che fossero condotti.

Alcuni rimasero in piedi fino all’ultimo e aspettarono il colpo di grazia in silenzio, specialmente Saturo che fu il primo a uscire all’aperto e il primo a rendere la propria anima. Anche in quel frangente si accinse ad aspettare Perpetua ma la donna aveva ancora alcune pene da soffrire; dopo essere stata colpita erroneamente da un gladiatore maldestro, protestò, e poi fu essa stessa a guidare la mano inesperta verso la propria gola. Forse quella donna, così lontana dallo spirito cattivo, non avrebbe potuto morire se non l’avesse voluto.

Questi santi erano già ricordati in tutti i primi calendari e martirologi; sono citati dal Martirologio Geronimiano di Roma e da quello siriaco della seconda metà del IV secolo. Per qualche tempo la loro festa è stata sostituita da quella di S. Tommaso d’Aquino (che adesso invece è il 28 gen.), ma ormai è stata riportata al suo giorno tradizionale. Nel 1907 è stata ritrovata un’iscrizione antica nella basilica Majorum di Cartagine, dove sono conservati i corpi di quei martiri. Le Sante Perpetua e Felicita sono raffigurate nel mosaico della processione dei martiri nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna.

S. FELICITA É INVOCATA: – come protettrice delle partorienti e delle donne desiderose di avere molti figli

Fonte: il primo grande libro dei santi di Alban Butler

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