San Giovanni di Dio

SAN GIOVANNI DI DIO

fondatore (1495-1550) 8 marzo

Rapito a otto anni da un prete adottato da un conte, passa
S. Giovanni di Diodal 
gregge all’esercito e viceversa non senza miracoli improvvisi. Conoscerà il manicomio e da questa esperienza imparerà a trattare con i malati e i poveri. Ci mise quarantatre anni per scoprire la propria vocazione ma solo tredici per raggiungere il massimo della santità nel seguire la chiamata a servire nostro Signore Gesù Cristo.

Giovanni nacque l’8 marzo 1495 in Portogallo, nella città di Montemor-o-Novo che si trovava sotto la diocesi di Evora. Quando compì otto anni, un prete che si trovò a passare per Montcmor-o-Novo, lo portò via con sé per motivi mai chiariti. Due settimane dopo la scomparsa di Giovanni, sua madre morì di crepacuore, si disse, e suo padre decise di farsi francescano. Il prete lo lasciò a Oropeza di Castiglia, sulla frontiera tra il Portogallo e la Spagna, dove venne adottato dal conte della contea di Oropeza che gli diede un’istruzione scolastica e religiosa di base.

Si dimostrò un ragazzo bravo e affidabile e così quando compì quattordici anni gli venne affidata la cura del gregge e più avanti la gestione dell’intera proprietà. A ventidue anni era un uomo talmente ben educato e fine da essere considerato più adatto alla vita militare. Il suo biografo sostiene che furono la voglia di libertà e di conoscere il mondo che lo spinsero a entrare nell’esercito senza intuire le possibilità di peccato che avrebbe presentato quella vita.

S. Giovanni di Dio1In quel periodo Carlo V si trovava in guerra contro Francesco I di Francia e aveva lanciato un appello alla nobiltà locale affinché organizzasse un esercito; fu così che quando nel 1522 il conte di Oropeza cominciò a cercare reclute, anche Giovanni si arruolò. Un giorno il giovane soldato andò a cercare del foraggio con un cavallo preso ai francesi e, non avendo dimestichezza con quell’animale, si lasciò guidare da esso finché non si ritrovò aldilà del campo nemico. Accortosi del pericolo il ragazzo cercò di tornare indietro, ma il cavallo lo disarcionò. Confuso e ferito, Giovanni implorò la Vergine Maria, alla quale era sempre stato molto devoto e finalmente riuscì a ritrovare la strada per l’accampamento spagnolo.

Venne nominato responsabile del bottino dell’esercito e, quando parte di esso scomparve, fu accusato di furto e condannato all’impiccagione. Un ufficiale, convinto che il ragazzo fosse innocente, chiese che la pena fosse commutata nella radiazione dall’esercito. Così avvenne, e Giovanni, una volta libero, si fermò in preghiera davanti a un crocifisso che trovò al lato di una strada e per due giorni non riuscì ad allontanarsi da là per la debolezza. All’improvviso apparvero del pane e del vino e Giovanni, dopo averli consumati e aver ritrovato le forze, riuscì a ripartire alla volta di Oropeza dove rimase per altri quattro anni. Quando venne a sapere che il conte stava per andare in Ungheria per combattere i turchi, dimentico dell’esperienza precedente, decise di unirsi al suo esercito e si comportò alquanto valorosamente.

Quando l’esercito venne sciolto, Giovanni, sentendo nostalgia per il villaggio in cui era nato, decise di farvi ritorno. Un vecchio zio gli  raccontò cosa era successo ai suoi genitori e si offerse di
S. Giovanni di Dio4adottarlo. 
Questo potrebbe essere stato il momento della vera conversione di Giovanni che disse allo zio di volere seguire i passi del padre e andare lontano per servire Dio e porre rimedio ai tanti peccati commessi.

Si trasferì in Andalusia dove una ricca signora lo assunse come pastore” per il suo gregge. Quel lavoro riempiva Giovanni di tristezza perché anche quando era stato il pastore del conte di Oropeza, aveva sempre pensato che persino gli animali venivano trattati meglio dei poveri che arrivavano di tanto in tanto alla ricerca di elemosina. Decise quindi di recarsi in Africa, dove sperava di trovare il martirio cercando di salvare i cristiani che venivano perseguitati dai mori.

A Gibilterra, porto d’imbarco, conobbe una famiglia portoghese condannata all’esilio in Africa presso l’enclave portoghese di Ceuta. Fu proprio insieme a quella famiglia che Giovanni iniziò a dedicarsi agli altri. Quando arrivarono a Ceuta, il padre della famiglia si ammalò, e Giovanni iniziò a lavorare come bracciante per dar da mangiare alla famiglia; quando arrivava la sera sbrigava anche le faccende domestiche.

Vi fu però un episodio che scosse particolarmente Giovanni: un suo collega cristiano si lasciò improvvisamente tutto alle spalle, rinnegò addirittura la fede e si unì ai mori. Giovanni pregò un francescano di dargli consiglio: avrebbe dovuto inseguire quell’apostata? Il frate non ebbe dubbi; Giovanni si sarebbe esposto inutilmente e coltivava sogni troppo romantici verso il martirio, per cui gli consigliò molto sbrigativamente di fare ritorno in Spagna. Tornato in Europa, Giovanni decise di fare il venditore ambulante di libri religiosi e di immagini sacre, per poter contemporaneamente guadagnarsi da vivere e portare avanti il suo apostolato.

Cominciò quindi a viaggiare da una città all’altra con le sue merci e, durante uno dei suoi viaggi, vedendo un bambino scalzo, gli offrì le sue scarpe. Siccome però le scarpe erano troppo grandi, prese il bambino in spalla. Affaticato e accaldato, si fermò a bere vicino a un ruscello; mentre si rinfrescava si trovò di fronte Gesù Bambino che, tenendo in mano una mezza melagrana con sopra una croce, disse:

«Giovanni di Dio, Granada sarà la tua croce».

La melagrana è il simbolo della carità e anche della città di Granada. Giovanni S. Giovanni di Dio2comprese che sarebbe stata la capitale dell’Andalusia la meta del suo peregrinare e il suo campo di lavoro. Vi arrivò a quarantadue anni e per un po’, non sapendo cosa fare, continuò a vendere libri. A gennaio del 1537 arrivò a Granada il B. Giovanni d’Avila (10 mag.) per predicare nel giorno della festa di S. Sebastiano (20 gen.).

Giovanni andò ad ascoltarlo e quando il predicatore cominciò a parlare della gioia che provano coloro che soffrono per Cristo e delle ricompense che spettano loro, cominciò a gridare e a battersi il petto chiedendo pietà. Poi, come se fosse  completamente uscito di sennocominciò a correre per le strade strappandosi i capelli e comportandosi in modo così selvaggio che la folla iniziò a colpirlo con bastoni e pietre. Quando rincasò era ridotto in uno stato pietoso.

A quel punto abbandonò le sue cose e riprese a vagare per le strade senza meta, finché alcune persone impietosite, lo presero e lo condussero da Giovanni d’Avila, che promise a Giovanni di Dio di fargli da guida spirituale. Per un certo periodo Giovanni rimase tranquillo, ma ben presto  ricominciò con le sue stranezze e venne condotto in un manicomio in cui, secondo le usanze del tempo, fu soggetto per mesi a flagellazioni e periodi di isolamento, Giovanni d’Avila venne informato di ciò e decise di andarlo a trovare; gli disse che quelle stupide sofferenze non servivano a niente e che era giunta l’ora di fare qualcosa di più utile. Con grande meraviglia di chi assistette alla scena, Giovanni uscì immediatamente dal suo stato di demenza e si mise a servire quelli che fino a pochi minuti prima erano stati i suoi compagni di sventura; sapeva ormai come non si dovevano trattare i pazzi e andò anche ad aiutare i malati di altri ospedali.

Giovanni d’Avila gli suggerì di fare un pellegrinaggio penitenziale alla Madonna di Guadalupe per ricevere consiglio. Giovanni di Dio ebbe una visione e vide Gesù Bambino con la Madonna che gli porgeva alcuni vestiti coi quali avrebbe dovuto giovanni di Diovestire il bambino. L’uomo capì che il suo compito sarebbe stato quello di vestire il Cristo nudo, di nutrire il Cristo affamato, di prestare soccorso al Cristo bisognoso.

Quando Giovanni rincasava si metteva a preparare le verdure per il giorno successivo e quando aveva finito cominciava a pregare,  risparmiandosi solo un’ora di sonno a notte; il suo giaciglio era composto da un materasso appoggiato sul pavimento e da un sasso che gli faceva da cuscino.Un giorno,mentre pregava di fronte a un crocifisso, sentì un’altra volta la presenza di Maria, che gli si presentò con la corona di spine di Gesù e gli disse:

«E con le spine, con il lavoro e la sofferenza che devi conquistare la corona che mio figlio ha preparato per te».

Più tardi, uscendo dalla chiesa, vide un cartello davanti a un edificio:casa da affittare per alloggiarvi i poveri”. La prese immediatamente, senza sapere ancora come avrebbe fatto a pagare l’affitto. Era il 1538, Giovanni aveva quarantatre anni e aveva appena fondato il suo primo ospedale; molti si sarebbero meravigliati di come lo avrebbe organizzato. In un modo o nell’altro riuscì a comprare quarantasei letti, materassi e cuscini e in pochissimo tempo furono tutti occupati. Nella casa regnava un’armonia perfetta e, cosa per quei tempi alquanto rara, ogni ospite aveva il suo letto. I malati contagiosi venivano curati in stanze riservate, le corsie venivano aerate regolarmente, tutto era pulito alla perfezione e i pasti venivano serviti puntualmente e a intervalli regolari.

Il benessere fisico era considerato vitale, ma non la cosa principale: Giovanni incoraggiava ogni nuovo ospite a occuparsi della propria coscienza e invitava sempre dei sacerdoti che provvedessero per chi voleva alle confessioni e agli ultimi sacramenti. Svegliava sempre i pazienti e li invitava a dire le preghiere del mattino tutti assieme; dopo la celebrazione della Messa era sempre il primo a iniziare a lavare i malati e a cambiare i loro vestiti.

Quando i pazienti erano ormai andati tutti a letto usciva in città, col bello o col cattivo tempo, e iniziava a chiedere l’elemosina di porta in porta o nelle piazze. Alle persone che gli dicevano che non avrebbe mai potuto portare avanti un ospedale solo con l’elemosina, rispondeva che allora avrebbero dovuto fare qualcosa anche loro. Alcuni cominciarono a portare dei soldi, altri pane o altre vettovaglie e spesso vi erano medici, infermieri e farmacisti che offrivano gratuitamente i loro servigi.

Ben presto la casa divenne troppo piccola e Giovanni fu costretto a cercarne un’altra. Trasportò personalmente tutti i pazienti da una sede all’altra e quando non ebbe più spazio a disposizione, riuscì a organizzarsi in modo ancora più efficiente; distribuì i diversi casi in corsie diverse: mise i casi più seri in un reparto, i meno preoccupanti in un altro, i paralitici e i contagiosi in altri ancora, ma la sua grande gioia fu quella di poter creare un dormitorio per i senzatetto. Giovanni non si dimenticò nemmeno delle prostitute e aprì una casa per loro e le affidò alle cure delle dame della città.

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Il vescovo di Tùy, che era anche presidente della Camera Reale di Granada, sentendo parlare di Giovanni, espresse il desiderio di incontrarlo. Proprio prima del colloquio, Giovanni aveva dato i propri vestiti a un mendicante e così si presentò davanti al vescovo coi vestiti del mendicante stesso. Il vescovo gli pose molte domande e partendo dal racconto della visione di Gesù Bambino che indirizzava Giovanni a Granada, gli suggerì di prendere il nome che Gesù stesso gli aveva dato, “Giovanni di Dio”. Il vescovo diede anche un abito religioso a Giovanni, come simbolo per la sua vita consacrata agli altri. Dopo che il vescovo ebbe benedetto l’abito, Giovanni se lo infilò e da quel giorno non lo tolse più.

Nel frattempo il lavoro aumentava sempre più e il frate pian piano trovò alcune persone che, ispirate dal suo eroismo, si offrivano per aiutarlo. I suoi primi aiutanti furono Antonio Martin e Pietro Velasco che erano stati nemici giurati l’uno dell’altro, ma che Giovanni riuscì a far riconciliare; da quel momento nacque la Congregazione dei Fratelli di S. Giovanni di Dio (più noti come “Fatebenefratelli“, dal saluto che Giovanni era solito indirizzare ai passanti chiedendo l’elemosina).

Gli abitanti di Granada furono determinanti per la realizzazione dell’ospedale, ma non tutti erano ben disposti nei suoi confronti; un certo Simone di Avila calunniava in continuazione il santo e un giorno lo seguì addirittura nella casa di una vedova, sperando di poterlo incriminare. Simone spiò attraverso una fessura della porta, ma vide la lista dei suoi peccati scritta sul muro e una spada fiammeggiante che gli pendeva sul capo. Il calunniatore svenne e cadde all’indietro, ruzzolando fino al fondo delle scale. Giovanni gli prestò subito soccorso e conquistò un nuovo collaboratore.

Ufficio Beni Culturali

Una volta il frate si rivolse alla generosità di un ricco italiano, un certo Piola, per avere un prestito di trenta ducati; l’ospedale aveva infatti un bisogno estremo di fondi, ma il Piola rifiutò dicendo che Giovanni non gli dava nessuna garanzia. A quel punto il santo prese un crocifisso e disse:

«Ecco la nostra garanzia!». 

Il crocifisso emise dei raggi di luce talmente accecanti che l’italiano diede immediatamente i  soldi al frate e dopo sei mesi, morta la moglie, legò la sua vita e tutte le sue fortune all’ospedale.

Un incendio che scoppiò all’interno del suo ospedale e l’intervento eroico che Giovanni fece in seguito a ciò, gli garantirono una volta per tutte l’affetto e la stima dell’intera città. I pompieri non si azzardavano a entrare perché le fiamme erano troppo alte, ma Giovanni, sapendo che i malati si trovavano intrappolati all’interno, si precipitò e li tirò fuori uno a uno. Nel tentativo di salvare più cose possibili, il frate cominciò a gettare dalle finestre i letti e i mobili; poi, siccome un palazzo adiacente rischiava di prendere fuoco e si voleva salvarlo abbattendo l’ospedale a cannonate, egli stesso ordinò di fermare l’operazione, corse in cima con un’ascia e con una forza disumana cominciò a colpire il tetto e le travi finché il pericolo non fu scongiurato. All’improvviso sembrò sparire in mezzo alle fiamme e la gente cominciava già a gemere, quando Giovanni ricomparve in mezzo a loro; gli si erano bruciacchiate solo le sopracciglia, che poi non gli sarebbero più ricresciute.

Ormai Giovanni si era conquistato l’approvazione dell’arcivescovo di Granada che sostenne l’ospedale materialmente e moralmente. Anche il secondo edificio si era fatto troppo piccolo così fu lo stesso arcivescovo a convocare tutti i cittadini più importanti e a S. Giovanni di Dio5chiedere loro che cosa bisognava fare; venne acquistato un monastero disabitato e là Giovanni riorganizzò per la terza volta il suo ospedale, basandosi sempre sugli stessi principi, ma da quella volta in poi le autorità civili si occuparono personalmente dei costi di medici e medicinali.

Giovanni non si limitava a soccorrere solo gli ospiti del suo ospedale, ma aiutava chiunque avesse bisogno e ciò era disapprovato da alcune persone che consideravano indiscriminata la sua carità. Forse per la carità troppo ampia, si ritrovò pieno di debiti e decise di andare a chiedere l’elemosina in Andalusia. Quel viaggio fu di grande aiuto, ma non sufficiente. Gli venne quindi suggerito di fare visita alla corte di Valladolid: la sua fama lo aveva preceduto, e al suo arrivo venne accolto con grandi onori.

Venne riempito di molti doni, ma siccome a Valladolid c’erano almeno tanti poveri come a Granada, Giovanni donò tutto agli indigenti di quella città portando con sé solo le lettere di credito ottenute per pagare i debiti accumulati. Giovanni aveva lavorato, pregato e fatto penitenza per tredici anni, aveva sfamato gli affamati, vestito chi non aveva abiti, dato un rifugio ai senzatetto, convertito i peccatori e non si era mai preoccupato per la sua salute.

Ormai era giunto allo stremo delle forze, ma doveva affrontare un’altra fatica sovrumana: sentito che il fiume Xenil era straripato e stava portando via gran parte della legna che normalmente veniva usata dai poveri, si recò là insieme a un altro frate e a un giovane che lavorava nell’ospedale e i tre cominciarono a raccogliere tutto quello che potevano. Improvvisamente Giovanni si accorse che il ragazzo stava per essere trascinato via dalla corrente, si gettò nel fiume, ma non riuscì a raggiungere il compagno, anzi, rischiando di venir trascinato a sua volta, a gran fatica fece ritorno a riva: era raffreddato, affaticato e addolorato.

Dovette superare un’altra critica prima di trovare finalmente pace; l’arcivescovo lo convocò a rapporto perché gli era stato detto che il frate dava alloggio a prostitute e donne di malaffare. Giovanni si gettò ai piedi del prelato e disse:

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«Il Figlio di Dio è venuto per i peccatori e noi siamo costretti a lottare per la loro conversione. Io sono infedele perché non riesco a farlo, ma vi garantisco che nel mio ospedale non c’è nessuna cattiva persona al di fuori di me, che sono indegno di mangiare il pane dei poveri».

L’arcivescovo lo scagionò. Giovanni era ormai conscio di essere gravemente malato; decise quindi di andare a controllare e sistemare gli inventari e i conti  dell’ospedale, di cambiare le regole dell’amministrazione, gli orari e persino le pratiche spirituali. Man mano che si indeboliva, notizie sulla sua malattia si diffondevano per tutta la città; Ana Ossorio, che lo aveva aiutato tante volte, ottenne l’ordine dell’arcivescovo che Giovanni fosse ricoverato presso la propria casa. Quando Ana andò a prenderlo, lo trovò sdraiato sul suo materasso, con il cestino per l’elemosina a mo’ di cuscino e un vecchio cappotto come coperta; Giovanni avrebbe preferito morire in mezzo ai suoi pazienti, ma non avrebbe mai disobbedito all’arcivescovo:

«Il Figlio di Dio ha obbedito a suo Padre fino alla morte, persino fino alla morte in croce, e il suo servo più indegno, Giovanni di Dio, deve fino all’ultimo, con la propria obbedienza cieca, onorare e adorare quella del suo redentore».

Mise Antonio Martin a capo della confraternita e prima di partire fece visita al Santo Sacramento; ci rimase talmente a lungo che Ana, autoritaria com’era, lo fece prendere di forza e lo portò via in carrozza. Preconoscendo l’ora della sua morte, chiese di rimanere solo; si alzò dal letto, si infilò l’abito e si inginocchiò davanti all’altare che era stato costruito nella sua stanza e sul quale l’arcivescovo aveva da poco celebrato la Messa. Morì così, in ginocchio davanti all’altare, l’8 marzo 1550, giorno del suo cinquantacinquesimo compleanno. Tutta Granada accompagnò il suo corpo alla sepoltura. Nel 1586, papa Sisto V riconobbe formalmente la Congregazione dei Fratelli di S. Giovanni di Dio, che si è poi diffusa in ogni continente. Giovanni è stato canonizzato nel 1690 ed è stato nominato patrono degli ospedali, degli ammalati e dei librai.

È INVOCATO: – come protettore di infermi, infermieri, ospedali, librai, rilegatori di libri

Fonteil primo grande libro dei santi di Alban Butler