SAN POLICARPO

SAN POLICARPO

vescovo e martire (ca. 69 – ca. 155) 23 febbraio

S.PolicarpoMolto probabilmente  discepolo di san Giovanni Evangelista. Attraverso una lettera scritta dalla Chiesa di Smirne in cui si racconta il martirio di Policarpo abbiamo la prima prova certa del culto delle reliquie e la sua preghiera in punto di morte.

Il Martyrium Polycarpi è la relazione che la comunità di Smirne fa della morte del proprio vescovo, sotto forma di lettera indirizzata ai membri della comunità cristiana di Filomelio di Frigia e, attraverso di essi, a tutta la Chiesa. Vi si narra che la popolazione pagana della città, che aveva messo a morte il giovane Germanico nell’arena, pretese dai magistrati l’eliminazione di tutti gli “atei”, lanciando il grido: «Si cerchi Poikarpo». Quest’ultimo, che stava aspettando con calma in una zona di campagna nei pressi della città, fu trovato e condotto in tribunale.

Essendosi rifiutato di rinnegare Cristo, venne ucciso a fil di spada nonostante la veneranda età e il suo corpo fu quindi arso al rogo nell’anfiteatro cittadino. Tali azioni si accordavano con il sentimento generale nutrito dal popolo verso i cristiani nella seconda metà del II secolo: non c’era in vigore una legge generale che definisse la posizione dello stato nei loro confronti ma l’atteggiamento ostile dei pagani spingeva a far credere che la fede cristiana  fosse  incompatibile con il modo di vita romano.

Fu questo che consentì alle autorità di fissare una norma ufficiosa che criminalizzava di fatto il cristianesimo e anche Policarpo, nella sua Lettera ai filippesi (di cui tuttavia non è certa la datazione) parla di “persecuzioni”. Esse comunque dovettero essere rivolte contro singoli individui colpevoli di aver irritato il popolino (come anch’egli fece) e risultare sporadiche e limitate ad alcune zone. Eusebio sostiene che il martirio di Policarpo ebbe luogo durante il regno di Marco Aurelio (161-180), ma questa collocazione fa sorgere alcune difficoltà: pare infatti da preferire una datazione più antica, sotto il governo cioè del suo predecessore, Antonino Pio (138-161); era questa fra l’altro l’opinione tradizionale prima di Eusebio.

S.Policarpo1Episodi riguardanti la sua vita sono scarsamente documentati rispetto al dettagliato resoconto che possediamo del suo martirio. Esiste una Vita di un certo Pionio (che oggi non si ritiene più essere quel S. Pionio, 12 mar., martirizzato per aver osservato l’anniversario di morte di Policarpo nel 250 circa) che attribuisce al santo un’infanzia da schiavo e il riscatto per opera di una ricca signora, ma pare essere inattendibile. Si è invece concordi sul fatto che egli sia uno dei “padri apostolici”, appartenente alla generazione di vescovi che ricevettero i loro insegnamenti direttamente dagli apostoli o dagli altri discepoli del Signore; supponendo che sia nato intorno al 69 ciò potrebbe essere verosimile, tenendo anche presente che lo si ritiene discepolo di S. Giovanni Evangelista, tradizionalmente considerato il più giovane e longevo fra gli apostoli.

Policarpo era vescovo di Smirne già intorno al 107, quando S. Ignazio di Antiochia (17 ott.), passando per quella città durante il suo ultimo viaggio in catene verso Roma (viaggio che sarebbe terminato con il martirio), lo incontrò egli affidò (in una delle sette lettere composte durante questo viaggio e considerate uno dei più preziosi documenti del cristianesimo del II sec.) la cura della sua chiesa dopo la sua morte. Anche lo stesso Policarpo sappiamo aver scritto numerose lettere pastorali ma, oltre a una breve nota, solo l‘Epistola indirizzata alla comunità di Filippi è giunta fino a noi. In essa egli cita spesso la I Lettera di Giovanni e questo spinge a confermarne la composizione in un periodo relativamente antico. Alla sua Epistola fu di fatto assegnato valore canonico e ancora ai tempi di S. Girolamo (t 420; 30 set.) veniva letta in diverse chiese dell’Asiagrazie a questa lettera ci è inoltre possibile capire cosa un pastore cristiano del tempo ritenesse urgente dire a una comunità da lui conosciuta. Schieratosi contro Marcione per il suo rifiuto di accettare il Dio dell’Antico Testamento come Padre di Gesù Cristo, si dice che, incontrandolo per le strade di Roma, lo abbia apostrofato con l’epiteto “primogenito di Satana”.

Ireneo di Lione ( ca. 203; 28 giù.) conobbe Policarpo durante la sua giovinezza e nella lettera A Fiorino (nella quale rimprovera quest’ultimo di eresia) parla del ricordo vivo in lui del «luogo dove il B. Policarpo era solito riposare per parlarci, e come esordiva, e come entrava in argomento; quale vita conduceva, quale era l’aspetto della sua persona; i discorsi che teneva al popolo» (altre versioni mettono qui un riferimento «alla santità del suo portamento, alla maestà dell’espressione del suo volto, e a tutto il suo aspetto esteriore», suggerendo che la richiesta fatta da Ireneo ai copisti, come segnala anche Eusebio, di «raffrontare ciò che avete copiato e di correggerlo diligentemente, tenendo davanti l’esemplare che avete trascritto» potrebbe non essere stata sempre osservata).

Ireneo procede quindi descrivendo lo zelo di Policarpo per l’ortodossia: «Come ci parlava degli S.Policarpo2intimi rapporti da lui avuti con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, dei quali rammentava le parole relative al Signore, ai suoi miracoli, alla sua dottrina. Tutto ciò Policarpo l’aveva appreso proprio da testimoni oculari del Verbo della Vita, e lo annunziava in piena armonia con le Sacre Scritture. […] Anche le lettere che egli inviò alle Chiese vicine per confermarle, o a taluni fratelli per ammonirli e spronarli, possono chiaramente dimostrare
 [come avesse aborrito le parole eretiche di Fiorino]».

Ireneo descrive anche un ultimo viaggio di Policarpo a Roma su invito di papa S. Aniceto, dovuto al rispetto allora generalmente accordatogli tanto dalle Chiese d’Oriente quanto da quelle delle province occidentali dell’impero, e finalizzato a discutere della questione della datazione della Pasqua: bisognava infatti stabilire se essa dovesse essere celebrata il quattordicesimo o il quindicesimo giorno del mese di Nisan o la prima domenica che seguiva il quattordicesimo giorno di questo mese. Non riuscendo a raggiungere un accordo, decisero amichevolmente di mantenere ciascuno la propria usanza. Aniceto invitò quindi Policarpo a celebrare l’eucarestia con la comunità romana (dettaglio che fa pensare che già allora esistesse una certa uniformità nei riti liturgici): «Pur stando cosi le cose, rimasero in comunione e Aniceto, a titolo di onore, concesse a Policarpo di celebrare in chiesa l’eucarestia, e si separarono in pace; e tutti nella Chiesa erano in pace, chi osservava una data e chi l’altra». Ireneo ribadisce il concetto nel suo Contro le eresie: «Ora egli insegnò sempre ciò che aveva appreso dagli Apostoli e questa è ancora la dottrina trasmessa dalla Chiesa ed è l’unica vera. Questo affermano tutte le Chiese dell’Asia e quelli che fino  ad oggi succedettero a Policarpo».

A questo punto Ireneo mette in risalto non soltanto il ruolo di Policarpo come padre apostolico e l’importanza della sua testimonianza, ma si sofferma particolarmente sulla sua influenza nella trasmissione dell’insegnamento ortodosso alle generazioni successive: «Egli è un assertore della verità ben più sicuro e degno di fede di Valentino, Marcione e degli altri perversi dottori». Dal momento che Ireneo fu allievo di Policarpo, quest’ultimo sta alle origini della trasmissione della fede nell’Europa occidentale.

S.Policarpo3La lettera scritta dalla Chiesa di Smirne in cui si racconta il martirio di Policarpo è in parte riprodotta e in parte riassunta da Eusebio. Dopo aver descritto l’inizio della violenta persecuzione in Asia, che si concluse effettivamente con il martirio di Policarpo, essa racconta di come  Germanico, ignorando le offerte di clemenza a motivo della sua giovane età e attirando in pratica il leone su di sé e alcuni altri, morì e della successiva richiesta a gran voce di Policarpo. Il racconto di quest’ultimo rimasto tranquillamente in una fattoria delle vicinanze fa chiaramente eco a quello di Gesù che nell’orto del Getsemani attendeva di essere catturato; tutto il racconto mira a mostrare l’identificazione del martire con Cristo, scegliendo dettagli e utilizzando termini che rimandano ai racconti evangelici della passione.

Policarpo offre a chi lo cattura una zuppa ed esce, da solo, a pregare; il modo in cui è riportata la sua preghiera richiama l’ultima preghiera di Gesù per tutti i suoi discepoli; Policarpo è quindi condotto in città in groppa a un asino: «E giunta l’ora di andare,’ facendolo sedere su un asino lo condussero in città. Era il giorno del grande sabato. Il capo della polizia [di nome Erode] e il padre di costui, Niceta, gli vennero incontro», lo interrogarono nello stesso modo di Pilato e ricevettero lo stesso tipo di risposte. Erode minacciò quindi di darlo in pasto alle belve o di mandarlo al rogo, così come Pilato aveva minacciato Gesù con il suo potere di farlo crocifiggere. Anche la folla si comportò nello stesso modo: «Tutta la moltitudine dei pagani e dei giudei abitanti di Smirne con furore incontenibile e a gran voce» chiedevano che fosse dato in pasto ai leoni.

Elementi profetici, visionari e miracolosi costituiscono gran parte del racconto: Policarpo; avendo precedentemente sognato di trovarsi sdraiato su un cuscino in fiamme, disse: «Devo essere bruciato vivo». La folla si precipitò ad accatastare legna per costruire il rogo, intenzionata a legarlo poi ad un palo posto nel mezzo, ma poiché Policarpo disse che avrebbe avuto la forza di rimanere nel fuoco senza alcun sostegno, lo legarono al rogo stesso.

Il fuoco però «facendo una specie di voluta, come vela di nave gonfiata dal vento girò intorno al corpo del martire», non riuscendo quindi a consumarlo. Fu perciò ucciso con un colpo di spada al collo (il metodo normalmente utilizzato dai romani per le esecuzioni), da cui «zampillò molto sangue che spense il fuoco. Tutta la folla rimase meravigliata dalla grande differenza tra gli infedeli e gli eletti». Ai cristiani non fu concesso di portare via il corpo «benché molti desiderassero di farlo, per custodire la sua santa carne»; di ciò furono responsabili gli ebrei presenti tra la folla, che sostennero che i cristiani avrebbero potuto «Lasciando da parte il crocifisso, venerare lui». Il corpo fu quindi bruciato, e rimasero solo alcune ossaS.Policarpo4 come reliquie: «Così noi più tardi raccogliendo le ossa, più preziose delle gemme di gran costo e più stimate dell’oro, le ponemmo in un luogo più conveniente».

La lettera è molto precisa nel rifiutare con forza l’ipotesi avanzata dagli ebrei: «Erano ignari che non potremmo mai abbandonare Cristo che ha sofferto da innocente per i peccatori, per la salvezza di quelli che sono salvi in tutto il mondo, e adorare un altro. Noi veneriamo lui che è Figlio di Dio e degnamente onoriamo i martiri come discepoli e imitatori del Signore per l’amore immenso al loro re e maestro. Potessimo anche noi divenire loro compagni e condiscepoli! ».

Qualunque sia la derivazione e l’esattezza di alcuni dettagli in questo resoconto del martirio, esso mostra una teologia attentamente elaborata della sofferenza redentrice del Cristo, della sequela cristiana e della corretta devozione per i santi. Oltre a essere la prima prova certa del culto di reliquie, il racconto ci offre inoltre, nella preghiera finale di Policarpo, una testimonianza luminosa della fede nella redenzione, uno sviluppo della teologia trinitaria e un’immagine di come diversi elementi, poi sviluppati nelle preghiere eucaristiche, si fossero già assemblati, terminando con la dossologia e con l’Amen che il cristianesimo aveva assunto dal giudaismo:

Signore Dio onnipotente. Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio per il cui mezzo abbiamo ricevuto la tua conoscenza, o Dio degli angeli e delle potenze, di ogni creazione e di ogni genia dei giusti che vivono alla tua presenza. Io ti benedico perché mi hai reso degno di questo giorno e di questa ora di prendere parte nel numero dei martiri al calice del tuo Cristo, per la risurrezione della vita eterna dell’anima e del corpo nell’ incorruttibilità dello Spirito Santo. In mezzo a loro possa io essere accolto al tuo cospetto in sacrificio pingue e gradito come prima l’avevi preparato, manifestato e realizzato, Dio senza menzogna e veritiero. Per questo e per tutte le altre cose ti lodo, ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’etrno e celeste gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio, per il S.Policarpo5quale sia gloria a te con lui e lo Spirito Santo ora e nei secoli futuri. Amen.

La commemorazione del martirio di Policarpo, inoltre, fissò la consuetudine di celebrare l’anniversario della morte di un martire quale dies natalis, cioè “giorno della nascita nel regno dei cieli”: «Appena possibile ivi riunendoci nella serenità e nella gioia il Signore ci concederà di celebrare il giorno natalizio del martire, per il ricordo di quelli che hanno combattuto prima e ad esercizio e coraggio di quelli che combatteranno» (questo passo potrebbe anche essere un’interpolazione successiva, ma, se anche così fosse, testimonierebbe almeno l’esistenza della commemorazione).

Questa usanza si sviluppò dapprima in Oriente e solo successivamente giunse in Occidente,perché la Depositio martyrum, che è alla base del Calendario Romano, elencava Callisto ( 222; 14 ott.) come il primo martire onorato in questo modo; probabilmente fu solo da questo momento che le comunità romane poterono disporre di cimiteri propri e avere quindi il diritto legale di organizzare una celebrazione commemorativa. Seguendo l’esempio di Policarpo, in Oriente e in Occidente la devozione verso i martiri si collegò direttamente all’imitazione di Cristo: la lettera della Chiesa di Smirne, con i suoi evidenti parallelismi con il Vangelo, esprime per la prima volta esplicitamente la connessione tra Cristo e il martire e il suo modello fece scuola. Da secoli i martiri sono infatti sentiti gli autentici discepoli e imitatori del Signore e il loro più perfetto esempio è Policarpo.

La sua festa era celebrata il 26 gennaio (e implicava una vigilia) finché la riforma del Calendario del 1969 non la trasferì al giorno di oggi, sulla base della testimonianza fornita dal racconto originale e da recenti ricerche che meglio hanno stabilito l’effettivo giorno della sua morte. Oggi ha il grado di memoria.

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FONTE: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler